Èdelle scorso 20 marzo la sentenza della Corte Suprema, che dichiara che tra il Pecorino romano Dop e il Cacio romano non c’è rischio di confusione: i due formaggi, infatti, secondo quanto disposto in cassazione, sono diversi e differente è la loro denominazione. E per quanto riguarda il termine romano che li accomuna è solo l’indicazione della provenienza senza alcun carattere distintivo. La sentenza è arrivata dopo una battaglia di anni da parte del Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano Dop, che ha perso in cassazione contro il marchio “Cacio Romano” prodotto nel Lazio. In cassazione si è deciso, infatti, che quest’ultimo potrà dunque continuare a essere commercializzato con il suo nome. Il ricorso del Consorzio è stato sostenuto dai produttori di latte ovino sardo, contro la Formaggi Boccea che produce il Cacio romano, supportata dalla Regione Lazio e dalla Coldiretti del Lazio.
Ma non è tutto sulle decisioni giudiziarie che riguardano il mondo dei formaggi italiani: perché dall'altra parte del mondo, precisamente a Singapore, il Consorzio del Parmigiano Reggiano, incaricato della tutela della Dop in tutto il mondo, ha festeggiato un altro successo. Infatti, il giudice dell’Alta Corte locale ha respinto il ricorso di Fonterra Brands (filiale interamente controllata da Fonterra Co-operative Group Limited, società cooperativa multinazionale con sede in Nuova Zelanda) che, in seguito alla registrazione nel paese del nome Parmigiano Reggiano come Indicazione Geografica, ha presentato un’istanza per richiedere che il termine “Parmesan” non venisse considerato una traduzione del nome della Dop.
Una battaglia che si riapre tra Pecorino e Cacio romano
Ma la battaglia ora si riapre perchè il Cacio romano vorrebbe una Dop dedicata. E ancora una volta Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano Dop ha detto che è pronto a riaprire la battaglia. Il Consorzio di tutela del Pecorino Romano Dop, infatti, ha dichiarato che si opporrà con tutti i mezzi legali alla costituzione di una Dop cacio romano a tutela non solo del comparto che conta 15mila operatori con un fatturato al consumo di circa 600 milioni, di tutte le indicazioni geografiche ma anche del consumatore, che rischierebbe di essere clamorosamente tratto in inganno al momento della scelta del prodotto. Allo stesso tempo il Consorzio avvierà una battaglia con le istituzioni europee contro l’ordinanza della Cassazione che ingiustamente riconosce la legittimità dell’uso di un marchio che ricalca il nome della storica Dop. La domanda di riconoscimento della Dop cacio romano è stata in più occasioni archiviata dal Ministero dell’Agricoltura; non si comprende come un discutibile uso di un marchio individuale circoscritto nel tempo e non corrispondente ad alcuna tradizione produttiva possa ora diventare una dop concorrente, con il concreto rischio di minare la tenuta di decine di migliaia di aziende.
Gianni Maoddi, presidente del Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano DopPer il presidente del Consorzio, Gianni Maoddi: «Abbiamo preferito attendere, e dopo una compiuta analisi, esprimerci sul contenuto di un’ordinanza che, a volerla analizzare anche con gli occhi di un non addetto al settore, appare pregiudizievole per tutto il sistema delle produzioni di qualità, nessuno escluso».
L'appello del Pecorino romano anche al Governo
Il presidente del Consorzio è poi tornato sulla sentenza della cassazione dello scorso marzo e ha dichiarato: «L’ordinanza della Cassazione di fatto dichiara legittima l’esistenza sul mercato del cacio romano, sottolineando che non c’è assonanza che possa creare confusione fra i due prodotti né trarre in inganno i consumatori. Questa incredibile decisione dei giudici della suprema corte butta via anni di sacrifici e di duro lavoro, e peggio ancora la richiesta del riconoscimento di una dop».
Formaggio Pecorino Romano Dop«La politica – sottolinea ancora Maoddi - non può ignorare quello che sta accadendo, e deve sostenere non solo battaglie all’estero, come per esempio quella giustissima sul Nutriscore, ma anche battaglie interne al nostro Paese come questa. Facciamo appello anche alle associazioni di categoria affinché sostengano le nostre ragioni, a tutela di tutti».
