Influencer puro
o testimonial?
Una linea sottile
tra due mestieri diversi
Dal negozio di paese all'e-business fino alla condivisione di un'esperienza sul web. Qui si collocano gli influencer, dalla moda alla ristorazione. Ma quando uno di questi riceve e merce e denaro, allora è testimonial. Quando questo confine salta, ecco venir meno la deontologia del mestiere
Tra le molte conseguenze innescate da circa trent’anni a questa parte dal mondo internet, qui segnaliamo quella che, in prima analisi fu denominata, la locuzione permane, la rivoluzione cognitiva. Con il web 2.0, in esso inserendo il blogging ed i social media, tale rivoluzione cognitiva è divenuta dirompente e pervasiva. Parallelamente, fenomeno di respiro medio-lungo, si constata l’evoluzione di funzioni e di ruoli. Chi produce continua a produrre ma il suo vantaggio competitivo sempre più si palesa nella componente di erogazione del sotteso servizio. Chi consuma, ovvero tutti noi tutti i giorni più volte al giorno, continua a consumare ma il suo grado di soddisfazione sempre più è funzione di quanto fruito, ovvero della cruciale componente di servizio sottesa al prodotto.
Come i due aspetti dell’evolvente realtà digitale, ovvero la rivoluzione cognitiva in essere e la commutazione costante e soft tra produrre/erogare e consumare/fruire, si incontrano? E nell’incontrarsi, cosa determinano? E qual è l’impatto nel mondo della ristorazione? Dirompente effetto cagionato da questo incontro: lo shift di importanza da seller a buyer. Ieri l’imbonitore che ciarla a suddito analfabeta, oggi, il fruitore avveduto e responsabile che ha contezza precisa, costante e virtuoso il suo fine tuning, su come, dove, perché e quando, desidera un oggetto/servizio.
Ciò determina che a fronte di uno start-up che è immutato nel suo tratto essenziale: soddisfare un bisogno, esaudire un desiderio, il percorso che ne consegue vive una situazione di apparente paradosso: si allunga di uno step e nel contempo accorcia i suoi tempi.
Nel passato, allorquando il mobile device, ancora non esisteva, a valle dello start-up/stimolo, ci si recava nel luogo fisico chiamato negozio. Fondamentale la funzione del negozio, con le sue vetrine, le sue scaffalature, il suo commesso. Svolgeva (ancora svolge) l’importante funzione di supplire alle asimmetrie di un dove e di un quando. Ciò di cui ho bisogno, né posso andare a prenderlo laddove è stato prodotto (forse non ne ho contezza alcuna), né posso sentirmi costretto a farlo mio nel momento appena successivo alla sua produzione. Una logistica, una ribalta (anche nel senso di vetrina propriamente intesa), un debito informativo saldato a costo (apparentemente) zero, dal commesso che... lui sì che ne sa!
Ciò che cerco lo trovo a scaffale e quindi, cruciale la fase di transazione, esso diviene mio. Torno a casa e quel prodotto da me acquistato, ovvero a me venduto, comincio a consumarlo. Ecco il secondo momento cruciale. Il primo è quando lo compro ed il secondo è quando lo consumo o, meglio, per moltissime circostanze, comincio a consumarlo (mi sovviene un paio di scarpe: le uso fino a... consumarne suola, punta e tacco!). Mi piace? È in linea con le mie aspettative? Di meno? Di più?
Attualmente, invece, i momenti sono tre e quello che si è aggiunto, attenzione, non sta a valle, non si frappone ai due pregressi, bensì, sta a monte. Sta prima del... primo; è sorta di momento zero.
Ed in cosa consiste questo momento zero? Consiste nell’attrezzarsi adeguatamente allo scopo di non giungere al momento 1 gravato da debito informativo. Del prodotto/servizio di cui intendo giovarmi oggi so quasi tutto. Ho saldato ampiamente il mio debito informativo grazie alla conoscenza che la rete a saputo dare a me; a me che ho saputo e voluto cercarla questa conoscenza, ovvero questa sommatoria di informazioni, notizie, giudizi, pareri ed opinioni che ho saputo e voluto raccogliere a mio beneficio.
