Sembra che la pandemia abbia messo a fuoco i problemi del mondo accelerando un dibattito su quanto è davvero essenziale per la nostra sopravvivenza, il cibo, e soprattutto sul più nobile degli alimenti, la carne, la cui produzione intensiva genera troppi danni al pianeta. Non basterà per tutti e soprattutto il modo convenzionale di produrre e di trasformare quanto ci dà la natura condizionerà inesorabilmente la vita della popolazione mondiale in continua crescita. Bisogna cambiare e subito il modo di alimentarsi, fronteggiare e rallentare i processi degenerativi in corso come l’inquinamento, i cambiamenti climatici e le loro conseguenze e garantire non solo la sopravvivenza, ma anche la convivenza solidale di miliardi di persone. La ricerca scientifica fa passi da gigante per offrire alternative e gli scenari che prefigura nei suoi allarmanti rapporti alimentano un dibattito ormai inarrestabile e coinvolgente perché non basta più pensare a un cibo “buono pulito e giusto”.
Se agricoltura e allevamento non basteranno a fornire cibo per tutti, quale sarà la fisionomia di quello del futuro? Insetti, funghi e alghe basteranno a fornire a tutti gli indispensabili nutrienti? Le grandi filiere globali stanno mostrando i loro limiti e gradualmente cresce la consapevolezza nei consumatori che una rivoluzione nel piatto sarà necessaria e che il cambio di passo toccherà inevitabilmente anche le corde della cultura e del gusto.
Carne sotto accusa
Sotto accusa è soprattutto la carne, concentrato di proteine nobili e di sostanze poco riproducibili dal mondo vegetale, ma soprattutto amata in tutte le culture come cibo privilegiato e del benessere. L’eccesso del suo consumo nei Paesi ricchi produce rischi biologici, ma la denutrizione di milioni di persone in quelli ancora in via di sviluppo - impossibile negarlo - deriva proprio anche dalla sua mancanza, dall’impossibilità per tanti di avvicinarsi al banchetto.La carne “pulita” realizzata in laboratorio ci salverà?
Via libera allora a tutto ciò che è vegetale o che viene dal mare, larve e vermi anche se trasformati in farina potranno dare una mano ma il traguardo resta, nel cibo del futuro, quello della carne: “clean meat”, carne pulita, vero e proprio tessuto animale realizzato in laboratorio coltivando in vitro le cellule prese con biopsia indolore dal corpo di un animale, sia esso un pollo, un maiale o una mucca. Ci si lavora per renderne l’aspetto, il sapore, la consistenza e la resa in cottura simili a quelli della vera carne.Tempi necessariamente non brevi e risultati tutti da verificare, ma il processo sembra inarrestabile, con buona pace per chi sospetta che spostare i consumi dal campo al laboratorio potrebbe mascherare un colossale eco-business.Verso una rivoluzione culturale
Ma come sarà il sistema di produzione, come si struttureranno le filiere di distribuzione, quali saranno i sottoprodotti? Il processo interesserà tutti. Che strade nuove prenderà il gusto, la ricerca della qualità? Sarà possibile in sostanza avere ancora dal cibo una gratificazione oltreché una mera alimentazione? Il processo interesserà tutti gli addetti che lasceranno la tuta e il grembiule per il camice, alcuni, o si trasformeranno in alchimisti, gli altri? Che ne sarà di macellai, norcini e poi ristoratori e dettaglianti? Una rivoluzione culturale.Alessandro Circiello: Dobbiamo cercare in natura
Ne abbiamo parlato con alcuni interessati e il quadro che emerge è variegato. Ma per tutti o quasi nella natura ci sono già le risposte. Basta cercarle. Ne è convinto Alessandro Circiello, chef e nutrizionista, docente Luiss, membro del Tavolo Tecnico del Ministero della Salute e socio Euro-Toques Italia. «Per il benessere dell’uomo e del pianeta - sostiene - non è necessario creare una carne in laboratorio. La natura ci viene incontro con infinite risorse vegetali e con i legumi, preziosi apportatori di proteine e alla base della dieta mediterranea. Il problema semmai è l’eccesso: si mangia troppa carne e quindi se ne produce sempre di più, inquinando. Tutti dovrebbero invece Iniziare un percorso di cambiamento delle proprie abitudini a tavola per avere cuore il proprio benessere. La carne rossa si dovrebbe consumare solo una volta la settimana e le carni bianche, anch’esse comprese nella piramide alimentare, un po’più spesso. Il mare poi è ancora un buon serbatoio di pesci, che non sono solo spigole e orate ma prezioso pesce azzurro. La chimica non può risolvere i problemi planetari immettendo sul mercato la carne in provetta, a prescindere da problemi come gusto, consistenza e accettazione da parte dei consumatori. E