Il caffè di Trump
spaventa i baristi
Anche se l’arrivo
di Starbucks
non cambierà il settore dei bar in Italia, certo qualche scossone lo darà. Speriamo che i sindacati si muovano per tempo, ma non per proteggere un sistema che ha bisogno di concorrenza vera
Ormai non è più solo un annuncio, Starbucks arriva in Italia e grazie al gruppo Percassi aprirà almeno 300 locali entro 5 anni. Alla faccia del protezionismo di Trump gli americani tentano l’assalto alla patria dell’espresso. Nonostante la bevanda che propongono sembri un caffè all’italiana quanto una coca-cola potrebbe pretendere di essere equiparata ad un salutista succo di chinotto, è bastata una conferenza stampa per scatenare sui social una sollevazione dei baristi italiani, pronti a scendere in piazza contro l’invasore color verde Lega nord.Se non fosse che molti gestori sono forse consapevoli di offrire un pessimo caffè (in linea con la qualità di miscele povere o macchine antiquate), non si capisce da dove nasca tutta questa paura. E non può essere neppure perché Starbucks offre da sempre connessioni internet gratuite ed efficaci. Insomma, cos’è che potrebbe turbare il mercato per molti versi “protetto” dei bar?
Molti di questi locali sono oggi luoghi di tendenza e di una movida che spesso non ha rispetto di luoghi e residenti. Altri, grazie ad una legislazione compiacente e col supporto dei sindacati di categoria, hanno sostituito i ristoranti, senza però essere sottoposti alle regole e ai controlli di quelli. Per non parlare della insostenibile tolleranza verso la diffusione senza regole delle slot-machine, che se da un lato garantiscono cassetti in attivo a fine mese, dall’altro sono causa ed effetto di una ludopatia che mette in ginocchio centinaia di migliaia di famiglie e genera più povertà della crisi economica. Ed evitiamo i riferimenti alle connessioni della criminalità con molti esercizi pubblici praticamente in tutta Italia...
Cosa potrebbe intaccare equilibri così stabili e sicuri? Forse a creare timore è la debolezza di un sistema che, esclusi i locali più qualificati e aggiornati (che non sono per fortuna pochi), non ha gestori adeguatamente pronti alle nuove sfide del mercato in termini di organizzazione e formazione.
Non sarà un caffè americano a cambiare il mondo dell’espresso in Italia, ma certo qualche scossone lo darà. Del resto c’è il mondo della ristorazione, ben più organizzato di quello dei bar, a dimostrare come l’arrivo di nuovi modelli aziendali, da McDonald’s agli home restaurant, porta con sé sconquassi clamorosi. Soprattutto se, come è successo per i ristoranti, i rappresentanti del comparto non hanno saputo capire per tempo che si doveva spingere per innovazione e formazione vera. Allora avevano preferito mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, salvo sollevarla a danno fatto. Speriamo che stavolta i sindacati di settore si muovano per tempo, ma non per proteggere un sistema che ha bisogno di concorrenza vera.
Alberto Lupini
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