I segreti dell'estate
in bottiglia: i vini
da non perdere
durante la bella stagione
Senza voler tagliare con l’accetta la lista delle etichette su base stagionale - perché è giusto che ciascuno beva secondo i gusti - ecco una panoramica di calici avvicinabili anche con le alte temperature. Ci vuole, quindi, accortezza nel preparare il secchiello del ghiaccio, perché bianchi, rossi o rosati che siano, i vini finiscono inevitabilmente per esser raffrescati
Esistono vini per l’estate? O esistono vini per l’inverno? Probabilmente nella mente di ogni produttore i propri vini sono degli all-seasons, capaci di abbinarsi a situazioni e proposte gastronomiche variegate. Senza voler tagliare con l’accetta la lista delle etichette su base stagionale - perché è giusto che ciascuno beva quel che gli garba - va riconosciuto però che il combinato disposto tra il calore (del vino) e il calore (dell’estate) possa rendere più faticosa una beva ad alta gradazione alcolica e tannica. E proprio per questo la stagione che vira ormai stabilmente verso i 30 gradi di media richiede accortezza nel preparare il secchiello del ghiaccio, perché bianchi, rossi o rosati che siano, i vini finiscono inevitabilmente per esser raffrescati.
Poi qualcuno ama i bianchi gelati e le bolle in versione “frozen”, ma anche approcciando la refrigerazione con maggiore moderazione va riconosciuta una gran bella godibilità nei calici che schivano la temperatura ambiente (che a quel punto non è molto distante dalla sauna).
I vini in estate finiscono inevitabilmente per esser raffrescatiBollicine territoriali
Per chi ama gli sparkling, il pensiero va immediatamente alle bolle che raccontano i territori e in qualche caso sorprendono. La bassa gradazione e la facilità di beva fanno immediatamente pensare alla terra del Prosecco, dove la scorrevolezza si concilia con le atmosfere estive. Se il Valdobbiadene Prosecco Superiore dà il meglio di sé nella versione extra brut - basti pensare all’Audax Zero.3 di Bortolomiol, all’Extrabrut di Ruggeri, al Rive di S. Stefano di Val d’Oca - lo stesso vale per l’Asolo Prosecco, come conferma il Nero Superiore di Villa Sandi. Nell’enorme bacino da cui attingere per un Prosecco Doc può invece risultare curioso salire in quota e sperimentare qualche etichetta della Valbelluna. Non sono pochi, infatti, i vignaioli della Marca trevigiana che si stanno spingendo nell’area bellunese per trovare freschezze che in pianura risultano difficili da mantenere - basti citare il lavoro in zona prealpina della famiglia Piazza e dell’azienda Le Rughe.
Per chi ama gli sparkling, il pensiero va immediatamente alle bolle che raccontano i territori e in qualche caso sorprendonoGiocando di maggiore complessità, in Valbelluna ci si può divertire con espressioni eccellenti di metodo classico: dal Mat 55 di Pian delle Vette - azienda che lavora anche un interessante metodo classico con base di autoctona Bianchetta - al millesimato pas dosé dei Fratelli Muraro a Santa Giustina. Rimanendo in zona alpina (e cambiando regione), si può spaziare ancora dalle immancabili bolle delle Tenute Lunelli all’elegante pas dosé di Haderburg in quel di Salorno, dall’espressività di Terre del Lagorai in Valsugana fino al nuovo Trentodoc Michei Extra Brut firmato Hofstätter (da vigneti tra 790 a 850 metri di altitudine). È però l’intera zona vitivinicola del Trentino che andrebbe esplorata - meglio se con una e-bike che permette di seguire le sponde dell’Adige e di salire in quota - per inseguire Francesco Moser che, sceso dal pedale, diventa un vignaiolo capace di sfidare i calici con la complessità dei suoi vini.
