sabato 31 dicembre 2022

L’alimentazione aiuta a migliorare le capacità intellettive? (2. parte)

 L’alimentazione può aiutare 

a migliorare le capacità 

intellettive? (2. parte)


Problemi etici (e giuridici) sollevati dall’uso di potenziatori riguardano 
 fondamentalmente la sicurezza, la libertà personale e l’equità. Il futuro è in mano nostra e cerchiamo di utilizzare ciò che la scienza ci potrà offrire con oculatezza.

Come ho sottolineato nel pezzo precedente, le persone dalle elevate capacità intellettive sono sempre state molto apprezzate nelle società del passato e del presente e in fin dei conti dobbiamo proprio a queste ed al loro intelletto le grandi scoperte scientifiche, le grandi opere letterarie ed artistiche ed il progresso tecnologico e culturale in generale.

Sappiamo però che dall’altra parte esistono delle persone che hanno delle capacità intellettive scarse, come pure che diverse patologie di tipo degenerativo portano ad una progressiva perdita delle facoltà intellettive quali memoria ed intelligenza.

Se in un passato non lontano poteva sembrare fantascienza, oggi, oltre alle classiche sostanze stimolanti contenute in diverse piante e note per la loro capacità di renderci più svegli e più capaci di mantenere la concentrazione per tempi più lunghi, come le diffusissime caffeina e teobromina, perfettamente legali ed onnipresenti, o l’illegale cocaina, abbiamo veramente a disposizione delle sostanze farmaceutiche capaci di potenziare le attività cerebrali.

Restare svegli e concentrati per ore e ore, giorno e notte, migliorare le proprie capacità di memoria e non sentire la fatica non è più soltanto un desiderio, ma è ormai una realtà.

È il neuroenhancement, o potenziamento cognitivo. Si definisce come un aumento delle prestazioni intellettive principalmente grazie all’assunzione di alcuni farmaci oppure a stimolazioni transcraniche (elettriche o magnetiche).

 

Droghe intelligenti

 

Alcuni chiamano questi farmaci smart drugs (droghe intelligenti), ma in effetti si tratta di farmaci perfettamente legali studiati ed usati per attenuare gli effetti sulle capacità intellettive di disturbi o malattie come la sindrome da deficit attenzionale ed iperattività oppure il morbo di Alzheimer o di Parkinson o problemi del sonno, che se somministrati alle persone sane possono ottenere come effetto un potenziamento delle capacità

 

intellettive più o meno lungo. Tali farmaci sono chiamati anche nootropi. “Nel mondo anglosassone l’utilizzo di questo genere di farmaci da parte di studenti è risaputo e i giornali ne parlano spesso. Nell’Europa continentale, invece, l’impressione nell’opinione pubblica è che si tratti di uno scenario futuribile. Non è così”, dice Agnes Allansdottir, psicologa sociale che lavora al progetto europeo NERRI (Neuro-Enhancement Responsible Research and Innovation), il cui obiettivo è facilitare il dialogo sociale sul potenziamento cognitivo e elaborare una serie di linee guida per i legislatori europei. Sono stati proprio numerosi scienziati, interpellati dalla prestigiosa rivista “Nature”, ad ammettere, in un sondaggio anonimo online, che non solo ritengono lecite queste sostanze (l’80% dei quasi 1500 che hanno risposto), ma di farne

personalmente uso (il 20%). Questi farmaci agiscono sui processi di eurotrasmissione, ovvero nel passaggio degi impulsi nervosi da un neurone all’altro. Il farmaco più usato a questo scopo è il metilfenidato, indicato solo per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività dei bambini, ma in realtà diffuso nei college americani per facilitare gli studi. Ci sono, poi, il modafinil (approvato per alcuni disturbi del sonno, assunto invece per restare svegli notti intere), o i classici beta bloccanti, prescritti comunemente per patologie cardiovascolari, ma ai quali si ricorre per tenere a bada il batticuore scatenato da una prestazione importante o da un esame.

Oltre a migliorare la memoria, si cerca anche come poterla modificare, a esempio cancellando ricordi spiacevoli, il che potrebbe servire a prevenire sindromi post traumatiche.Ma oggi i farmaci sembrano non essere l’unica possibilità. Esiste, ad esempio, una mole sempre più considerevole di studi (circa 200 fino ad oggi) che suggerisce l’efficacia della stimolazione cerebrale transcranica (attraverso elettrodi posti sul cuoio capelluto che danno un impulso magnetico o elettrico) per migliorare le capacità cognitive. Anche il

mercato sembra non aver tardato ad approfittarne producendo stimolatori “casalinghi” di dubbia efficacia.

Questa metodologia, utilizzata a fini terapeutici in casi di depressione, Adhd, e

riabilitazione di deficit motori o cognitivi dopo un ictus, nei soggetti sani sembra determinare un miglioramento della memoria verbale e visivo-spaziale, dell’attenzione, delle abilità numeriche. Ma le previsioni si spingono ancora più in là. C’è chi valuta (per ora a livello teorico) l’impiego cerebrale delle cellule staminali per accrescere capacità e velocità delle funzioni mnemoniche e di apprendimento e chi, in futuro, vede la possibilità di far ricorso anche alla chirurgia ed agli impianti.

 

Ma c’è un limite?

 

Dov’è il limite, dunque? Qual è la differenza con il comunissimo caffè che beviamo quotidianamente? Problemi etici (e giuridici) sollevati dall’uso di potenziatori riguardano fondamentalmente la sicurezza, la libertà personale e l’equità. Nel primo caso è una questione di rapporto tra rischi e benefici. Gli effetti collaterali o la possibilità di gravi reazioni avverse a questi farmaci possono essere giustificati per curare una malattia, ma non per migliorare le proprie prestazioni. Ben vengano questi farmaci se riescono a sopperire a deficit cognitivi per aiutare le persone che hanno dei problemi, cautela invece se si vuole potenziare le proprie capacità.

Per la questione della libertà personale intendo che nessuno dovrebbe mai essere obbligato ad assumere delle sostanze che non vuole, il che è una regola universale, ma dall’altra parte ritengo che in casi particolari, posso fare l’esempio di un chirurgo ingaggiato in un complicato intervento che dura diverse ore, oppure di una squadra di scienziati ingaggiati per la soluzione rapida di qualche grave problema, sia lecito assumere dei potenziatori cognitivi. L’equità invece si riferisce all’accessibilità di questi farmaci, in modo che possano averli a disposizione tutti, e non solo delle elites di privilegiati. Se così non fosse si verrebbe a creare una disparità di fondo finendo per non premiare coloro che invece sono meritevoli per il loro lavoro e le loro capacità innate.

Che dire? Il futuro è in mano nostra: cerchiamo di utilizzare ciò che la scienza ci potrà offrire con oculatezza.                                                            (2,FINE)                                                                                                  

 

Denis Stefan

 

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