Vino e millennials:
attenzione,
ci sono anche
i perennials
Internet si è portata con sé un’accelerazione a tutti i livelli che, secondo molti osservatori, sta avendo effetti ancora poco chiari sui consumi, compresi quelli di cibo e bevande.
Comprensibile quindi che chi deve programmare un minimo di strategie per il breve e medio periodo si preoccupi di capire cosa succede nel mondo. E più è ampio il mercato di riferimento, più è importante sapere cosa succede anche fuori dal nostro Paese. È quello che ha spinto ad esempio il Consorzio dei vini abruzzesi (che rappresenta un territorio con le più alte vocazioni all’export) ad affrontare con un convegno il rapporto vino/millennials (i giovani nati fra il 1981 e il 1996).
Numeri e statistiche non sempre riescono però a dare risposte precise all’interrogativo che interessa maggiormente a produttori e gestori di esercizi pubblici: come entrare in sintonia con questa importante fascia di consumatori (un terzo del mercato per numeri e capacità di reddito)? Questa generazione passa in genere tante ore sui social e tende più a seguire il passaparola sulla rete (che a volte è il “verbo” di qualche influencer più bravo a usare le foto giuste più che i contenuti), che non a leggere carta stampata. Ma se questo fosse il solo problema, basterebbe mutare modo di promuovere il vino. Come diciamo da anni, oggi si devono abbandonare gli stereotipi a cui qualche generazione si è incollata con descrizioni fantasiose e per addetti ai lavori. Per fare capire e apprezzare un vino, invece che spingere la gente ad analizzare aromi o gusti per iniziati, meglio raccontare un’azienda, fare ricercare emozioni e sensazioni, che sono poi quelle che aprono al piacere di gustare un bicchiere di vino fatto bene. E in questo Internet può essere uno strumento utile. Basta saperlo utilizzare meglio.
Pensare di rinunciare a fare comunicazione tecnica (o affidarsi a chi fa informazione competente), per puntare sulla mediazione di nuove figure, come gli influencer, potrebbe anche essere una strada perseguibile, se ci fossero persone preparate per questo ruolo. Purtroppo non è sempre così e i rischi di fare danni sono altissimi.
Ma, forse, ancora più pericolosa è la scelta di pensare che sia davvero possibile fare strategie nel mondo del vino puntando sul concetto di millennials, che in realtà è un termine che rappresenta soggetti molto diversi. Ci sono i giovani ricchi, ci sono quelli colti, ma ce ne sono tanti che sono poveri, disoccupati o incolti. In Italia come nel mondo. Più che sui dati anagrafici sarebbe forse più utile fare un passo in più e porsi il problema di diffondere la cultura del vino usando tutti i mezzi esistenti (ma gestiti da persone preparate) senza dimenticarsi che in realtà ci sono anche i “perennials”. La tecnologia ha infatti cambiato gli stili di vita e allungato la prospettiva di vita. Ci sono persone che, a qualsiasi età (dai 18 agli 80 anni poco importa), possono spendere, lavorano, fanno sport, seguono quel che avviene nel mondo, sono al corrente delle nuove tecnologie, hanno amici di tutte le età, sono curiosi e altruisti e vivono il mondo in senso globale. Le grandi compagnie del web non dividono i consumatori per classi di età, ma per gusti e acquisti. Netflix e Amazon non suggeriscono film o beni sulla base dell’età, ma per ciò che interessa.
Francamente anche per il mondo del vino definire classi di età per vendere ci sembra sbagliato: valori e passioni comuni potrebbero essere gli obiettivi su cui costruire nuovi modi di comunicare rivolgendosi a tutti. Anche perché dopo i millennials arriveranno altre generazioni...
Cosa bevono e come si accostano al vino i giovani? La domanda, tutt’altro che banale, se la stanno ponendo un po’ tutti i produttori, almeno quelli più attenti. Comprensibile quindi che chi deve programmare un minimo di strategie per il breve e medio periodo si preoccupi di capire cosa succede nel mondo. E più è ampio il mercato di riferimento, più è importante sapere cosa succede anche fuori dal nostro Paese. È quello che ha spinto ad esempio il Consorzio dei vini abruzzesi (che rappresenta un territorio con le più alte vocazioni all’export) ad affrontare con un convegno il rapporto vino/millennials (i giovani nati fra il 1981 e il 1996).
Numeri e statistiche non sempre riescono però a dare risposte precise all’interrogativo che interessa maggiormente a produttori e gestori di esercizi pubblici: come entrare in sintonia con questa importante fascia di consumatori (un terzo del mercato per numeri e capacità di reddito)? Questa generazione passa in genere tante ore sui social e tende più a seguire il passaparola sulla rete (che a volte è il “verbo” di qualche influencer più bravo a usare le foto giuste più che i contenuti), che non a leggere carta stampata. Ma se questo fosse il solo problema, basterebbe mutare modo di promuovere il vino. Come diciamo da anni, oggi si devono abbandonare gli stereotipi a cui qualche generazione si è incollata con descrizioni fantasiose e per addetti ai lavori. Per fare capire e apprezzare un vino, invece che spingere la gente ad analizzare aromi o gusti per iniziati, meglio raccontare un’azienda, fare ricercare emozioni e sensazioni, che sono poi quelle che aprono al piacere di gustare un bicchiere di vino fatto bene. E in questo Internet può essere uno strumento utile. Basta saperlo utilizzare meglio.
Pensare di rinunciare a fare comunicazione tecnica (o affidarsi a chi fa informazione competente), per puntare sulla mediazione di nuove figure, come gli influencer, potrebbe anche essere una strada perseguibile, se ci fossero persone preparate per questo ruolo. Purtroppo non è sempre così e i rischi di fare danni sono altissimi.
Ma, forse, ancora più pericolosa è la scelta di pensare che sia davvero possibile fare strategie nel mondo del vino puntando sul concetto di millennials, che in realtà è un termine che rappresenta soggetti molto diversi. Ci sono i giovani ricchi, ci sono quelli colti, ma ce ne sono tanti che sono poveri, disoccupati o incolti. In Italia come nel mondo. Più che sui dati anagrafici sarebbe forse più utile fare un passo in più e porsi il problema di diffondere la cultura del vino usando tutti i mezzi esistenti (ma gestiti da persone preparate) senza dimenticarsi che in realtà ci sono anche i “perennials”. La tecnologia ha infatti cambiato gli stili di vita e allungato la prospettiva di vita. Ci sono persone che, a qualsiasi età (dai 18 agli 80 anni poco importa), possono spendere, lavorano, fanno sport, seguono quel che avviene nel mondo, sono al corrente delle nuove tecnologie, hanno amici di tutte le età, sono curiosi e altruisti e vivono il mondo in senso globale. Le grandi compagnie del web non dividono i consumatori per classi di età, ma per gusti e acquisti. Netflix e Amazon non suggeriscono film o beni sulla base dell’età, ma per ciò che interessa.
Francamente anche per il mondo del vino definire classi di età per vendere ci sembra sbagliato: valori e passioni comuni potrebbero essere gli obiettivi su cui costruire nuovi modi di comunicare rivolgendosi a tutti. Anche perché dopo i millennials arriveranno altre generazioni...
di Alberto Lupini
direttore
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