La bassa gradazione e la facilità di beva fanno immediatamente pensare alla terra del Prosecco, dove la scorrevolezza si concilia con le atmosfere estiveIn materia di metodo classico, inevitabile la tappa in Franciacorta dove il sorso cambia, ma rimane di una complessità elegante - come nel Berlucchi ’61 Nature, capace di grande profondità e raffinatezza, o nella rara cuvée di riserva che Bellavista ha presentato con l’etichetta Meraviglioso, che reinterpreta le tecniche tradizionali di vinificazione champenoise restituendo un vino stratificato e sorprendente. Se il metodo classico permette di scoprire i territori del vino e dunque si rivela spesso intrigante dall’Alta Langa fino alle più curiose espressioni dai vigneti di Sicilia e Sardegna, merita una menzione l’evoluzione che in terra marchigiana alcuni produttori stanno compiendo con l’utilizzo di basi Verdicchio e pure Montepulciano. Dal vitigno bianco più conosciuto delle Marche la cantina Cológnola trae l’eccellente pas dosé Darini (che esce con sboccatura a 60 e 90 mesi), mentre la piccola realtà di Silvano Strogolo riesce a sorprendere in alcune annate con un 100% Montepulciano che in etichetta si chiama DalNero.
L’allegria di rifermentati e Lambruschi
Moda effimera o ritorno alle radici? Ai posteri l’ardua sentenza, ma risulta evidente il successo crescente dei vini prodotti con il cosiddetto metodo ancestrale. Nettamente più semplici rispetto al metodo classico, proprio per questo spesso raccontano l’anima delle cantine con una schiettezza che conquista i giovani e spesso diverte. Gli esempi si sprecano, perché la rifermentazione permette di giocare in cantina anche con vitigni inattesi, come fa Mario Pojer con il suo Zero Infinito, un sorso intrigante eppure semplice nella versione bianca base Solaris e nel rosato Cremisi che parte da un vitigno resistente perfezionato in Boemia. In un percorso completamente senza bussola raccontano i Colli Euganei La Gobbetta sur lie di Quota 101 (da Garganega in purezza), come gli ancestrali Dilì di Maeli (da Moscato Giallo) e La Prima Volta di Vigna al Colle (vino da merenda da uva Serprina), mentre in Valbelluna c’è il Subbuglio di De Martin (da Pavana), nelle Terre di Pisa si scopre In Fermentum di Fattoria Fibbiano, nell’area marchigiana di Morro d’Alba il Perturbato di Filodivino (da Verdicchio) e in Abruzzo il rifermentato rosé Wines Of Anarchy della cantina Cirelli (Montepulciano).
non può mancare la citazione della bolla rossa per eccellenza: il LambruscoUn altro vino da riscoprire in estate, quando può esser servito freddo, è il Moscato d’Asti che tra semplicità di beva e bassa gradazione si rivela un ottimo partner per aperitivi leggeri, piatti freddi o formaggi, ma anche per il pesce delicato. E il divertimento è assicurato. Per chiudere il cerchio delle bolle, non può mancare la citazione della bolla rossa per eccellenza: sua maestà il Lambrusco. La produzione a milioni di bottiglie ne ha appannato l’immagine, ma negli ultimi anni i produttori hanno saputo raddrizzare la barra del timone e si scoprono prodotti gastronomici che soddisfano i palati più esigenti, come il Concerto di Medici Ermete e il Marchese di Venturini Baldini nel Reggiano o i metodo classico di VentiVenti (da uve Salamino) e della Cavaliera (da Grasparossa). Come i pét-nat, sono vini perfetti per la merenda o il picnic, sgrassano il palato da salumi e piatti di carne impegnativi.
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Bianchi, ma non scontati
Quando si entra nel mondo dei vini bianchi per l’estate, è facile scivolare sullo scontato, perché un bianco freddo e beverino rischia di essere la scelta più banale. Per questo, con una scorribanda lungo la penisola, vale la scoperta di etichette che sappiano parlare di territorio e allo stesso tempo offrano un’esperienza diversa. Partendo da Sud, anzi dalle isole, tra i vitigni siciliani vinificati in bianco spicca per identità e carattere il Catarratto, che unisce una bella acidità, freschezza aromatica e una sapidità legata alla presenza potente del mare. Il vitigno si esprime bene in quasi tutti i territori siciliani e sull’Etna risulta più vibrante. Per un sorso vivo e pieno, il Catarratto Terre Siciliane di Nino Barraco offre l’opportunità di un’esperienza pienamente siciliana. Spostandosi in Sardegna, merita di essere (ri)scoperto il Nuragus, che unisce frutto e salsedine con un’eleganza che suggeriamo di sperimentare nel Nuragus di Cagliari formato Antonella Corda.
