Formaggi Dop e Igp italiani: la qualità
come arma contro i dazi di Trump
Di fronte ai dazi americani e a un mercato saturo di copie, la vera risposta non è abbassare i prezzi, ma alzare l'asticella. Per Afidop la qualità non è uno slogan, è strategia: un sistema di regole, controlli e identitàterritoriale che oggi sostiene l'80% dell'export fuori dall'Unione europea e assorbe quasi metà del latte prodotto nel nostro Paese
Più qualità, più internazionalizzazione, più consapevolezza del valore autentico dei formaggi Dop e Igp italiani. È questa la direzione tracciata da Afidop, l'Associazione formaggi italiani Dop e Igp, nel corso dell'assemblea annuale tenutasi a Roma. Al centro dei lavori, l'impatto dei dazi americani, le opportunità nei mercati esteri e il peso crescente delle Indicazioni Geografiche nella produzione casearia nazionale. «L'unico modo per fronteggiare i dazi è puntare sulla qualità» ha dichiarato senza giri di parole il presidente Antonio Auricchio, sintetizzando il pensiero dell'intera filiera.
I dazi Usa e il rischio dell'italian sounding
La riunione romana ha fatto il punto su un'annata intensa, che ha visto i formaggi certificati italiani non solo confermare il proprio ruolo strategico, ma anche affrontare scogli pesanti come quello delle misure tariffarie decise dagli Stati Uniti. I dazi imposti dall'amministrazione Trump colpiscono duramente il comparto: gli Usa rappresentano il principale mercato extraeuropeo per i formaggi italiani e nel solo ultimo anno hanno importato 40.900 tonnellate, di cui l'80% Dop. Per ora, l'aumento è stato “limitato” al +10%, ma il provvedimento è solo sospeso e potrebbe arrivare presto al +20%. Tradotto: si parla di quasi 150 milioni di euro di costi in dogana, 100 dei quali solo per quest'anno, da sommare ai 50 già spesi nel 2024.
Una mazzata soprattutto per Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano, che da soli rappresentano il 95% dell'export Dop verso gli Usa. «L'applicazione di dazi aggiuntivi non si esaurisce poi con effetti sull'entità della tassazione sui nostri prodotti, sui prezzi per il consumatore americano, o i volumi di consumo, ma determinano anche un serio rischio di alimentare fenomeni nefasti per la nostra economia come l'Italian sounding - ha aggiunto Auricchio - queste misure quindi non solo andrebbero a penalizzare le nostre produzioni certificate ma, facendo leva sulla fiducia del consumatore, aprirebbero la strada a prodotti locali che, imitando i nostri formaggi Dop, verrebbero favoriti».
L'Italian sounding negli Usa vale più di 40 miliardi di euro
Il fenomeno dell'Italian sounding negli Stati Uniti, ricordiamo, muove un giro d'affari enorme, che secondo Coldiretti ha superato i 40 miliardi di euro nel 2024. A farne le spese, come detto, sono proprio i formaggi Dop italiani, quelli veri, perché il 90% dei prodotti che sembrano italiani sugli scaffali americani in realtà non lo sono affatto. Parmesan, Asiago, Gorgonzola, persino Romano: nomi familiari, etichette che richiamano l'Italia, ma dietro ci sono aziende del Wisconsin, della California o dello Stato di New York.
Prodotti che, in poche parole, vengono commercializzati come italiani negli States, ma che spesso non hanno nulla a che fare con il nostro Paese, né per ingredienti né (soprattutto) per metodi di produzione. Ma tutto questo non riguarda solo i formaggi: nella lista nera dell'Italian sounding finiscono infatti anche olio d'oliva, salumi, sughi pronti e passate di pomodoro, tutti alimenti che sfruttano l'immaginario legato alla cucina italiana senza rispettarne l'origine o la qualità.
Formaggi Dop e Igp: numeri solidi sul mercato interno
A fronte di queste criticità, Afidop rilancia sul valore del sistema delle denominazioni e sull'importanza di rafforzare la filiera. In Italia, i formaggi Dop e Igp assorbono 6,44 milioni di tonnellate di latte - pari al 48% delle consegne totali - e nel 2024 la produzione ha superato le 600mila tonnellate. A trainare la crescita ci sono, ancora una volta, i grandi nomi: +3,5% per il Grana Padano, +1,4% per il Parmigiano Reggiano, +1,9% per il Gorgonzola e +7,1% per il Pecorino Romano. Bene anche i formaggi con volumi più contenuti come Provolone Valpadana (+5,6%), Valtellina Casera (+8,9%) e Pecorino Toscano (+3,9%).
Dal punto di vista territoriale, la presenza delle Dop è ben radicata in tutta la Penisola. In Emilia-Romagna la produzione casearia a denominazione rappresenta il 90% del totale regionale, in Campania circa il 60% (grazie anche alla Mozzarella di bufala campana), in Sardegna il 54%, mentre Lombardia, Piemonte e Veneto si attestano oltre il 40%. Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Toscana e Lazio mostrano percentuali comprese tra il 12 e il 20%.
Formaggi Dop e Igp: l'export cresce, soprattutto fuori dall'Ue
Se il mercato interno resta centrale, l'export continua a rappresentare una leva fondamentale. Il 40% dei formaggi esportati è Dop o Igp, con una media del 37% nei Paesi dell'Unione europea e del 48% nei mercati extraeuropei. Qui il valore del made in Italy si fa sentire ancora di più, anche grazie agli accordi commerciali che tutelano le Indicazioni geografiche in 34 Stati. A spingere i numeri sono soprattutto Stati Uniti e Canada, dove le Dop rappresentano oltre l'80% dei volumi e l'85% del valore.
Non mancano però sorprese nei mercati emergenti. In Arabia Saudita, le vendite Dop sono cresciute del 26% rispetto al 2023, in Corea del Sud del 24%, negli Emirati Arabi del 20% e in Giappone del 18%. Anche in Europa ci sono segnali positivi: Austria (+13%), Polonia (+11%), Romania (+19%), mentre le quote Dop più alte si registrano in Germania (52%), Danimarca (48%), Svezia (46%) e Paesi Bassi (44%). Qualche passo indietro, invece, per la Cina, dove il Dop rappresenta solo il 7% delle esportazioni, complice la preferenza dei consumatori per i formaggi freschi.
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