15mila chiusure in 10 anni. Fipe: sempre meno bar in Italia
Crescono le difficoltà per uno dei simboli dello stile di vita italiano noto in tutto il mondo. Dal 2012 ad oggi il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15mila unità. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei locali non raggiunge il 50%. I dati comunicati a Rimini. Crescono gli imprenditori di nazionalità cinese e le difficoltà: costi del personale e degli affitti, caro bollette e inflazione
In 10 anni, chiusi 15 mila bar. Arriva dalla Fipe – la Federazione italiana dei pubblici esercizi – l’allarme sullo stato di salute dei bar nel Bel Paese.
Dal 2012 ad oggi il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15mila unità e ogni anno almeno 10mila imprese cessano l’attività. Il risultato è che il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei bar non raggiunge il 50%, ossia su 100 imprese che avviano l’attività ne sopravvivono meno di 50 a distanza di cinque anni.
Una situazione preoccupante che si accosta ai dati comunicati solo una settimana fa relativiall’aumento delle chiusure di bar e ristoranti: “tra il terzo trimestre 2021 e il terzo trimestre 2022 si è registrata, infatti, un’accelerazione delle cessazioni di attività: 17.804 unità in meno in un solo anno”.
Simbolo d'Italia a rischio
Il bar, tra i più forti simboli dell’Italia, luogo di convivialità e specchio dell’evoluzione storica e culturale del Paese è stato al centro della tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che Fipe ha organizzato a Sigep 2023 con gli interventi di Matteo Musacci, vicepresidente Fipe-Confcommercio e titolare dell’Apelle Cocktail Bar, Marco Ranocchia, fondatore di PlanetOne, Igor Nuzzi, regional director Italia&Svizzera Lavazza, Francesco Santoro, head of eCommerce Partnerships di Nexi, Paolo Staccoli titolare dello Staccoli Caffè di Rimini e Matteo Figura, Director Foodservice Italy, The NPD Group Inc.
Crescono gli imprenditori cinesi nel settore
L’incontro è servito ad esplorare un settore nel quale lavorano, tra dipendenti e indipendenti, oltre 300mila persone con una forte diffusione territoriale (2 imprese ogni mille abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura 7/7 per una media di 14 ore giornaliere. E dove è in aumento la presenza di imprenditori stranieri con una particolare vivacità della comunità cinese. Sono oltre 12 mila, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri con punte che in alcune regioni come la Lombardia sfiorano il 20% o addirittura lo superano come in Veneto e in Emilia Romagna.
Importante il numero di imprenditori di origine cineseLe difficoltà del settore
«Stanno in questi numeri - dichiara Matteo Musacci, vicepresidente di Fipe Confcommercio - le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro – prosegue Musacci - sta diventando sempre più difficile. Se a questo aggiungiamo che anche muovere i listini per adeguarli all’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti», conlude Musacci. iat
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