La Campania dei vini bianchi è entusiasmante, soprattutto quando si rivela nitida senza coperture di affinamenti in legno. Così il Fiano in anfora Zagreo dei Cacciagalli racconta una piacevole e intensa interpretazione del vitigno classico campano, ma spostandosi all’area partenopea emerge con fascino e potenza un vino che può fare la differenza: la Falanghina dei Campi Flegrei, che unisce sapidità e corpo mentre evolve verso toni di zolfo estremamente eleganti quando invecchia. Da provare, già solo per scoprire la storia di una famiglia di vignaioli che tiene in piedi la viticoltura eroica sul vulcano dentro la città di Napoli, i vini Agnanum.
Dici Marche in bianco e pensi Verdicchio, non per nulla uno dei vitigni italiani più apprezzati da critica e appassionati su scala internazionale. La profondità di questi vini li porta ad attraversare le stagioni (anzi, meglio far passare qualche stagione in cantina alle bottiglie perché diano il meglio), ma per un calice intrigante nell’estate sul litorale adriatico si possono scegliere vini capaci di essere intriganti pur giovani, come il Gaiospino di Fattoria Coroncino o il Vertis di Borgo Paglianetto da Matelica. Assai meno noto, eppure da scoprire (per la capacità di invecchiamento, ma anche per l’abbinata giovane con i piatti di pesce marchigiani) il Ribona, con l’Asola di Fontezoppa che ne incarna una delle massime espressioni. Facendo tappa in Umbria, il Trebbiano Spoletino sta vivendo un momento di grande rinascita e con quella vena acida elegante si abbina ai torridi pomeriggi in collina. Da provare il Trebium di Antonelli San Marco e Poggio del Vescovo di Cantina Ninni.
Salendo in Toscana, l’estate richiama verso la costa e non si può eludere il gioco del Vermentino. Oltre alle versioni semplici e veloci da abbinare con pesce e piatti leggeri, vale la pena segnalarne due che spiccano: il Belguardo Codice V da un cru di Mazzei, sapido e potente, trae dalle bucce (fermentate parte in anfora e parte in acciaio) una personalità scultorea; unisce invece freschezza e profondità il Mimesi di Tenuta di Ghizzano, Vermentino in purezza da vigne vecchie che dopo acciaio e 4 mesi di anfora porta in bottiglia la spina dorsale del territorio. Spostandosi nel cuore della Toscana, la regina bianca - ovvero la Vernaccia di San Gimignano - è talvolta considerata un bianco importante, eppure la freschezza mediterranea intrecciata alla complessità del vitigno permettono una grande flessibilità nell’abbinamento. Tra le espressioni più affascinanti, il Selvabianca firmato da Il Colombaio di Santa Chiara.
Spostandosi nel Nord-Est, ecco tre sfumature di territorio che vanno valorizzate nel calice estivo. Nel Feltrino, in Valbelluna, la Bianchetta è un autoctono così versatile da essere utilizzata per il metodo classico o per il rifermentato (come il Bolla Ballerina di Filippo de Martin), ma anche per vini fermi dal temperamento nobile, come il Tilio di De Bacco, che maturando in legno porta la semplicità del vitigno a vestirsi di un fascino particolare. Sui Colli Orientali del Friuli, che tanta storia hanno costruito sui vini bianchi, la Ribolla è un vino senza tempo e senza limite: spumantizzato o vinificato in bianco, può esser banalizzato o spinto per alcolicità, ma quando viene maneggiato con cura e competenza ha l’eleganza che ogni estate in collina chiede per abbinarsi a formaggi e salumi in un picnic raffinato. Alfieri di una Ribolla in cemento (affinata per 8 mesi prima della bottiglia), i fratelli Butussi danno senza dubbio una delle migliori letture di questo vitigno. In Alto Adige il Garnellen della Cantina Tröpfltalhof è un 100% Sauvignon Blanc proveniente dal vigneto storico a 500 metri di altitudine ai piedi del massiccio del Monte Mendola; fermentazione spontanea con macerazione di 7 mesi sulle bucce in anfora e affinamento di altri 14 mesi sulle fecce fini danno al vino uno spessore materico seducente.
