Ècominciata la raccolta dell’olio in tutta Italia e, a Dio piacendo, anche quest’anno il nostro Paese riuscirà a produrre circa 300 milioni di litri. Una stima esigua, se si pensa che ne consumiamo almeno il doppio e quindi, abbiamo bisogno di attingere oli dall’estero, spesso di scarsa qualità. Credo di essere un inguaribile appassionato del mio lavoro che ha la fortuna di girare decine di regioni dal Trentino alla Sicilia, scoprendo ogni volta territori olivicoli meravigliosi, tra cui castelli, masserie, ruderi antichi di millenni e distese di olivi, che emozionano ogni volta.
Nel mondo, nessuno ha la fortuna che abbiamo noi: deteniamo oltre cinquecento varietà di olive che, se raccolte e frante - e soprattutto conservate bene - danno aromi e persistenze eccellenti, che vanno ad esaltare i piatti della nostra tradizione. Dobbiamo però insegnare che, per produrre un grande olio, la filiera della produzione deve essere strettissima e senza sbavature di alcun tipo. Ad esempio, nei miei viaggi in Sicilia, Puglia e Campania, continuavo a sentirmi dire da alcuni produttori che la filtrazione non apportava nessun miglioramento.
All'Italia non basta la produzione internaSì alla filtrazione, subito. No alla plastica
Oggi è acclarato che filtrare immediatamente l’olio, elimina i sedimenti e le impurità, così da renderlo pulito e senza difetti al naso. Ma ancora le miscredenze antiche, tramandate da avi poco consapevoli, sono dure a morire. L’olio non filtrato, inevitabilmente, dopo pochi mesi, non avrà più profumi e si sentirà nettamente il difetto di morchia. Altra considerazione che vorrei diventasse normalità: oltre ai tre acerrimi nemici dell’olio, che ricordiamo essere aria, luce e calore, l’olio assorbe tutti gli odori, sia positivi, sia negativi, se ci resta molto a contatto. Al frantoio, è sbagliatissimo mettere l’olio in taniche di plastica, maleodoranti di questo materiale, che danneggiano il profumo di un olio fatto bene.
Speravo che in questi anni fosse ormai consolidata l’idea che il gas inerte, come l’azoto o l’argon, preservassero tantissimo il prodotto da micro-ossidazioni che avvengono nei contenitori di acciaio inox e che quindi, anche una piccola spesa fosse fattibile, per il bene dell’olio, che in questa maniera può durare più anni.
Un problema dei grandi produttori. Serve formazione
Invece noto purtroppo ancora molta diffidenza tra i produttori. E non parlo degli “hobbisti”, appassionati degli olivi, country chic, che si ritrovano in casa ottanta o quattrocento olivi, che attendono il mese di ottobre per celebrare la festa della raccolta, divertendosi e conservando il poco olio prodotto per un uso casalingo. Qui sto parlando di veri e propri produttori, censiti almeno in ottocentomila tra piccoli e grandi, sparsi in diciassette regioni italiane e di questi, le aziende di alta qualità, sono poche decine di migliaia.
Stop ai falsi miti
Dobbiamo allora far comprendere alle nuove generazioni che sono cambiate le metodologie per produrre un olio di qualità e che, anche con dispiacere e qualche mal di pancia, dobbiamo alzare la voce con i nostri familiari o colleghi e far capire cosa è meglio per la realizzazione di un grande prodotto, che ci invidiano nel mondo. Perché come grido sempre con grande forza: l’olio è una cosa seria!
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