Natale 2025
non è una festa:
è un progetto
(e chi sbaglia
paga il conto)
Tra richiami ai sapori dell’infanzia, approcci plant-forward e costi in crescita, il Natale 2025 diventa per ristoranti e hotel un banco di prova operativo complesso. Servono menu scalabili, proposte inclusive, storytelling chiaro e un servizio capace di creare emozioni oltre il piatto: ecco cosa
funziona davvero
Redattore
Dimentichiamo la poesia del “Natale è magia”: nell’Horeca 2025 il Natale è un’operazione complessa, quasi un audit emozionale con adrenalina incorporata. Gli ospiti vogliono sentirsi a casa, ma senza rinunciare a una cura che a casa non esiste. Vogliono tradizione, ma non quella noiosa. Vogliono piatti rassicuranti, ma anche un colpo di scena -purché dichiarato, che le sorprese a Natale piacciono, ma non quando sono nel conto. Il punto è semplice: Natale non è più un menu, è una customer experience ad alto rischio di frustrazione. E chi non la progetta con metodo, identità e realismo finisce per servire più aspettative del necessario e meno margini del previsto.
Quando si festeggia davvero il Natale
Un primo passo da tenere in considerazione è il collocamento geografico e il tipo di struttura che presta servizio. «Una distinzione riguarda l’aspetto temporale e culturale: in Italia, per esempio, nel Nord il pasto più importante è generalmente il pranzo del 25, mentre dal centro verso il Sud assume maggiore rilevanza la cena della Vigilia del 24. Queste differenze culturali si riflettono anche sulla ristorazione professionale, sia nei ristoranti tradizionali sia nelle strutture alberghiere», dice Manuel Windegger, esperto dell'accoglienza.

In questo senso Windegger chiarisce: «Gli hotel, soprattutto in montagna o nelle destinazioni termali, lavorano su soggiorni che non durano un solo giorno. Il periodo natalizio è uno dei pochi momenti dell’anno in cui le persone si fermano qualche giorno in più. In queste situazioni si struttura non solo la Vigilia e il pranzo del 25, ma spesso anche il 26».
Il cliente 2025 vuole emozioni, non solo piatti
Il pubblico si mostra sempre più esigente e consapevole. La scelta del ristorante non si basa più soltanto sulla qualità del cibo, ma sull’intera esperienza che include atmosfera, servizio, impiattamento e coerenza della proposta. L’approccio “plant-forward”, la chiarezza sulle filiere e l’attenzione agli allergeni sono ormai considerati standard. Accanto a questi elementi prende forma una tendenza sempre più forte verso un’esperienza multisensoriale, nella quale ogni piatto deve essere capace di raccontare una storia e trasmettere un’emozione, soprattutto in un contesto celebrativo come quello natalizio. Anche se alla fine, a Natale, vince quasi sempre la tradizione, magari reinterpretata in modi differenti, ma sempre là si torna.
Secondo Windegger «per quanto riguarda Vigilia e Natale, la distinzione pesce/carne in gran parte d’Italia resiste ancora, anche se dipende molto dalla tradizione locale. In alta montagna, ad esempio, può avere più senso puntare sui piatti tipici del luogo piuttosto che imporre il pesce». «Credo - aggiunge - che serva un equilibrio tra elementi di tradizione e qualche proposta capace di stupire». Sì alla sorpresa, dunque, purché sia una sorpresa dichiarata: «Quando promuovi un menu devi comunque presentare i piatti principali. Ci sono ricette che non possono mancare - in base al territorio e allo stile del ristorante - e altre che possono essere rivisitazioni interessanti. Oggi poi bisogna considerare anche allergie e intolleranze: mettere d’accordo una famiglia non è semplice, quindi serve una proposta chiara, lineare e a un costo adeguato».
Tradizione sì, ma con nuove regole (anche senza carne)
«La cucina italiana - dice ancora il consulente - è meravigliosamente varia, quindi non esiste un’unica regola valida per tutti. A Natale le persone vogliono ritrovare i sapori dell’infanzia: rinunciare a questi piatti sarebbe un errore, anche se il costo delle materie prime può crescere». Tuttavia c’è chi questa tradizione la propone in maniera estremamente rivisitata, anche rinunciando a carne e pesce. «La parola d’ordine - dice Masha Facchini, titolare col marito Luca Maccarone di Sementis a Pietrasanta (Lu) - è inclusività, nel senso che è un menu adatto a tutti: non utilizziamo derivati animali e questo ci permette di andare incontro a tantissime esigenze, sia dal punto di vista etico sia da quello della salute. Ci sono persone che, per motivi di salute, non possono mangiare prodotti di origine animale oppure hanno allergie e intolleranze a latticini, uova, ecc, tanto che quest’anno abbiamo lavorato per proporre anche una versione completamente senza glutine. Allo stesso tempo manteniamo viva la tradizione, che per noi non è qualcosa di fermo e immutabile, ma qualcosa che può evolvere attraverso l’utilizzo di ingredienti vegetali, mantenendo però gli stessi sapori e gli stessi ricordi dell’infanzia».