poi c’è il dato culturale: se larve e insetti sono da millenni buon cibo per i popoli asiatici, non lo saranno per gli altri e anche la loro trasformazione in farine non li renderà più appetibili. Il consumatore deve scegliere altro per nutrirsi a basso impatto ambientale. Soprattutto deve ben esaminare ciò che mette in tavola, e prima ancora esaminare le etichette che trova sullo scaffale del supermercato: un hamburger di manzo può contenere coloranti, conservanti e addensanti per renderlo più appetibile: tutte sostanze inutili oltre che dannose. Questo è il vero rischio, condiviso da vegetariani e vegani a cui l’industria ha messo a disposizione infiniti prodotti».Ciro Vestita: La carne in provetta sarà una necessità
Possibilista, ma solo perché rassegnato all’evidenza del disastro ecologico è invece il dietologo e fitoterapeuta Ciro Vestita. «Nel 2050 - dice- le riserve agroalimentari saranno praticamente dimezzate e già adesso nei mari la quantità di pesce si è ridotta grazie a tecniche di pesca distruttive come quella a strascico. I terreni agricoli sono sempre più ambiti e per questo viene devastata la Foresta Amazzonica a favore di coltivazioni di mais e soia. Ma non basterà, ed ecco che gli scienziati prevedono per i prossimi decenni l’uso di alghe e di insetti che compariranno sulle nostre tavole in svariati modi. Un’idea che non piacerà a nessuno. Detto questo, ben vengano quindi queste nuove tecniche per produrre carne: sfameremo il mondo, salveremo l’ambiente e soprattutto non creeremo sofferenza agli animali».Dario Cecchini: Non chiamiamola carne!
Un no deciso alla carne in provetta viene da Dario Cecchini, macellaio di Panzano in Chianti e re della Fiorentina, uno dei superesperti che fu chiamato in Israele per una consulenza sulla bistecca frutto della famosa stampante a tre dimensioni. «Il mio mantra - dice- è stato sempre amleticamente ‘beef or not to beef’, nel senso che pur essendo profondamente carnivoro ho un grandissimo rispetto per chi fa scelte diverse. Non a caso nei miei ristoranti i menu vegetariano e vegano hanno lo stesso rilievo: noi veniamo dal Rinascimento e la libertà di pensiero è la parte fondante della nostra comunità. Anche se la scienza riuscirà alla fine a dare a questa nuova materia un sapore accettabile, l’equivoco è chiamarla carne. Sarebbe una truffa chiamarla così per venderla meglio. Nella storia dell’uomo è sempre stata abbinata agli animali. Capisco che in futuro bisognerà fare qualcosa, ma intanto cominciamo a usare tutto dell’animale, dalla testa alla coda, non c’è solo il filetto. Se l’Artusi tra le prime ricette metteva il brodo, allora considerato una medicina, credo che passare da questo al filetto al pepe verde sia stata un’involuzione del pensiero. Tutto è buono dell’animale se è stato ben allevato in spazi liberi e con una morte onesta. Dobbiamo avere più responsabilità verso le uccisioni e verso la sostenibilità, ritornare alla celebrazione del sacrificio: la morte dell’animale che nutre la nostra vita».Heinz Beck: Non posso esprimermi su questo prodotto
E in cucina la clean meat potrebbe essere accettata? Pensiamo subito al tristellato chef degli chef, Heinz Beck, che sarà protagonista a novembre a Dubai della 12ª edizione dell’Italian Cuisine World Summit, tra i primi profeti della sostenibilità in cucina e impegnato a sostenere concetti e pratiche innovative in agricoltura. Sul tema carne in vitro ha preferito non esprimersi «avendo soltanto avuto modo di leggere informazioni in merito, ma non avendo assaggiato in prima persona questo tipo di prodotto e soprattutto non lavorando in questa direzione».Andrea Antonini: Traumatico per il consumatore
Diffidenza è stata espressa da alcuni cuochi di Roma, stellati ma anche titolari di oneste trattorie custodi di tradizioni. Andrea Antonini del ristorante Imàgo dell’Hotel Hassler a Trinità dei Monti è assolutamente contrario alla carne di laboratorio, anche se la ricerca col tempo la perfezionerà. «Non credo al ricorso della tecnologia - sostiene- per sfamare il pianeta e limitare l’inquinamento. La carne, tutte le carni, bovina, suina o avicola, fanno parte della cultura del nostro Paese, sarebbe traumatico per il consumatore sostituirla con un surrogato di laboratorio. Non sarebbe accettata. Tanto meno potrebbe essere elaborata da uno chef con la dedizione e lo spirito giusto. Se la carne (vera) diventerà un bene prezioso e raro saranno disponibili tanti altri doni della natura. Già i vegetariani ne sono convinti sostenitori e io stesso non la rimpiangerei. Nella mia cucina all’Hassler entrano molte verdure e i miei piatti sono molto apprezzati anche dai non vegetariani. Questa nuova materia non entrerà mai nella mia cucina».Stefano Marzetti: Non sarà la carne in vitro a salvare il pianeta
