giovedì 14 giugno 2018

Costruire l’Europa a scuola


Costruire 
l’Europa  
a scuola
Riuscito progetto ErasmusPlus sollecitato dal centenario della Grande Guerra
Enseigner la guerre, éduquer à la paix. Sfida coraggiosa: confrontare senza reticenze e pregiudizi i punti di vista di popoli che un tempo si combatterono, a partire da quella frontiera orientale che nel secolo scorso ha rappresentato un confine mobile

Nel ventennio tra le due guerre mondiali lo scrittore austriaco Stefan Zweig, uno dei maggiori intellettuali del Novecento, si dedicò con tutte le proprie forze alla causa della pace e della federazione europea e al sostegno di tutte le iniziative volte a promuoverla, all’argomento dedicando un grande numero di scritti giornalistici e saggistici, ora leggibili in La patria comune del cuore. Considerazioni di un europeo, 1914-1939 (Frassinelli, 1993), in cui sottolineava - sulla scia della nuova storiografia francese delle “Annales” di M. Bloch e L. Febvre, il cui motto era “Pas d’histoire bataille”, a favore, invece, d’una storia integrale, attenta alle dimensioni sociali, economiche, culturali, antropologiche -, la necessità di trasformare l’insegnamento scolastico della storia, sino allora incentrato sulle vicende nazionali, ridotte, perlopiù, a mero elenco di guerre, condottieri, date politiche, tali da formare i giovani in senso prettamente nazionalistico, in una disciplina incentrata non più su ciò che divide - le guerre -, bensì su ciò che unisce, vale a dire la storia della civiltà impostata secondo un respiro sovranazionale, europeo. Un orientamento, questo, d’altronde, nei medesimi anni condiviso dallo scrittore francese Romain Rolland, premio Nobel per la Letteratura nel 1915 e lui pure fervente pacifista, nonché amico ed estimatore di Zweig, sul quale ora si può leggere il saggio di Fiorenza Taricone, Romain Rolland: pacifista libertario e pensatore globale (Guida, 2017), che più volte ebbe a sostenere l’importanza d’un insegnamento rinnovato della storia in prospettiva europeista.