Quindi spiega: «Proponiamo un menu completo dall’antipasto al dolce. Dal nostro punto di vista, la chiave - pur interpretata secondo la nostra filosofia - è puntare sui sapori tradizionali, quelli legati ai ricordi e alle emozioni dell’infanzia, che spesso parlano anche alle persone più anziane. Per altre occasioni, come il cenone di Capodanno, invece lasciamo più spazio alla creatività, perché il target è un po’ diverso e proponiamo piatti più particolari. Un Natale senza arrosto, quindi, è assolutamente possibile: posso assicurare che non si sente la differenza a livello di sapori».
Costruire il menu: ritmo, identità e scalabilità
La progettazione del menu natalizio deve partire dal concept del locale, perché ogni piatto deve risultare coerente con la firma culinaria dello chef e con il posizionamento del ristorante. La costruzione della sequenza richiede particolare cura: il ritmo dei piatti, l’alternanza tra preparazioni più ricche e proposte più leggere, il bilanciamento tra comfort food e innovazione sono aspetti determinanti. «Molti ristoranti scelgono di mantenere la carta, ma queste occasioni sono ideali per proporre piatti che durante l’anno magari non ci sono, oppure per presentare versioni festive dei propri classici. Mettere d’accordo una famiglia non è semplice, quindi serve una proposta chiara, lineare e a un costo adeguato», spiega Windegger.
Il conto nascosto del Natale: costi, extra e formule
La gestione dei costi assume un ruolo strategico, così come la capacità di sviluppare alternative vegetariane, vegane o senza glutine che non risultino soluzioni “di servizio”, ma parti integranti del menu. Windegger suggerisce di partire dal piatto portante - quello più atteso dalla propria clientela perché un dish signature o perché considerato irrinunciabile in quanto legato alla tradizione natalizia - e poi strutturare il resto della proposta, in modo da poter assorbire eventuali rincari della materia prima.
Un altro tema centrale è la scalabilità: il menu di Natale deve funzionare anche su grandi numeri, garantendo qualità e tempestività di servizio in condizioni di forte pressione. «Può essere utile - commenta Alberto Presutti, maestro di bon ton dell'ospitalità - predisporre un menu chiaro con il prezzo definito in anticipo, così da evitare che qualcuno debba occuparsi dei conti durante o al termine del pranzo. Per quanto riguarda le bevande, spesso ci sono menu con bevande incluse o escluse. Se si propone un menu “all inclusive”, è importante comunicare chiaramente cosa è incluso senza essere invadenti: gli ospiti devono avere chiaro sin dall’inizio il costo totale e la possibilità di eventuali extra».

Per Windegger, calcolare il prezzo finale di un menu di Natale non significa limitarsi al food cost: «Occorre considerare tutti gli elementi straordinari della festività: il costo aggiuntivo del personale, l’intrattenimento musicale o artistico, eventuali servizi extra come guardaroba, parcheggiatore, la SIAE, e l’andamento del consumo di bevande». Offrire una formula “all inclusive” comporta prevedere che gli ospiti berranno più del previsto, quindi bisogna essere realistici su quantità e margini. Il consulente consiglia anche di strutturare menu differenziati per prezzo e contenuto già in fase di progettazione. Questa strategia permette di offrire ai clienti chiarezza sul costo totale e facilita la gestione interna del ristorante, garantendo margini sostenibili e prevenendo spiacevoli sorprese economiche.
L’atmosfera che funziona (senza fare Disneyland)
Presutti evidenzia come la riuscita di un pranzo di Natale non dipenda solo dai piatti, ma dall’esperienza complessiva in sala. «Il pranzo di Natale è un momento assolutamente importante per gli ospiti che scelgono di mangiare in un ristorante. Per questo è fondamentale che i tavoli siano curati e allestiti con tovaglie, preferibilmente con colori tipici del Natale, come il rosso e il verde, per dare subito un tono festivo all’ambiente». Presutti approfondisce l’allestimento della tavola, sottolineando la necessità di piatti, sottopiatti e bicchieri adeguati, incluso quello per il vino bianco, evitando un eccesso di flute che potrebbe creare ingombro. L’atmosfera deve essere calda e accogliente: albero di Natale, illuminazione soffusa e musica di sottofondo che accompagni senza disturbare.
Come comunicare un menu natalizio che non fa sbadigliare
La presentazione del menu nel 2025 non è più un semplice complemento, ma un vero fattore competitivo. I ristoranti che curano l’estetica delle carte, l’impaginazione dei menu digitali e la narrazione sui social riescono a valorizzare meglio il proprio lavoro. Lo storytelling deve essere essenziale ma efficace, capace di raccontare l’origine degli ingredienti o l’idea alla base di un piatto senza appesantire il racconto. Anche l’impatto visivo, sia in sala che online, contribuisce a rafforzare la percezione della proposta come moderna, curata e coerente.
«Il servizio - analizza Presutti - è come quello che viene svolto tutto l’anno, magari se è un pranzo più importante è richiesto che i camerieri servano ai tavoli con maggiore attenzione. Non è mai bello vedere i camerieri incombere sui tavoli durante il desinare in attesa che gli ospiti terminino i loro piatti: l’attenzione deve essere cortese ma non invadente. Una cosa importante è non forzare gli ospiti a terminare entro un certo orario, perché a Natale si tende anche a socializzare di più e quindi a voler rimanere a chiacchierare un po’ di più».
Natale tra ricordi e modernità
Il Natale 2025 premia solo chi sa giocare su due tavoli: memoria e innovazione, cuore e ingegneria gestionale. È finita l’epoca del “facciamo il classico menu e vediamo come va”: oggi vince chi racconta, organizza, prevede e sorprende con misura. E soprattutto chi capisce una cosa semplice: per i clienti, il Natale fuori casa deve saper emozionare come quello di una volta. Per i ristoratori, invece, deve far quadrare i conti come un 25 dicembre molto, molto maturo.


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