Assocamerestero
lancia l’allarme
«L'Italian sounding
dilaga in America»
La commercializzazione di falsi prodotti alimentari made in Italy crea un giro d’affari di 54 miliardi di euro nell’area del centro nord America. Prezzi ridotti fino all’80% rispetto a quelli dei prodotti originali
L’Italian sounding, il fenomeno di concorrenza sleale che porta a vendere prodotti made in Italy “falsi”, rappresenta un fenomeno sempre più diffuso. Tuttavia l’impatto economico è spesso sottostimato: il suo volume d’affari è pari a 54 miliardi di euro (di cui 24 miliardi nell’area del nord e centro America), più della metà dell’intero fatturato dell’industria alimentare italiana (132 miliardi di euro). L’acquisto di prodotti Italian sounding risulta ancor più centrale se si considerano i tassi largamente dimezzati dell’export di settore nell’anno in corso, rispetto al +6,7% totalizzato nel 2015. A rivelarlo è un’indagine di Assocamerestero, l´associazione che riunisce le 78 Camere di commercio italiane all´estero (Ccie), soggetti imprenditoriali privati, esteri e di mercato, ad Unioncamere.
L’analisi è stata realizzata nell’ambito del progetto di “Valorizzazione e promozione del prodotto agroalimentare italiano autentico”, promosso e finanziato, all’interno della campagna di promozione del cibo 100% made in Italy, dal ministero dello Sviluppo economico e realizzato da Assocamerestero, in collaborazione con le 9 CCIE di Montreal, Toronto, Vancouver, Chicago, Houston, Los Angeles, Miami, New York, Città del Messico.
L’indagine, incentrata sul ricorso improprio a denominazioni geografiche che si rifanno all’Italia per indurre all’acquisto di prodotti non italiani, mira ad identificare caratteristiche e peculiarità del fenomeno e a valutarne l’impatto sull’export delle aziende del food & wine Made in Italy. L’analisi è stata condotta negli Stati Uniti, Canada e Messico, Area che assorbe circa il 15% dell’intero export dell’industria alimentare italiana.
L’analisi di Assocamerestero sul fenomeno prende a riferimento diversi parametri: dal canale di vendita, alla tipologia di prodotto, dalle caratteristiche del packaging con marchi che echeggiano l’Italia al ricorso a colori e grafica che ricordano il Belpaese ed ancora alle differenze di prezzo tra il prodotto imitato e quello autentico, che si attestano su una media del -30% rispetto all’originale. Le tipologie di prodotto considerate sono: latticini, pasta, salse, prodotti a base di carne, aceto, olio, prodotti sott’olio e sott’aceto, prodotti da forno e vino.
Risultano evidenti, per i prodotti Italian Sounding, le riduzioni di prezzo, spesso elevate, che raggiungono punte del -80% rispetto all’originale. I latticini sono il prodotto più interessato dal fenomeno, a causa anche della difficoltà di reperimento del prodotto autentico; gli abbattimenti di prezzo rispetto al prodotto italiano oscillano su una piazza molto rappresentativa come Chicago dal -13% della fontina, al -38% del “parmesan”, al -50% del mascarpone ancora al -48% dell’Asiago. In alcune catene distributive, inoltre, si raggiungono picchi del -75% per il provolone, -68% per il gorgonzola, fino a raggiungere il -80% sul prodotto autentico per fontina e pecorino sulla piazza di Los Angeles.
Per favorire il consumo del food autentico made in Italy, le 9 Ccie presenti in Stati Uniti, Canada e Messico hanno messo in campo, nell’ambito del progetto, diverse iniziative: 16 attività di formazione con il coinvolgimento di circa 600 operatori tra chef, nutrizionisti, addetti alle vendite, stampa specializzata e influencer; oltre 35 eventi promozionali negli Usa e in Canada, come degustazioni guidate, workshop, roadshow, eventi presso la rete dei ristoranti italiani certificati; e ancora la creazione di un database con circa 700 influencer “ambasciatori” del consumo dell’agroalimentare autentico italiano, di cui il 34% appartenente al settore del commercio (buyer, importatori, distributori, boutique store e specialty store, Gdo, ristorazione, hotellerie), il 31% al settore food professional (chef, ristoratori, school & education, sommelier), il 23% al settore media (generalisti tradizionali, settoriali tradizionali e media 2.0) ed infine il 10,6% al settore food & wine lovers (club & associations e individuals).
