Quando ai 12 Apostoli
si cambia la storia
Il ristorante della famiglia Gioco, a Verona dal 1920, non segna più il passo e cambia la storia
Se pensate che giocarsi un piatto che vale un paio di secoli di storia possa essere uno scherzo da ragazzi, “sappiatevelo” , come usa il dire dei nostri giorni, non è così. A maggior ragione se il piatto è più di uno e va dall'antipasto al dolce. Ovvero a cominciare dalla soppressa e polenta passando per il risotto all'amarone, la “pastissada” di cavallo, l'Offella o la Torta Russa; come del resto si costuma più o meno da sempre quando si vuole offrire una bella fetta di gastronomia tipicamente Scaligera. Fatta di ingredienti robusti e decisi che sembrano incarnare l'antica e forzuta risolutezza di quel Can Francesco della Scala , che fu sì grande condottiero e signore di Verona, ma anche avveduto e scaltro politico, accorto amministratore e generoso mecenate. Sono questi ultimi i tratti che più occorrono per continuare da vincitore quando si vuole perseguire una vita quasi guerresca.
Non certo come quella del Cangrande, per l'amor del cielo, quanto, piuttosto, quella vissuta da progenitori e padri che prima di te hanno combattuto, sine die, vere e proprie battaglie per il trionfo della loro idea di ben mangiare, di buon bere e, non ultimo, di bien vivre. Soprattutto quando si ha l'onore e l'onere di aprire i portoni dello storico 12 Apostoli di vicolo Corticella di San Marco ad ogni sorta di gourmand che giunge nel cuore della città del Cangrande. Lì dove oggi giovani trentenni, come il nuovo condottiero Filippo, della stirpe dei Gioco, prendono in mano lo scettro che fu dei loro avi, blasonati vivandieri, e sono chiamati a cimentarsi nella sfida di mettere il freno alle papille e palati dei nostri tempi ma anche di quelli, ancora tantissimi, che invece conobbero i piatti di Antonio. Primo e fondatore, di Giorgio, secondo in successione e ferreo nonno, Antonio e Simonetta, padre e madre di questo quarto Gioco sceso nell'arena ( nella foto sopra tra papà e mamma).
Che mai come in questo caso è così vicina se è vero come è vero che il noto anfiteatro romano è a soli pochi passi e ancor meno distanti le vestigia imperiali di Roma che il papà di Filippo, Antonio, mostra orgoglioso ai visitatori che scendono con lui sotto le antiche volte del ristorante per rimanere incantati da tutta la storia di cui è fieramente contaminato il 12 Apostoli. Una storia che per rimanere tale va cambiata, anche in cucina e sui piatti. Ed è qui che Filippo, laurea in storia e un'altra magistrale in antropologia culturale, ha ben pensato di mettere a frutto la sua scienza dando ampio mandato a Mauro Buffo per cambiare tutto senza però che cambi nulla. Intendendo per nulla la soddisfazione di chi si alza dalle sedute di un ristorante se si è emozionato, se ha ricordato i piatti della mamma, della tradizione, della stagionalità, della grande cucina, di questo, di quell'altro e di tutto quel che volete e leggete in sostituzione del più verace " mangiare bene". Perché, cari i miei sapientissimi amanti del nutty e del sorprendente nonché della talentuosità succulenta, il cibo prima di tutto è sempre cibo. Se poi della fame non avete il benché minimo ricordo perché siete cresciuti a nutella e i vostri pensieri sono più orientati alle ore di palestra che al profumo che esce da una pentola di risotto, ebbene, da canuto merlo che segue i redattori nelle loro degustazioni, ho perso la battaglia.
Cosa che invece Filippo e Mauro sembrano assolutamente intenzionati a non fare per scrivere un altro capitolo della storia dei 12 Apostoli. Via dunque dal menù, per quelli che ormai sono i nostalgici, i risotti all'amarone e largo al risotto, easy, con verza, la carne di "moretta" e ginepro. Buono. E ancora largo alle lumache che lasciano l'appellativo veronese per diventare, da bogoni, indefiniti bocconcini gustabili in salsa verde, quinoa e capperi fritti. Meno largo , per il mio becco, al piatto con la seppia, caviale, limone del lago e brodo di tonno. Troppo costruito? Forse sì ma d'altra parte come non pensarlo se poi si serve uno "spaghetto artigianale sedano, ostrica e lardo"? A questo punto sarei curioso di sapere se nonno Giorgio Gioco, su questo, ha dato il placet o avrà detto ... na scianta massa da freschin.
Un “freschin selvadego” che non s'è sentito venire dalle carni del piccione, così hanno detto gli umani al tavolo con il redattore che ho accompagnato, nonostante il colore ancora tanto rosso e che un tempo lo avrebbe incasellato come “ cruo” pur se accompagnato da topinambur,ribes, noci neri . Colori e gusti duri, caro il nonno, di gran personalità e carattere come possono esserli quelli giovani di Filippo e del suo cuoco che è stato sui banchi di Gualtiero Marchesi, Massimiliano Alajmo del "Bulli" di Ferran Adrià, di David Bouley, nella grande mela e via ancora in un altro paio di posti da gran gourmet. Questo prima di entrare a far parte della storia dei 12 Apostoli preparandosi e lavorando già da un anno in cucina per quella che, si voglia o no, è rivoluzione. E sono le rivoluzioni che scrivono la storia anche se magari, da vecchio merlo, io non vorrei mai leggere ma tant'è. E se proprio voglio un risotto all'amarone magari lo chiedo a parte o vado da chi so io. Voi, invece, moderni e attenti alle storie che cambiano il mondo, lasciatevi condurre per mano nei gusti e i sapori del menù di oggi giorno.
Che a onor del merito non ti obbliga allo spazzolaggio del becco o dei vostri umani denti, dopo averlo provato. Segno che la piacevolezza di ritrovare e ripensare a qualche gusto ancora in giro per la bocca, usciti dal locale, camminando per Verona, vince sulla patina da rimuover il prima possibile che invece ti lascia il cibo di qualche altro cuoco. Ma questa è un'altra storia già bella che finita e non come quella del nuovo corso del 12 Apostoli.
Nessun commento:
Posta un commento