generazione
La sindrome di Peter Pan non è di
certo nata col diffondersi degli smartphone, ma mai come in questo periodo
storico calza a pennello per descrivere come vivono e (non) crescono gli
adolescenti di oggi. Scalpitare per ottenere la patente di guida? No, grazie.
Passare le serate in un pub a bere alcolici? Meglio una partita ai videogiochi.
I primi pruriti sessuali? Ritardati di almeno tre anni. Insomma, la tanto
temuta generazione dei Millennial è già
sorpassata, ora c’è spazio solo per gli iGen.
Il neologismo inventato per
descrivere la nuova generazione di teenager è stato messo a punto dalla
professoressa Jean Twenge della San Diego State University. La psicologa ha
analizzato e confrontato il comportamento di 8,4 milioni di ragazzi americani
che hanno avuto dai 13 ai 19 anni negli ultimi quattro decenni.
La ricerca - dopo essere apparsa
declinata in vari focus in diverse riviste di settore - è diventata poi un
libro, dal titolo decisamente troppo lungo ma altrettanto esplicativo: iGen:
perché i super-connessi ragazzi di oggi stanno crescendo meno ribelli, più
tolleranti, meno felici e completamente impreparati per l’età adulta
(titolo originale: “iGen: Why Today’s Super-Connected Kids Are Growing Up Less
Rebellious, More Tolerant, Less Happy -and Completely Unprepared for
Adulthood”).
Eh sì, perché se negli anni Settanta,
Ottanta e Novanta assaggiare i superalcolici in compagnia degli amici e andare
oltre i baci innocenti con il/la fidanzatino/a di turno era il desiderio più
grande di ogni liceale, ora le esperienze che tanto sanno di adulto possono
anche aspettare.
Il volume della psicologa distingue dieci nuovi approcci mentali e comportamentali in altrettanti capitoli: il ritardo nel diventare adulti; l’aumento smisurato della quantità di tempo in cui i giovani d’oggi sono connessi a internet; la tendenza a non incontrarsi più di persona con gli amici; l’insicurezza che domina il carattere della maggior parte dei teenager; la scarsissima religiosità; l’isolamento sociale; l’agiatezza economica garantita dalla famiglia (negli Usa la recessione è terminata nel 2009) e che spinge a entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi; il procrastinare l’avvio di una propria vita sessuale e matrimoniale; la maggiore tolleranza verso le minoranze (etniche, sessuali e di gender); lo scarso coinvolgimento civile e politico.
Il volume della psicologa distingue dieci nuovi approcci mentali e comportamentali in altrettanti capitoli: il ritardo nel diventare adulti; l’aumento smisurato della quantità di tempo in cui i giovani d’oggi sono connessi a internet; la tendenza a non incontrarsi più di persona con gli amici; l’insicurezza che domina il carattere della maggior parte dei teenager; la scarsissima religiosità; l’isolamento sociale; l’agiatezza economica garantita dalla famiglia (negli Usa la recessione è terminata nel 2009) e che spinge a entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi; il procrastinare l’avvio di una propria vita sessuale e matrimoniale; la maggiore tolleranza verso le minoranze (etniche, sessuali e di gender); lo scarso coinvolgimento civile e politico.
I numeri
Dallo studio che ha impegnato la Twenge e i suoi
collaboratori per sette anni (dal 1995 al 2012) emergono risultati chiari. “I
18enni di oggi hanno comportamenti simili a quelli dei 15enni degli anni Settanta”
spiega la docente di psicologia. “A partire dal 2000 si assiste a un crollo
continuo nel numero di adolescenti che fanno cose considerate delle pietre
miliari per entrare nella vita adulta. Intorno al 2010 i 17-18enni uscivano per
appuntamenti d’amore meno di quanto facessero i 15-16enni negli anni Novanta.
Inoltre, se nel 1991 il 54% dei 17enni aveva avuto precedenti esperienze
sessuali, nel 2015 la percentuale è scesa fino al 41%”.
Osservando i grafici presenti nello
studio, pubblicato dalla professoressa su Child Development, si nota ad esempio
che oggi il 54% dei ragazzi tra i 13 e i 19 anni ha fatto anche piccole
esperienze lavorative per guadagnare qualche soldo, mentre negli anni Settanta
la percentuale si attestava sopra il 75%. Tendenza molto simile per l’alcol,
provato almeno una volta dall’82% dei ragazzi di 40 anni fa e oggi solo dal
64%.
Tutta colpa di internet?
A questo punto è facile puntare il
dito contro smartphone, pc e videogiochi, ma non sarebbe del tutto corretto.
“Internet probabilmente non è la causa principale di tale cambiamento” ha
specificato Jean Twenge. “Questo, infatti, è iniziato prima che il web fosse
diffuso così capillarmente. A ogni modo, negli ultimi 5-10 anni gli smartphone
possono avere accelerato la tendenza”.
Un’altra possibile risposta al
fenomeno, allora, arriva dalla cosiddetta teoria detta “Life history”, secondo
cui l’esposizione a un ambiente sociale “duro” comporta un più veloce sviluppo
nel sentiero della vita. “Dal 2000 in poi i figli hanno vissuto in ambienti più
agiati” osserva la Twenge. “I giovani hanno iniziato a sentire come meno
pressanti le urgenze dettate da un orologio biologico formatosi in tempi più
primitivi”. “Non definirei il fenomeno un problema” specifica comunque la
dottoressa.
“Ci sono sia svantaggi che vantaggi (come bere meno alcolici) nel diventare adulti più tardi e non si tratta di una questione di depressione o apatia. Un nuovo gruppo di ragazzi che pensano e agiscono differentemente - anche molto diversamente dai loro cugini Millenial - sta emergendo nella giovane età adulta. Tutti noi dobbiamo cercare di capirli”. E, forse, a questo punto, anche rivalutare la generazione dei Millennial.
PANORAMA EDIT
“Ci sono sia svantaggi che vantaggi (come bere meno alcolici) nel diventare adulti più tardi e non si tratta di una questione di depressione o apatia. Un nuovo gruppo di ragazzi che pensano e agiscono differentemente - anche molto diversamente dai loro cugini Millenial - sta emergendo nella giovane età adulta. Tutti noi dobbiamo cercare di capirli”. E, forse, a questo punto, anche rivalutare la generazione dei Millennial.
PANORAMA EDIT
Nessun commento:
Posta un commento