«Il giro d’affari dell’Italian sounding - ha affermato in proposito Gian Domenico Auricchio, presidente di Assocamerestere - ci dice che nel mondo esiste una forte domanda di Italia ancora da intercettare. Con questo progetto promosso dal ministero dello Sviluppo economico, la rete delle Ccie sta lavorando proprio su questo aspetto, coinvolgendo in azioni di sensibilizzazione sulle caratteristiche e la qualità del prodotto autentico italiano consumatori e operatori del food dei mercati di primo riferimento per il nostro export al di fuori dell’Ue. Siamo infatti convinti che il danno di immagine arrecato da imitazioni ben lontane dai nostri standard di eccellenza possa essere arginato solo attraverso la diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% made in Italy e lavorando sulle alleanze che le Ccie sono in grado di stabilire con le comunità d’affari locali».
L’analisi è stata realizzata nell’ambito del progetto di “Valorizzazione e promozione del prodotto agroalimentare italiano autentico”, promosso e finanziato, all’interno della campagna di promozione del cibo 100% made in Italy, dal ministero dello Sviluppo economico e realizzato da Assocamerestero, in collaborazione con le 9 CCIE di Montreal, Toronto, Vancouver, Chicago, Houston, Los Angeles, Miami, New York, Città del Messico.
L’indagine, incentrata sul ricorso improprio a denominazioni geografiche che si rifanno all’Italia per indurre all’acquisto di prodotti non italiani, mira ad identificare caratteristiche e peculiarità del fenomeno e a valutarne l’impatto sull’export delle aziende del food & wine Made in Italy. L’analisi è stata condotta negli Stati Uniti, Canada e Messico, Area che assorbe circa il 15% dell’intero export dell’industria alimentare italiana.
L’analisi di Assocamerestero sul fenomeno prende a riferimento diversi parametri: dal canale di vendita, alla tipologia di prodotto, dalle caratteristiche del packaging con marchi che echeggiano l’Italia al ricorso a colori e grafica che ricordano il Belpaese ed ancora alle differenze di prezzo tra il prodotto imitato e quello autentico, che si attestano su una media del -30% rispetto all’originale. Le tipologie di prodotto considerate sono: latticini, pasta, salse, prodotti a base di carne, aceto, olio, prodotti sott’olio e sott’aceto, prodotti da forno e vino.
Risultano evidenti, per i prodotti Italian Sounding, le riduzioni di prezzo, spesso elevate, che raggiungono punte del -80% rispetto all’originale. I latticini sono il prodotto più interessato dal fenomeno, a causa anche della difficoltà di reperimento del prodotto autentico; gli abbattimenti di prezzo rispetto al prodotto italiano oscillano su una piazza molto rappresentativa come Chicago dal -13% della fontina, al -38% del “parmesan”, al -50% del mascarpone ancora al -48% dell’Asiago. In alcune catene distributive, inoltre, si raggiungono picchi del -75% per il provolone, -68% per il gorgonzola, fino a raggiungere il -80% sul prodotto autentico per fontina e pecorino sulla piazza di Los Angeles.
Per favorire il consumo del food autentico made in Italy, le 9 Ccie presenti in Stati Uniti, Canada e Messico hanno messo in campo, nell’ambito del progetto, diverse iniziative: 16 attività di formazione con il coinvolgimento di circa 600 operatori tra chef, nutrizionisti, addetti alle vendite, stampa specializzata e influencer; oltre 35 eventi promozionali negli Usa e in Canada, come degustazioni guidate, workshop, roadshow, eventi presso la rete dei ristoranti italiani certificati; e ancora la creazione di un database con circa 700 influencer “ambasciatori” del consumo dell’agroalimentare autentico italiano, di cui il 34% appartenente al settore del commercio (buyer, importatori, distributori, boutique store e specialty store, Gdo, ristorazione, hotellerie), il 31% al settore food professional (chef, ristoratori, school & education, sommelier), il 23% al settore media (generalisti tradizionali, settoriali tradizionali e media 2.0) ed infine il 10,6% al settore food & wine lovers (club & associations e individuals).
Gian Domenico Auricchio
«Il giro d’affari dell’Italian sounding - ha affermato in proposito Gian Domenico Auricchio, presidente di Assocamerestere - ci dice che nel mondo esiste una forte domanda di Italia ancora da intercettare. Con questo progetto promosso dal ministero dello Sviluppo economico, la rete delle Ccie sta lavorando proprio su questo aspetto, coinvolgendo in azioni di sensibilizzazione sulle caratteristiche e la qualità del prodotto autentico italiano consumatori e operatori del food dei mercati di primo riferimento per il nostro export al di fuori dell’Ue. Siamo infatti convinti che il danno di immagine arrecato da imitazioni ben lontane dai nostri standard di eccellenza possa essere arginato solo attraverso la diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% made in Italy e lavorando sulle alleanze che le Ccie sono in grado di stabilire con le comunità d’affari locali».
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