Ma sovente, il momento zero, laddove ben vissuto e laddove le circostanze a contorno lo consentano, mi abilita mutazione di scenario e di contesto del momento 1. Non mi reco fisicamente nel negozio. Applicazioni di e-business oramai consolidate, anteriori addirittura al web 2.0, hanno risolto efficacemente le asimmetrie per supplire le quali il negozio nacque, e pertanto, di servizio e-commerce fruendo, atteso che esegua valida transazione, ricevo comodamente a casa il prodotto. Ed il momento 2? Vive, ci mancherebbe altro, intensamente vive. Anzi, attenzione a quanto ci accingiamo a scoprire adesso.
Siccome, piuttosto che clienti, oggi siamo membri della community always on, sapete cosa accade a valle dell’esperienza vissuta con il momento 2? Accade che comincio a condividere in rete la mia esperienza. E racconto, e dico cosa ne penso, esprimo la mia opinione. Sto fruendo di un prodotto/servizio e nel contempo sto erogando “set informativo” intorno a questo prodotto/servizio. E cosa ne conseguirà? Ne conseguirà che il momento zero di tantissimi altri membri della community always on sarà arricchito rispetto a quello da me vissuto, anche e proprio grazie al mio contributo. Siamo fruitori di servizi ed erogatori di “set informativo incrementale” rispetto a quel servizio.
Ma nell’edificare il momento zero di un altro membro della community always on, quanto “pesa”, quanto “è valevole”, quanto “è importante” il mio tassello di “set informativo incrementale”? Dipende! Posso essere uno tra i tanti, vagando in anonimato, posso essere uno che... influenza. Posso essere, termine così tanto di moda anche nel mondo della ristorazione, un “influencer”.
E come si acquisisce un’autorevolezza tale da essere riconosciuto “influencer” dalla community always on in essa includendo, sia chiaro, anche i soggetti produttori/erogatori (i ristoratori, nel caso di specie)? Probabilmente e presumibilmente perché si vivono di volta in volta, con particolare accuratezza, sapendo dedicare tempo, energie, risorse, i momenti 1 e 2; il 2 ancor più e meglio del momento 1.
E poi, cammino facendo (la strada si fa camminando, non dimentichiamolo) ci si organizza per cantare fuori dal coro e per essere facilmente individuabili. Investendo in organizzazione e competenza, ci si costruisce il proprio blog. Averlo non sarà sufficiente, anzi sarà controproducente, se non lo si mantiene, se non lo si aggiorna, se non lo si rende sempre più attraente. E ciò comincia a costare, e neanche poco.
E dopo aver fatto ciò per un tempo considerevole, una volta si sarebbe detto dopo aver fatto “gavetta”, si diventa “influencer”. E si cominciano a contare i followers. Cosa mica da poco! E cosa racconto ai miei followers? Gli esiti dei miei momenti 2 che sono conseguenti, va da sé, ai miei momenti 1. Il momento 1, ma è appena appena una mera, talvolta fastidiosa, technicality, contempla una fase che si chiama “transazione”, ovvero “pago per il prodotto acquistato” e/o “pago per il servizio fruito”.
E se, la distrazione si sa, è sempre in agguato, ci si distrae contestualmente in due e per distrazione non pago e per distrazione il venditore non si avvede che non pago e non reclama il mancato pagamento? Pazienza, una volta (ma anche due, per carità), può capitare. E se, una distrazione tira l’altra, e distrattamente si capovolgono i ruoli ed è l’influencer a ricevere il pagamento (oltre alla merce)? Quanto ancora attendibili le sue opinioni saranno?
Se il venditore cede merce e soldi e l’influencer entra in possesso di merce e soldi, allora non si è più influencer, si è testimonial. Ed un testimonial è cosa altra da influencer. Ed allora, atteso che fare l’influencer può diventare un mestiere, da dove dovrebbero provenire allora i ricavi per un influencer “puro”? Presumibilmente dal suo blog, mediante due canali. Il primo, classico per assunto di paradigma, mediante programmatic advertising accettando solo ambiti merceologici esterni al proprio; il secondo, sapendo adoperare quelli che, stante la numerica dei followers, sono i Big Data, da essi facendo scaturire “set informativo incrementale” questa volta a beneficio (nel caso di specie) dei ristoratori. Ristoratori che acquisiscono migliore conoscenza della loro clientela, del loro mercato attuale e potenziale, dello scenario, evolvente per definizione, nel quale agiscono.
