sabato 11 novembre 2017

Export italiano troppo debole Si deve puntare su turismo e formazione

Export italiano 

troppo debole
Si deve puntare 

su turismo e formazione

Mentre la Francia enologica si afferma oltreoceano, le eccellenze italiane faticano a trovare iniziative di promozione vera all’estero. Il turismo è un fattore da non trascurare; va rafforzato anche con #laureaccoglienza
Gli ultimi dati sull’andamento delle vendite del vino italiano negli Stati Uniti confermano ancora una volta quanto sia strutturalmente debole il nostro export agroalimentare. A preoccupare non è solo il fatto che in valore (quasi 1,1 miliardi di euro) i francesi ci abbiano ormai raggiunti azzerando ogni nostro presunto primato. La questione vera è che le cantine transalpine raggiungono quel valore di export con quasi la metà di bottiglie vendute. Il che significa due cose: in primis che il nostro vino viene venduto mediamente a valori dimezzati rispetto a quelli delle cantine “cugine” (e questo è da sempre percepibile in qualunque supermercato o enoteca in giro per il mondo, ammesso di trovare vino italiano che non sia relegato in qualche angolo); in secondo luogo va considerato che i margini di crescita dei francesi, in termini di volume, sono più ampi dei nostri, visto che le nostre cantine in media esauriscono le loro produzioni e non hanno molti margini per conquistare nuove quote di mercato.

(Export italiano troppo debole Si deve puntare su turismo e formazione)

Questa situazione non vale peraltro solo per gli States, ma è comune in tutto il mondo, con l’aggravante che ci sono aree dove abbiamo anche grandi problemi a commercializzare. E in aggiunta va detto che basso valore di vendita, limitati esuberi di produzione per conquistare nuove fette di mercato e scarsa struttura di supporto commerciale non valgono solo per il vino, ma in genere per tutto il food italiano.

Su queste basi il progetto annunciato al Vinitaly del 2016 dall’allora Presidente del Consiglio Renzi e dal Ministro Martina di portare da 37 a 50 miliardi l’esportazione agroalimentare italiana entro il 2020, è assai improbabile possa essere realizzato. Era un impegno ambizioso, a cui non ha fatto però seguito la capacità di fare davvero sistema fra istituzioni e imprese. Ma di una Sopexa (l’agenzia che promuove i prodotti francesi) made in Italy non se ne è vista mai nemmeno l’ombra... E nemmeno l’accordo con Alibaba per vendere online in Cina dà grossi risultati. A parte gli scandali sulle forniture tarocche, ci sono problemi logistici per le merci e offerte troppo limitate nei quantitativi per operazioni di promozione che possono essere esauriti in poche ore.

Per non parlare di politiche incapaci di valorizzare l’immagine della Cucina italiana che se regge e traina i nostri prodotti è solo grazie ai tantissimi cuochi italiani che lavorano nel mondo, ma a cui lo Stato italiano non assicura tutela e promozione. O meglio, qualcuno si era illuso che bastasse definire Ambasciatori alcuni dei più noti cuochi italiani (conosciuti in verità in Italia ma non in giro per il mondo), finanziandone qualche cena all’estero, per spingere il nostro export. È un po’ lo stesso errore fatto in occasione di Expo, e il risultato è che l’agroalimentare italiano nei grandi numeri non decolla. Il tutto senza considerare il problema dell’Italian sounding, con i taroccamenti e le imitazioni che colpiscono i nostri prodotti autentici.

Per fortuna in questi mesi abbiamo il turismo che tira e la possibilità di vendere direttamente in Italia vini, olio o formaggi che poi saranno consumati all’estero. E lo si può fare a prezzi più convenienti per le imprese. Rafforziamo quindi quest’area e più in generale ristoranti e hotel che sono i veri portabandiera del nostro stile di vita e dei valori della nostra tavola. Anche per questo è fondamentale rafforzare tutto il sistema formativo e puntare a #laureaccoglienza.
di Alberto Lupini
direttore

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