martedì 27 dicembre 2022

Sovranità alimentare. Cosa significa realmente? Critiche presunte?

 Sovranità alimentare,  

Cosa significa realmente? 

Critiche presunte?

Giampietro Comolli
Fra l’agroalimentare e l’enogastronomico, quale sfida e strategia dei ministri del Governo? Meloni e la presunta o reale sovranità agroalimentare di sinistra?

Premetto subito: non ho votato il governo Meloni, sono un ex giovane cristiano democratico, fautore politicamente dei primi governi di centro-sinistra, fan di Berlinguer, di Mattarella e di Pertini, ho creduto in un Ulivo. 


Figlio di un comandante partigiano pluridecorato, nipote di un internato in Germania, pronipote di un ingegnere ferroviario sindacalista dopo la metà dell’800 nella Firenze capitale del Regno, di un fisico nucleare come Edoardo Amaldi e procugino di Enrico Fermi, sempre da parte di padre. Sono nato in un campo della pianura padana, sono 65 anni che mi piace mettere la mani nella terra, nell’orto, in cucina nel piatto e nel bicchiere. 

Oggi non mi sento defraudato, colpito, offeso dalla nuova intestazione del ministero dell’agricoltura e della “sovranità alimentare”, purch llo si pratichi concretamente e non diventi un sovranismo. “ismo” nella lingua italiana è un suffisso sempre negativo.  L’Italia agricola per natura, storia, tradizione valore economico (oggi vuol dire fra diretto e indiretto 240 miliardi di euro l’anno) ha addirittura abolito il ministero nel 1997, spogliato di gran parte delle deleghe a favore delle regioni e fatto rientrare dalla finestra come politica agricola: nessuno si è scandalizzato e ha gridato “ al lupo al lupo”, se non pochi come me.

 

Mi ricordo che sul tema “sovranità” , prima che Macron stesso nel 2017 adottasse la stessa dizione ministeriale, intervenne più volte Carlin Petrini (mi sono iscritto nel 1986 a ArciGola con tessera nr 18) e successivamente con la costituzione della Università di Pollenzo sostenendo che è un termine che non ha alternative, rappresenta il diritto di ciascun popolo a scegliere la propria alimentazione e un modello-sistema produttivo con alcune caratteristiche e patenti speciali, compreso quello della sostenibilità. 

Viceversa si deve parlare di una alimentazione globale tutta incentrata sulle regole del Wto e sulla priorità del commercio fra Stati.  Definizione univoca ma anche molto complessa e diversificata, dicevano e hanno scritto più volte diversi movimenti e sindacati di contadini e agricoltori vicino a idee politiche socialiste di sinistra, come campi aperti, via campesina, dermons in Belgio. Sicuramente la dizione “sovranità alimentare” ha anche come fondamento l’idea solidale del cibo fra popoli, una posizione avversa alle multinazionali e alla grande distribuzione organizzata. Quindi la sovranità alimentare è solo una questione di coniazione, di un diritto e un dovere solo di sinistra?

 

Trovo fuori tema, disperdente, infruttuoso, anacronistico assistere alla disquisizione se la gallina è bianca o rossa,  su chi ha deciso, chi ha scelto ( e perché) nel governo Meloni la titolazione “sovranità” aggiunta al ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. La dizione “sovranità alimentare” ha un brevetto, è stato registrato, esiste una interpretazione diversa su qualche vocabolario e in qualche testo universitario e accademico di agronomia? Sta di fatto che il temine “sovranità” da qualunque parte lo si legga o lo si scriva è espressione di una idea ben chiara ( mi auguro soprattutto più di fatti, azioni, misure) e non può cadere in una banale e superficiale fra banchi politici avversi. Appare come in asilo quando due bambini vogliono giocare con la stessa palla. 


Gli agricoltori e i consumatori (fra l’altro anche elettori) non vogliono vedere queste scempiaggini. In verità, ripeto, vuole significare al mondo che il luogo di produzione, il metodo di produzione, il know how ha una titolarità di un popolo, come tale ha un valore, non economico ma istituzionale,   sovrano e sostenibile, rappresenta quindi un “messaggio” pubblico forte e chiaro a tutti, ad iniziare dall’Europa. Sicuramente è una operazione che necessita tempo, è una transizione operativa molto difficile, anche espressione di una solidarietà e sostenibilità. La verifica vera deve essere fatta nei fatti che verranno messi in campo e non in una definizione etimologica e linguistica.

             

Io lo vedo più come una scommessa, un obiettivo, una meta che deve svolgersi, nei fatti ripeto,  nell’arco di 5 anni, altrimenti sarebbe un autogoal che costerebbe molto caro al Governo Meloni oppure una velinata o lenzuolata di passata memoria che ha prodotto più incertezze e debiti da parte degli utenti poichè nel mercato libero vince sicuramente il più forte in mezzi e in quantità. Peggio è se le critiche cadute da una parte ben precisa dell’opinione pubblica e della carta stampata volesse essere un mettere le mani avanti perché qualcun altro non ci ha pensato prima! Oppure qualcuno teme che sia un danno? Un danno credere che l’Italia debba essere “responsabile” di una politica alimentare che tuteli, difenda, sostenga, promuova un modello produttivo e una qualità super-certificata? 


Penso agli oltre 11 controlli che ha un solo litro di  vino Docg e Doc  in Italia dal vitigno alla tavola, rispetto anche ad altri paesi produttori europei come la Francia o l’Austria. L’Italia non può dichiarare pubblicamente che punta ad un modello di produzione alimentare secondo regole “proprie”, sostenibili e artigianali, qualitative e tracciabili, certificate e garantite?   Spero solo che il tutto sia trasformato in fatti, perché non è una scelta negativa e controproducente come sostiene qualcuno.    

 

Anche recentemente molti docenti universitari, accademici ed esperti sono intervenuti, spesso figure al di fuori del solito agone partitico-politico ma anche espressione di parte che hanno commentato fuori dalle righe, quasi una condanna preventiva, una totale traduzione del termine sovrano in sovranismo e populismo. Perché è il popolo dei contadini e agricoltori che decide quale prodotto agroalimentare produrre in base a condizioni tecniche e a scelte economiche: sta alla politica, a un ministro, a un governo stabilire una politica agricola nazionale, come sarebbe opportuno che l’Italia finalmente dopo 40 anni di assenza, producesse una strategica politica industriale nazionale di asset e di sviluppo. 

La sovranità alimentare deve partire dalla terra e da chi ha la terra da coltivare, ma la politica può intervenire in modo chiaro: ricordo l’accettazione delle quote latte, la chiusura degli zuccherifici in Italia, il crollo della Federconsorzi, le quote delle vigne, le distillazioni obbligatorie, i vincoli minimali delle superfici green o non coltivate. Quindi certe “leggi” anche europee incidono eccome sulla sovranità alimentare dell’Italia. Quindi, chiedo ai lettori, l’Italia ha il diritto – nel rispetto dei Trattati e delle deleghe alle Regioni –  di scegliere quale politica agricola nazionale e sovrana indicare e proporre?  Non ci si oppone all’UE, ma la sovranità alimentare , in pratica, può essere un baluardo alle mono-colture intensive, alle Ogm e può incentivare, oggi, la biodiversità, la multilateralità, la polifunzionalità di imprese (piccole e grandi in modo diverso) e i distretti più sotto “stress” climatico e ambientale che incide fortemente su residenzialità fissa, occupazione,  produzione.

Giampietro Comolli

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