Va, pertanto, segnalato con estremo favore e apprezzamento il Progetto Erasmus +, KA2 partenariati strategici settore Scuola, Enseigner la guerre, éduquer à la paix (Insegnare la guerra, educare alla pace), che - facendo seguito ad altri due, rispettivamente sulle radici cristiane dell’Europa e per una storia dell’Europa contemporanea -, avviato nel 2015, concludendosi nel 2017, ha visto coinvolti sei istituti scolastici, rispettivamente italiani (Istituto Comprensivo “Don Lorenzo Milani” di Aquileia, che ne era capofila e responsabile), francesi (Scuola primaria di Astaffort e liceo “Palissy” di Agen), tedeschi (Scuola confessionale “Marienschule” di Munster), austriaci (Scuola confessionale “Maria Salvatoris” di Vienna) e sloveni (il ginnasio di Capodistria - Koper), in un’iniziativa didattica e storiografica, sollecitata dal centenario della Grande Guerra, che ha ottenuto una valutazione d’eccellenza da parte dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire e che rientra in pieno nello spirito degli auspici di Zweig e Rolland, e a coronamento del quale il 2 marzo nell’aula consiliare del Comune di Aquileia (UD) è stato presentato il manuale scolastico dal medesimo titolo, frutto del lavoro delle classi coinvolte, sotto la guida dei loro docenti e di consulenti scientifici delle Università di Udine e Bordeaux. Il volume, di 178 pagine e riccamente illustrato, edito in francese, si apre con una prefazione, in italiano, di Aldo Durì, coordinatore del progetto, che ne illustra obiettivi, tappe e risultati, che, si può affermarlo senza retorica, sono veramente notevoli, e che nell’invito alla presentazione pubblica dell’opera l’ha definita “un libro di testo che costituisce una sfida coraggiosa: confrontare senza reticenze e pregiudizi i punti di vista di popoli che un tempo si combatterono, a partire da quella frontiera orientale che nel secolo scorso ha rappresentato un confine mobile, un crocevia di interessi e rivendicazioni che spesso hanno lacerato dolorosamente le comunità locali”. In un’Unione europea in cui si parla solo di bilanci, debiti pubblici, moneta, mentre alcuni Stati (il cosiddetto Gruppo di Visegrad) sabotano platealmente tutti i tentativi di procedere sulla via d’una crescente integrazione non semplicemente economica, da una regione a torto spesso ritenuta marginale e periferica - ma geograficamente centrale se la si guardi in una prospettiva internazionale, punto d’incontro tra mondo romanzo, germanico e slavo -, giungono una lezione e un esempio di prim’ordine, che possono servire da modello per auspicabili altre iniziative affini.
Il manuale, impostato secondo le più moderne vedute storiografiche in materia, dopo aver illustrato obiettivi ed esiti della ricerca, s’articola in dodici contributi, tutti frutto di indagini degli studenti in biblioteche, ma anche nelle memorie familiari, scritte e orali, una fonte che negli ultimi anni è venuta acquisendo una sempre maggior importanza. Secondo tale impostazione metodologica e teoretica, quindi, s’illustra la guerra vissuta dalle famiglie, l’immagine dell’altro (il nemico), la descrizione d’un giorno di guerra sui fronti, i silenzi e le lacune della storia finora insegnata, le corrispondenze giornalistiche di guerra, il patrimonio memorialistico sul fronte italiano, la descrizione della guerra d’un soldato qualsiasi, l’analisi delle immagini (foto, manifesti, documentari cinematografici), la vita quotidiana e la mobilitazione nelle retrovie, i primi giorni di pace e l’illusione della fine della guerra, la nazione dopo il sacrificio bellico, un’iniziativa didattica per comprendere la Grande Guerra. Quest’impostazione, che per un caso fortuito trova pieno riscontro nel ciclo di dieci seminari avviato a febbraio dall’udinese Società Filologica Friulana (www.filologicafriulana.it, per consultare il programma) nell’ambito del pluriennale progetto didattico “Conosciamo la Grande Guerra in Friuli Venezia Giulia”, con relativi atti, e affidato a specialisti del settore, coinvolge in pieno gli studenti in quella tragedia che a ragione è stata definita il suicidio dell’Europa e l’inizio della seconda guerra dei Trent’Anni (1914-1945), che ne ha segnato il definitivo tramonto, con l’affermazione di due superpotenze come gli USA e l’URSS. Conflitto passato alla storia come “totale”, perché per la prima volta vide la mobilitazione dell’intera popolazione, e non più soltanto dei militari, dal momento che, a sostituire gli uomini in trincea, arruolati a milioni per far fronte alle spaventose perdite quotidiane nelle grandi battaglie (20.000 morti solo nel primo giorno dell’offensiva franco-britannica della Somme dell’estate del 1916), che avrebbero dovuto essere risolutive, ma sempre conclusesi in inutili bagni di sangue, furono impiegate le donne, che dovettero lavorare nelle fabbriche, nei servizi pubblici, nelle opere assistenziali, in primo luogo della Croce Rossa (si pensi a un romanzo come Addio alle armi di Hemingway, che ha per protagonista femminile una crocerossina), ma anche nella sussistenza, come attesta il caso, unico nella storia del conflitto, delle portatrici carniche, solo di recente riscoperto e doverosamente valorizzato, così come anche bambini. Inoltre, per sostenere e rafforzare il “fronte interno”, un termine emblematico nuovo, ideato per indicare la mobilitazione totale della popolazione, oltre che dei soldati in prima linea, venne messa in campo una nuova potente arma, psicologica, la propaganda nelle sue diverse forme e manifestazioni, che doveva convincere le masse della bontà delle rispettive cause, demonizzando, invece, il nemico, ponendo la guerra in termini di scontro tra civiltà e barbarie, enfatizzando o ridimensionando, a seconda dei casi e delle necessità, episodi bellici dei rispettivi eserciti. 


Se la stampa svolse una funzione primaria, dovendosi, però, rivolgere anche a classi sociali scarsamente alfabetizzate (ciò in ispecie in Italia), l’immagine venne ad assumere un ruolo centrale, come attesta l’apparato iconografico proposto nel testo; a tal fine s’assistette, pertanto, al pieno coinvolgimento degli intellettuali e degli artisti, impegnati con la penna e con discorsi pubblici - esemplare in tal senso il ruolo di D’Annunzio nella “radiosa primavera” del 1915 - nell’opera di sensibilizzazione di quelle masse che la sociologia europea di fine Ottocento (Durckheim, Simmel) aveva scoperto come nuovi protagonisti sociali e dalle quali non si poteva più prescindere, ben pochi, invece, essendo quelli oppostisi in modo esplicito alla follia bellicista. Ma di contro alla guerra idealizzata ed esaltata dagli interventisti v’era quella reale del fango, delle trincee, dei bombardamenti apocalittici, che emerge da tanta memorialistica e, nei limiti consentiti dalla censura, dalle corrispondenze ai congiunti o di questi ai parenti al fronte. È appunto avvalendosi di tale preziosa documentazione che gli studenti hanno saputo fornire una descrizione efficace, priva di retorica, della realtà effettuale della guerra, che conobbe anche episodi, e non pochi, di fraternizzazione tra nemici, come ricordato nel bellissimo film francese del 2005 Joyeux Noel, che narra un episodio del genere avvenuto sul fronte francese nel Natale del 1914, o in Un anno sull’Altipiano (Einaudi), di Emilio Lussu, a riprova dell’opportunità d’avvalersi, per entrare didatticamente nel vivo d’un così tragico tema, anche della letteratura e del cinema.A conclusione va ricordata la versione filmica del 1930, diretta da Lewis Milestone, premio Oscar per  miglior film e regia, del capolavoro di Eric Maria Remarque, che, pur terminando con l’uccisione in trincea del protagonista Paul mentre cercava di catturare una farfalla, ricorda che quel giorno il bollettino di guerra comunicò “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Fulvio Salimbeni

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