Simile l’atteggiamento di Stefano Marzetti, un altro famoso stellato Mirabelle dell’Hotel Splendid Royal. «Nella mia cucina - dice - la sostenibilità è un concetto presente da tempo. Rispettiamo la natura anche limitando lo spreco e promuovendo le buone pratiche come le cotture in fasce orario diverse per il consumo energetico. È vero che il pianeta esige un cambiamento di rotta ma non sarà la carne in vitro a salvarlo con la pretesa di nutrire la popolazione mondiale. La nostra cultura non la accetterà, come è stato dimostrato dagli Ogm o da altri cibi di laboratorio modificati come uova o latte: la nostra cucina è basata proprio sulla genuinità e la naturalità della materia. Altre prospettive? Riguardano un futuro lontano».Massimo Viglietti: Significa cancellare la visione romantica del cibo
Anche Massimo Viglietti del Taki di Via Marianna Dionigi che nella sua lunga carriera non ha mai posto confini alle risorse della natura sia vegetali che animali, aprendo scenari talvolta contestati da chi lo ha poi imitato, è contrario a questa carne. «Mi piace - dice- vedere l’animale al pascolo, la cura che l’allevatore gli dedica, e seguire tutta la filiera e il lavoro che c’è dietro. Per evitare l’inquinamento prodotto dagli allevamenti ogni nazione dovrebbe lavorare più razionalmente e con rispetto dell’ambiente. Ed in questo la ricerca potrà aiutare. Ma l’idea di una carne costruita in laboratorio cancella completamente la concezione romantica del cibo che hanno gli chef, che spesso sono a contatto col sangue. Lo trasformano, si impegnano nel gioco dei sapori, lo donano a chi gusterà quel piatto. Ero già contrario all’Ogm e a tutte quelle sperimentazioni sui grani. Stiamo portando avanti un progresso che sta diventando regresso. Se andiamo avanti cercando di trovare un sostituto ad un cibo naturale e salutare vuol dire che in questi ultimi anni non si è lavorato bene. Ci stiamo allontanando da quella che è un’idea cristiana, etica del cibo. Ma questo è un discorso più grande, più evoluto, che non riguarda solo il mondo della ristorazione e della gastronomia».Alessandro Mori: Meglio un consumo responsabile
Con la saggezza del custode della più tradizionale cucina romana che delle risorse della natura ha fatto sempre un uso saggio e legato anche al concetto di disponibilità economica, si esprime anche Alessandro Mori della storica Osteria Fratelli Mori a Roma. «Sono molto sensibile al tema dell’inquinamento ambientale dovuto all’eccessivo consumo di carne - dice - che oltretutto causa gravi malattie. Sono convinto che un uso più moderato e consapevole di carne possa risolvere entrambe i problemi, sia quello ambientale che salutistico. L’idea che la carne possa essere riprodotta in laboratorio non mi entusiasma, anche se la ricerca deve continuare a fare il suo lavoro. Tuttavia, da ristoratore e da appassionato di cucina non posso credere che una carne creata in laboratorio possa avere le stesse proprietà organolettiche e nutritive di una carne vera e allevata secondo criteri naturali. Resto convinto che un consumo responsabile, moderato e di qualità della carne sia la soluzione migliore. Ma è anche certo che i danni degli allevamenti intensivi e in batteria richiederanno in futuro una svolta».Fabio Carnevali: Per noi italiani sarà difficile “accettare” la carne sintetica
«Sono d’accordo sul fatto che tutti noi dobbiamo compiere un gesto di responsabilità per salvaguardare il nostro pianeta, questo è fuori di dubbio», dice Fabio Carnevali, giornalista editore di MangiaeBevi.it e curatore con Belinda Bortolan dell’immagine della migliore ristorazione regionale. «Da una parte l’allevamento del bestiame comporta altri costi di produzione tra acqua ed energia, necessita di grandi spazi e contribuisce all’inquinamento, tramite l’emissione di gas serra. Dall’altra nutro dei dubbi sull’applicazione di queste tecnologie, sia dal punto di vista degli impatti sulla salute, sia sotto il profilo etico. Capisco che con la carne sintetica non sarebbe più necessario allevare e macellare tantissimi animali (ogni anno nel mondo ne vengono uccisi 67 miliardi) e certamente ci arriveremo, ma non credo che i tempi siano maturi. Al ristorante si va per un’esperienza anche emozionale. Per alcuni, per chi considera il cibo solo come nutrimento sarà tutto più semplice, ma per noi italiani invece il cibo è un rito, è gusto e cultura».Iat
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