L’estate in rosé
Considerato il colore (del calice) più apprezzato d’estate, il rosé diventa sempre più una scoperta anche per il consumatore italiano. E quando non scimmiottano i provenzali, i produttori della penisola sanno giocare di finezza e territorialità. Il primo rosé che viene in mente è il Chiaretto di Bardolino, rosato Doc prodotto sul fronte veronese del lago di Garda, che viene da anni di rinnovamento per valorizzare le uve dai terreni di origine morenica che respirano un clima mediterraneo. L’etichetta da scovare è il Ròdon de Le Fraghe. Spostandosi in Centro Italia, il Cerasuolo d’Abruzzo è un vino dall’aura estiva per sua natura, pronto ad essere servito senza misura in accompagnamento ai piatti della costa. Non manca la spinta alcolica, ma servito freddo e sorseggiato con moderazione è un vino tutto da scoprire. Le etichette da cercare sono il Baldovino della Tenuta I Fauri nel chietino, ma anche il Gruè di Tenuta Cerulli Spinozzi e il CAb dell’Abbazia di Propezzano dall’area delle Colline Teramane.
Considerato il colore (del calice) più apprezzato d’estate, il rosé diventa sempre più una scoperta anche per il consumatore italianoPoco lontano, nel Conero il superconsorzio Imt (Istituto marchigiano di tutela vini) sta “caldeggiando” lo sviluppo di una produzione di rosati da Montepulciano che faciliti l’accesso a mercati sempre più orientati alla beva alleggerita, dunque non mancano i prodotti che strizzano l’occhio ai giovani. Un’etichetta da segnalare è il Mun de La Calcinara, che unisce freschezza e corpo, sapidità e scorrevolezza. Prendendo il largo, in Sicilia non mancano le cantine capaci di valorizzare (con vinificazione in rosa) le uve rosse dell’isola, portando in bottiglia vini spesso carnosi e sapidi. Un paio di esempi? Il Rosa di Santa Tresa, blend di Nero d’Avola e Frappato, che vibra di piccoli frutti rossi e mare, e il Mofete di Palmento Costanzo dall’Etna con toni fumé e un sorso fatto di sale e ricordi aranciati. In Sardegna non mancano i rosati, che in molti casi non rinunciano al colore e a un’identità marcata. Gioca di territorialità e raffinatezza È Rosé di Mora & Memo, giovane cantina di Serdiana che seduce con un colore pallido e nel calice tutto il carattere delle uve Monica e Cannonau.
Rossi da raffrescare
Chi l’ha detto che in estate i vini rossi vanno dimenticati in cantina? Per fortuna non è (più) opinione né pratica comune quella di tralasciare i calici più “colorati” e anzi non sono poche le occasioni di riscoperta di un sorso materico eppure lieve, magari raffrescato in glacette. Qualche esempio? In Alto Adige la Vernatsch (che gli italiani chiamano da sempre Schiava) e con la sua eleganza semplice si presta alla beva in tempi di calura. Refrigerata e sorseggiata con i salumi di un maso locale è un’esperienza gratificante. L’etichetta da non dimenticare è Gschleier di Cantina Girlan, che unisce ai tannini fruttati una tensione che l’affinamento in botte grande regala a un vino tutt’altro che scontato. Spostandosi a Nord-Ovest, vogliamo poi dimenticare il Grignolino d’Asti? Vitigno nobile, così raffinato da esser guardato in passato con sospetto di eccessiva vicinanza ai rosati, porta nel calice piccoli frutti rossi e profondità. Da segnalare, il Garibaldi firmato Mura Mura, che non nasconde il tannino deciso eppure seduce per finezza.
Chi l’ha detto che in estate i vini rossi vanno dimenticati in cantina?Scendendo in Toscana - magari passando per l’Appennino e facendo una sosta a Modigliana per scoprire qualche espressione meno ardita di Sangiovese - si può immaginare di far tappa nella denominazione più prestigiosa per provare l’espressione estiva del Rosso di Montalcino. Frutto di un Sangiovese meno formale rispetto al Brunello, è un vino duttile che non disdegna quel po’ di raffrescamento che lo rende più che appetibile con un bbq in collina. Una rivelazione nuova nuova è il Rosso Vigna Spuntali di Val di Suga, che sprigiona profumi e si fa bere di slancio. Scendendo verso il Centro-Sud, ci si imbatte nella flessuosità del Pallagrello rosso, vino che uno non si aspetta in Campania e che invece vibra nel calice con grazia e leggerezza. Approdando in Sicilia, sull’Etna (soprattutto nelle contrade del versante nord) si lavora molto di essenzialità sul Nerello Mascalese e più di una cantina evita concentrazioni spinte, lasciando nel calice rossi di bella trasparenza e leggerezza.
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