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sugli alimenti,
una rivoluzione
se la burocrazia
non la blocca
La legge c’è, ma fino all’emanazione dei decreti attuativi non possiamo ancora cantare vittoria. Attualmente manca ancora, infatti, l’obbligo di indicare l’origine su un quarto dei prodotti alimentari in commercio
La novità è davvero importante, ma per il momento siamo solo agli annunci: l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti alimentari è ora previsto per legge, ma non si sa quando entrerà in vigore e, soprattutto, con quali modalità. Tutto è come sempre rinviato all’emanazione degli indispensabili decreti ministeriali attuativi che già in passato hanno riservato sgradite soprese. Quella che potrebbe essere un’autentica rivoluzione in positivo per i consumatori e per le aziende più serie, dipenderà di fatto dalle decisioni che prenderà una burocrazia che già in passato ha castrato altre novità in questo campo. Pensiamo ai magri risultati che ha dato l’etichettatura dell’olio voluta dall’ex ministro Martina: bisogna seguire un corso specialistico per capire con che olive è stato fatto...
Nonostante la giusta enfasi governativa su queste nuove regole (potrebbe essere davvero una rivoluzione), l’esperienza purtroppo ci costringe a stare coi piedi per terra. A vedere i servizi dei telegiornali di questi giorni sembrerebbe che andando a fare la spesa già ora si possa sapere se un succo è fatto con frutta italiana o meno. Ma così non è. E così resterà ancora per un po’ di tempo. Speriamo solo che l’attesa ci permetta di avere decreti ben fatti e non “piegati” alle logiche di qualche lobby italiana o straniera. L’obiettivo che si è posto il ministro Gian Marco Centinaio è di far diventare sul serio l’Italia il Paese con la più elevata trasparenza e tracciabilità. Ne va della nostra salute, del nostro benessere e, aspetto non trascurabile, sarebbe un’importante occasione di sviluppo. Il che non è da poco in tempi di Pil che crolla...
Va ricordato che ad oggi le informazioni sull’origine ancora non ci sono per un quarto dei cibi in commercio (salumi, carne di coniglio e carne trasformata, marmellate e succhi di frutta, piselli e fagioli in scatola, pane, insalata in busta, sottoli, verdura e frutta essiccate). L’applicazione della legge riempirà un vuoto mettendo allo scoperto molte realtà che, in assenza di regole stringenti, ci hanno magari un po’ giocato. Non a caso fino a oggi mancavano i salumi... La trasparenza dovrebbe infatti costringere a dichiarare da dove vengono le cosce usate per i prosciutti, ma se i decreti ministeriali giocheranno sul fatto che a un maiale dell’Est Europa (allevato non si sa come) basti soggiornare qualche settimana in Italia per essere dichiarato italiano, la burocrazia avrà affossato ancora una volta l’unico strumento su cui potremmo costruire davvero strategie di promozione dell’autentico Made in Italy.
L’aranciata può essere fatta con agrumi nordafricani, ma il consumatore ha il diritto di saperlo e di scegliere se pagare di più o di meno un prodotto. L’Italia è il Paese che ha più controlli sugli alimenti. Questa piccola “rivoluzione” ce la possiamo permettere, ma a condizione che si prevedano sanzioni sempre più alte per chi imbroglia.
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