Una lotta per la tutela di un patrimonio collettivo
Il Pecorino romano, oltre che in Sardegna conta su importanti realtà anche in Lazio e Toscana: parliamo nel complesso di 12mila allevamenti ovini che conferiscono latte per la produzione della nostra Dop e di circa 3mila persone impegnate nella trasformazione e commercializzazione. Numeri che la dicono lunga su quanto importante sia la ricaduta economica e occupazionale in tutte e tre le regioni interessate.
«Ma a chi giova tutto questo? La domanda sorge spontanea all’indomani di una decisione che, tra gli innumerevoli sostenitori del made in Italy e del sovranismo nostrano avrebbe dovuto, quanto meno, determinare una levata di scudi in favore della denominazione, primo fra tutti il ministero dell’Agricoltura, e invece tutto tace. Si assiste – incalza Maoddi - alla sola schizofrenica presa di posizione di chi al mattino combatte contro l’Italian sounding, il pomeriggio aderisce alla causa contro il Consorzio e la sera promuove la creazione di una Dop cacio romano con l’obiettivo di indebolire e dividere una filiera fondamentale per i territori di produzione. La nostra è, e sarà, una battaglia per la tutela di un patrimonio collettivo, per tutti coloro che operano nella filiera e per le loro famiglie, nonché per le Istituzioni italiane che hanno la responsabilità e dovere di tutelarle. Ogni e più opportuna azione sarà intrapresa, a tutti i livelli nazionali ed europei».
Parmigiano Reggiano vince anche a Singapore contro il Parmesan
Tornando alla vicenda Parmigiano Reggiano, l’appello da parte di Fonterra Brands davanti all’Alta Corte di Singapore è stato rigettato: il giudice ha stabilito che “Parmesan” va considerato una traduzione di “Parmigiano Reggiano”, come dimostrato dal Consorzio. A pochi giorni dal caso della Colombia, è stato dunque fermato un ulteriore tentativo di approfittare indebitamente della notorietà, della qualità e delle caratteristiche di eccellenza della Dop più amata e più premiata al mondo, che può essere prodotta esclusivamente nella sua zona d’origine, che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po e Bologna alla sinistra del fiume Reno. Nel 2008, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che solo il formaggio Parmigiano Reggiano DOP può essere venduto con la denominazione Parmesan all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, la normativa che protegge il nome Parmigiano Reggiano all’interno dell’UE non vale in tutti i paesi del mondo, aprendo la porta a usi non corretti del nome per formaggi prodotti negli Stati Uniti e in altri paesi. Il Consorzio stima che il giro d’affari del falso Parmesan fuori dall’Unione europea sia di 2 miliardi di euro, circa 200mila tonnellate di prodotto, ossia oltre 3 volte il volume del Parmigiano Reggiano esportato.
Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano ReggianoBertinelli (Parmigiano Reggiano): «Risultato importante per il sistema delle Ig nel sud-est asiatico»
«A Singapore, il Consorzio ha riportato un’altra importante vittoria nella sua lotta globale contro l’uso illegittimo del termine Parmesan, a un anno da quella conseguita in Ecuador e a pochi giorni dal caso della Colombia», ha dichiarato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio. «La decisione della dell’Alta Corte di Singapore rappresenta un risultato importante per il sistema delle Indicazioni Geografiche nel sud-est asiatico, poiché viene ribadita l’importanza fondamentale del legame tra prodotto, territorio e Denominazione di Origine. L’azione del nostro Consorzio viene portata avanti nell’interesse sia di tutta la filiera del Parmigiano Reggiano, sia dei consumatori nel mondo, che da oggi anche a Singapore non correranno più il rischio di essere ingannati al momento dell’acquisto. Stiamo portando avanti una battaglia per costruire una strategia più ampia a livello globale, che vada a beneficio non solo della Dop Parmigiano Reggiano, ma di tutte le Indicazioni Geografiche; è una lotta che non terminerà a breve e che richiederà coraggio e dedizione, ma non per questo smetteremo di affrontarla».Iat
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