Insomma, in trasparenza, ed in pace con tutti gli stakeholders, la revenue stream di un influencer puro che lavori nell’ambito della ristorazione, proviene sì dai ristoratori, ma non a fronte di sponde connotate da vistose lacune deontologiche e da assenza di rispetto verso i followers, bensì facendo consapevolmente divenire prezioso quanto, nella sua specchiata attività, l’influencer lavora in termini di dati. Dati che diventano informazioni. Il set informativo incrementale ad alto valore aggiunto. Il “momento zero” del ristoratore, la sua bussola, l’elemento costituente il suo dashboard.
Non è difficile!
Come i due aspetti dell’evolvente realtà digitale, ovvero la rivoluzione cognitiva in essere e la commutazione costante e soft tra produrre/erogare e consumare/fruire, si incontrano? E nell’incontrarsi, cosa determinano? E qual è l’impatto nel mondo della ristorazione? Dirompente effetto cagionato da questo incontro: lo shift di importanza da seller a buyer. Ieri l’imbonitore che ciarla a suddito analfabeta, oggi, il fruitore avveduto e responsabile che ha contezza precisa, costante e virtuoso il suo fine tuning, su come, dove, perché e quando, desidera un oggetto/servizio.
Ciò determina che a fronte di uno start-up che è immutato nel suo tratto essenziale: soddisfare un bisogno, esaudire un desiderio, il percorso che ne consegue vive una situazione di apparente paradosso: si allunga di uno step e nel contempo accorcia i suoi tempi.
Nel passato, allorquando il mobile device, ancora non esisteva, a valle dello start-up/stimolo, ci si recava nel luogo fisico chiamato negozio. Fondamentale la funzione del negozio, con le sue vetrine, le sue scaffalature, il suo commesso. Svolgeva (ancora svolge) l’importante funzione di supplire alle asimmetrie di un dove e di un quando. Ciò di cui ho bisogno, né posso andare a prenderlo laddove è stato prodotto (forse non ne ho contezza alcuna), né posso sentirmi costretto a farlo mio nel momento appena successivo alla sua produzione. Una logistica, una ribalta (anche nel senso di vetrina propriamente intesa), un debito informativo saldato a costo (apparentemente) zero, dal commesso che... lui sì che ne sa!
Ciò che cerco lo trovo a scaffale e quindi, cruciale la fase di transazione, esso diviene mio. Torno a casa e quel prodotto da me acquistato, ovvero a me venduto, comincio a consumarlo. Ecco il secondo momento cruciale. Il primo è quando lo compro ed il secondo è quando lo consumo o, meglio, per moltissime circostanze, comincio a consumarlo (mi sovviene un paio di scarpe: le uso fino a... consumarne suola, punta e tacco!). Mi piace? È in linea con le mie aspettative? Di meno? Di più?
Attualmente, invece, i momenti sono tre e quello che si è aggiunto, attenzione, non sta a valle, non si frappone ai due pregressi, bensì, sta a monte. Sta prima del... primo; è sorta di momento zero.
Ed in cosa consiste questo momento zero? Consiste nell’attrezzarsi adeguatamente allo scopo di non giungere al momento 1 gravato da debito informativo. Del prodotto/servizio di cui intendo giovarmi oggi so quasi tutto. Ho saldato ampiamente il mio debito informativo grazie alla conoscenza che la rete a saputo dare a me; a me che ho saputo e voluto cercarla questa conoscenza, ovvero questa sommatoria di informazioni, notizie, giudizi, pareri ed opinioni che ho saputo e voluto raccogliere a mio beneficio.
Ma sovente, il momento zero, laddove ben vissuto e laddove le circostanze a contorno lo consentano, mi abilita mutazione di scenario e di contesto del momento 1. Non mi reco fisicamente nel negozio. Applicazioni di e-business oramai consolidate, anteriori addirittura al web 2.0, hanno risolto efficacemente le asimmetrie per supplire le quali il negozio nacque, e pertanto, di servizio e-commerce fruendo, atteso che esegua valida transazione, ricevo comodamente a casa il prodotto. Ed il momento 2? Vive, ci mancherebbe altro, intensamente vive. Anzi, attenzione a quanto ci accingiamo a scoprire adesso.
