lunedì 25 giugno 2018

Servono nuove regole per lavorare meglio in sala

Servono 

nuove regole
per lavorare 

meglio in sala


I riflettori puntati sulla cucina hanno creato reazioni a catena che, dall'alberghiero a fornelli e sala, hanno danneggiato l'intero settore. Per risollevarlo servono un cambio di rotta e l'intervento della politica




Troppi giovani sono oggi illusi da format tipo Masterchef, al punto che pensano che la via per diventare un grande cuoco sia un’autostrada ottimamente asfaltata, salvo andare poi letteralmente fuori strada alla prima buca. Questa bolla che prima o poi scoppierà (speriamo al più presto…), sta generando danni a non finire: istituti alberghieri che non sanno come ospitare la massa crescente di iscritti e che a causa di ciò (oltre che per programmi spesso obsoleti e mancanza di risorse per i troppi studenti) non sono in grado di fornire una formazione adeguata.

(Servono nuove regole per lavorare meglio in sala)

Ma gli effetti negativi di questo inganno mediatico non si riscontrano solo in un atteggiamento sbagliato dei molti giovani che puntano a diventare cuochi. L’aver enfatizzato troppo il valore della cucina, ormai lo andiamo ripetendo da anni, ha creato a cascata una serie di disagi nella gestione dei ristoranti, a partire dal considerare il lavoro in sala quasi un ripiego. Chi non ce la fa ai fornelli, passa a servire, quasi fosse un lavoro di serie B.

La demotivazione che ne è derivata è avvertibile in tanti casi. Salvo che ci siano locali importanti, dove la gestione ha saputo valorizzare tutto il personale, sono ormai sempre più i ristoranti dove ci sono problemi a trovare personale preparato o, peggio ancora, a gestire quello esistente.

L’appannarsi del riconoscimento anche sociale di una professione in alcuni casi ha portato con sé anche un calo di motivazioni e professionalità, che a volte sconfina anche in forme di assenteismo. Una situazione che da tempo richiederebbe adeguamenti a livello di contratti e normative, ma politici e sindacalisti hanno finora preferito cercare di tenere blindato un comparto, incuranti del fatto che ciò non favorisce certo la crescita di professionalità dei singoli dipendenti e dell’efficienza aziendale.

Ecco che in alcuni casi ci sono aziende di ristorazione o alberghi che rischiano di andare in crisi perché hanno le mani legate nella gestione del personale. Difficoltà nell’introdurre nuove figure là dove ci sono piante organiche vecchie e legate ad assetti magari superati. Organigrammi rigidi in cui non si può spostare un dipendente da un reparto all’altro nonostante l’introduzione di nuovi impianti. L’impossibilità di poter sostituire del personale che ad ogni fine settimana o festività, quando aumentano i carichi di lavoro, presenta certificati di medici compiacenti o richieste di permessi famigliari. Situazioni che in sé irrigidiscono i rapporti fra i dipendenti e non favoriscono certo politiche di accoglienza che fanno realmente la differenza fra un locale e l’altro.

Si tratta di problemi forse non facili da risolvere, ma che nella logica di un ciclo virtuoso di sviluppo in cui il turismo dovrebbe avere un suo ruolo più forte non possono non essere presi in considerazione. La palla però deve passare necessariamente ai politici. Le aziende, nella migliore delle ipotesi, non possono infatti che ricorrere a bravi consulenti del lavoro o a psicologi per migliorare il clima del luogo di lavoro. Ma questo non ha effetti sul miglioramento complessivo del sistema.

di Alberto Lupini
direttore

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