La Terra è più verde
rispetto a 33 anni fa
L’aumento di emissioni di CO2 ha spinto le piante a sviluppare più foglie,
fenomeno preoccupante denominato dagli scienziati «effetto greening»
II verde sulla Terra, negli ultimi trent’anni, è aumentato.
Ma il merito non è di una politica di rimboschimento messa in atto dai vari paesi del mondo, bensì dalle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Sembra paradossale, eppure è quanto emerso da una ricerca di livello internazionale pubblicata sulla rivista scientifica Nature Climate Change, intitolata “Greening of the Earth and its drivers”: 32 ricercatori di 24 diverse istituzioni scientifiche hanno condotto lo studio utilizzando i dati ottenuti dai satelliti Nasa-Modis e Noaa-Avhrr, scoprendo che, negli ultimi 33 anni, circa il 50 per cento del territorio coperto da alberi è risultato essere più verde, quello che oggi è definito “effetto greening”.
Europa, Africa Centrale e Amazzonia settentrionale le zone più interessate dal fenomeno, ma importanti cambiamenti sono stati registrati anche in Nord America e nel Sud Est asiatico, per un totale di 36 milioni di chilometri quadrati di aree verdi. Secondo le stime degli scienziati, con il fogliame degli alberi, a oggi, si potrebbe ricoprire un territorio pari a due volte gli Stati Uniti.
L’effetto greening è dovuto per il 70% all’incremento della concentrazione di anidride carbonica presente nell’atmosfera, per il 9% dall’aumento della deposizione di azoto e per l’8% dai cambiamenti del clima che si sono verificati negli ultimi anni.
Il restante 4% è stato attribuito al cambiamento della morfologia del suolo.I “negazionisti” del cambiamento climatico hanno presto fatta loro la ricerca, alcuni addirittura sbandierando i benefici delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera perché “fa crescere le piante”. Ma quello che insistono a sottolineare gli studiosi, invece, è che l’aumento delle zone verdi è in realtà un vero e proprio sistema di difesa: gli alberi hanno aumentato il fogliame per poter assorbire dosi massicce di CO2. “Una difesa, però, destinata a non durare nel tempo – come affermato dal professor Philippe Ciais, co-autore dello studio – fino ad annullarsi, poiché richiede grandi quantità di fosforo e di acqua, elementi che iniziano a scarseggiare sulla Terra”. “Inoltre – rileva ancora Ciais – i danni causati da un aumento delle emissioni di CO2 superano i benefici momentanei apportati: catastrofi naturali, con distruzione della vegetazione, innalzamento dei livelli dei mari, acidificazione delle acque e in molti luoghi siccità, possono mettere a dura prova le risorse vegetali del Pianeta e a lungo termine comportare una riduzione della massa fogliare globale”.
“Il greening ha la capacità di cambiare radicalmente la ciclicità dell’acqua e del carbonio nel sistema climatico“, ha dichiarato il dottor Zaichun Zhu, dell’Università di Pechino e autore dello studio. Preoccupazione condivisa dal collega Ranga Myneni, della Boston University: “Lo sviluppo in più di un albero non va a compensare il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, la perdita di ghiaccio marino e la previsione delle tempeste tropicali più gravi in arrivo”.
Un monito del nostro Pianeta, quasi un canto del cigno, che va ascoltato.Ma c’è un’altra novità legata alle alte concentrazioni di anidride carbonica: a ciò sarebbe stato dovuto il drammatico cambiamento climatico avvenuto fra i 53 e 34 milioni di anni fa, nell’epoca dell’Eocene, con una temperatura di 14 gradi superiore a quella attuale. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Southampton grazie alle testimonianze conservate nei resti fossili dei microrganismi che allora popolavano gli oceani. La ricerca è importante sia per comprendere il clima del passato, sia per prevedere quello futuro. Analizzando gli antichi sedimenti oceanici e i livelli di CO2 tuttora presenti, i ricercatori hanno confermato l’ipotesi che l’anidride carbonica ha causato l’estremo riscaldamento in quell’epoca remota. Quando i livelli si sono ridotti è avvenuto un raffreddamento che ha portato alla formazione delle attuali calotte polari.
“Non possiamo misurare direttamente le concentrazioni di CO2 di un tempo così lontano, ma dobbiamo affidarci in via indiretta a ciò che rimane negli attuali resti geologici”, precisa Eleni Anagnostou, coordinatrice dello studio. “In questo caso – prosegue – abbiamo usato la composizione chimica dei fossili marini rimasti nei sedimenti per ricostruire gli antichi livelli di anidride carbonica”. “La sensibilità del clima alla CO2, che ha portato al riscaldamento nell’Eocene – aggiunge Gavin Foster, co-autore dello studio – è simile a quella prevista dall’Ipcc (Intergovernamental Panel on climate change) per il nostro futuro”.
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