Siccome, piuttosto che clienti, oggi siamo membri della community always on, sapete cosa accade a valle dell’esperienza vissuta con il momento 2? Accade che comincio a condividere in rete la mia esperienza. E racconto, e dico cosa ne penso, esprimo la mia opinione. Sto fruendo di un prodotto/servizio e nel contempo sto erogando “set informativo” intorno a questo prodotto/servizio. E cosa ne conseguirà? Ne conseguirà che il momento zero di tantissimi altri membri della community always on sarà arricchito rispetto a quello da me vissuto, anche e proprio grazie al mio contributo. Siamo fruitori di servizi ed erogatori di “set informativo incrementale” rispetto a quel servizio.
Ma nell’edificare il momento zero di un altro membro della community always on, quanto “pesa”, quanto “è valevole”, quanto “è importante” il mio tassello di “set informativo incrementale”? Dipende! Posso essere uno tra i tanti, vagando in anonimato, posso essere uno che... influenza. Posso essere, termine così tanto di moda anche nel mondo della ristorazione, un “influencer”.
E come si acquisisce un’autorevolezza tale da essere riconosciuto “influencer” dalla community always on in essa includendo, sia chiaro, anche i soggetti produttori/erogatori (i ristoratori, nel caso di specie)? Probabilmente e presumibilmente perché si vivono di volta in volta, con particolare accuratezza, sapendo dedicare tempo, energie, risorse, i momenti 1 e 2; il 2 ancor più e meglio del momento 1.
E poi, cammino facendo (la strada si fa camminando, non dimentichiamolo) ci si organizza per cantare fuori dal coro e per essere facilmente individuabili. Investendo in organizzazione e competenza, ci si costruisce il proprio blog. Averlo non sarà sufficiente, anzi sarà controproducente, se non lo si mantiene, se non lo si aggiorna, se non lo si rende sempre più attraente. E ciò comincia a costare, e neanche poco.
E dopo aver fatto ciò per un tempo considerevole, una volta si sarebbe detto dopo aver fatto “gavetta”, si diventa “influencer”. E si cominciano a contare i followers. Cosa mica da poco! E cosa racconto ai miei followers? Gli esiti dei miei momenti 2 che sono conseguenti, va da sé, ai miei momenti 1. Il momento 1, ma è appena appena una mera, talvolta fastidiosa, technicality, contempla una fase che si chiama “transazione”, ovvero “pago per il prodotto acquistato” e/o “pago per il servizio fruito”.
E se, la distrazione si sa, è sempre in agguato, ci si distrae contestualmente in due e per distrazione non pago e per distrazione il venditore non si avvede che non pago e non reclama il mancato pagamento? Pazienza, una volta (ma anche due, per carità), può capitare. E se, una distrazione tira l’altra, e distrattamente si capovolgono i ruoli ed è l’influencer a ricevere il pagamento (oltre alla merce)? Quanto ancora attendibili le sue opinioni saranno?
Se il venditore cede merce e soldi e l’influencer entra in possesso di merce e soldi, allora non si è più influencer, si è testimonial. Ed un testimonial è cosa altra da influencer. Ed allora, atteso che fare l’influencer può diventare un mestiere, da dove dovrebbero provenire allora i ricavi per un influencer “puro”? Presumibilmente dal suo blog, mediante due canali. Il primo, classico per assunto di paradigma, mediante programmatic advertising accettando solo ambiti merceologici esterni al proprio; il secondo, sapendo adoperare quelli che, stante la numerica dei followers, sono i Big Data, da essi facendo scaturire “set informativo incrementale” questa volta a beneficio (nel caso di specie) dei ristoratori. Ristoratori che acquisiscono migliore conoscenza della loro clientela, del loro mercato attuale e potenziale, dello scenario, evolvente per definizione, nel quale agiscono.
Insomma, in trasparenza, ed in pace con tutti gli stakeholders, la revenue stream di un influencer puro che lavori nell’ambito della ristorazione, proviene sì dai ristoratori, ma non a fronte di sponde connotate da vistose lacune deontologiche e da assenza di rispetto verso i followers, bensì facendo consapevolmente divenire prezioso quanto, nella sua specchiata attività, l’influencer lavora in termini di dati. Dati che diventano informazioni. Il set informativo incrementale ad alto valore aggiunto. Il “momento zero” del ristoratore, la sua bussola, l’elemento costituente il suo dashboard.
Vincenzo D’Antonio
Non è difficile!
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