SALE. APPELLO
AL
GOVERNO
E AL DEMANIO:
non svendiamo
italiano
il sale è come l’acqua
potabile. Una proprietà pubblica collettiva da difendere e
tutelare. Niente monopoli, ma fare strategia e sistema deve essere un
nuovo impegno nazionale.
Senza entrare nel merito di situazioni e
problemi imprenditoriali e di gestione delle concessioni (anche se
l’assegnazione degli usi e le destinazioni a terzi, la contrattualistica e i
bilanci sono pur sempre una componente di organizzazione e di scelte di impresa
collegate alle strategie e necessità del territorio, come molti Sindaci
insegnano) che sono stati evidenziati dalla stampa locale e nazionale negli
ultimi anni, è evidente che anche il Demanio e lo Stato, come unici
proprietari, devono essere in primis coinvolti nella nuova visione di un
#saleitaliano. Per questo Ministeri dello Sviluppo Economico e della
Agricoltura Pesca Alimentazione, ma anche quello dei Trasporti e Navigazione
devono essere i primi interlocutori ed essere i primi a volere una
valorizzazione del bene indivisibile e inalienabile da parte dello Stato.
In quanto proprietario ci sono diritti e dovere da evidenziare, sostenere ma
anche farsi carico.
Poi è l’impresa o le imprese private,
senza oligopoli e monopoli, senza problemi di concorrenza e di trust, che
devono essere innovative e proiettate non solo al famigerato business e
reddito. “Oggetto della concessione governativa è l’estrazione del
primordiale bene naturale, il sale, fondamentale per destinazioni
industriali, artigianali ed alimentari. Il Demanio è proprietario, imprese
private sono gestori autorizzati, ma la assenza da anni di un piano industriale
nazionale, non ha colto l’importanza distrettuale e integrato del
sale per offrire opportunità, nuovi posti e imprese, diversificazione
facendo squadra e sistema. Le saline sono viste molto come prodotto da
raccogliere e commercializzare per volumi, quantità, spesso con una filiera di
vendita lunga con molti rincari, spesso eliminabili. Poi ci sono eccezioni e
localmente è successo qualcosa e ci sono delle azioni condivise di
valorizzazione territoriale. Ma occorre un cambio di passo. Il Governo può fare
molto con Regioni e comuni”.
Quindi la concessione del bene “salina”
deve andare di pari passo con una integrazione e norma che sviluppi la risorsa
a favore del distretto produttivo, dove risiedono i lavoratori, diventando una
vera destinazione diffusa e integrata del turismo regionale. Ben venga
implementare i musei già esistenti, ampliandoli e migliorandoli presentando
piani di finanziamento direttamente in Europa. La UE su settori ambiente, mare,
coesione sociale, mecenatismo, partecipanza …ha grandi fondi disponibili che
l’Italia negli ultimi 15 anni non ha mai sfruttato fino in fondo: non si arriva
al 60% di quello che potremmo ottenere senza alcun sforzo perché già assegnato,
basta avere progetti concreti, obiettivi precisi e un po’ di investimento
diretto. Basta fare un progetto concreto di sviluppo, magari coinvolgendo anche
altre “saline” di mare o di roccia di altri paesi, come quelle sulla costa
orientale dell’Adriatico, oppure rispolverando e ridando vigore e pregio alle
prime saline “Fenicie” del mediterraneo orientale, come quelle dell’isola di
Cipro o quella antichissima di Almyros in Grecia (1500 anni a. C.) nel golfo di
Tessaglia, detta terra Magnesia…il tutto collegate con le sempre antiche
origini fenicie delle saline storiche di Paceco e Nubia a Trapani già Presidio SF
e unico sale Igp.
Il Demanio e lo Stato Italiano
possiedono un gioiello unico in tutta Europa che deve essere difeso con i denti
e valorizzato al massimo, sia da solo che in un gruppo di eccellenze
alimentari, sanitarie e da cucina di Sicilia e di Sardegna. In particolare, la
salina di mare di Margherita di Savoia, affacciata al golfo di Manfredonia con
sfondo il Gargano, avente una sua Riserva Parco già attiva, un sito termale
spa-benessere molto importante, un museo da aprire ancor più al mondo,
diversità tipologiche di sali naturali, un retroterra produttivo del tavoliere
dell’alto salentino ricco di enogastronomia e di storia anche d’Italia, senza
dimenticare il valore dei porti turistici del basso Adriatico e tutta la flotta
di pescherecci in grado di pescare il miglior presce….. rappresenta una forte e
consolidata, pronta alla innovazione e allo sviluppo, realtà su cui impiantare
il sistema e il modello del nuovo #saleitaliano. Un sistema
Sale-Terme-Parco che è strettamente collegato a un governo diverso dei
“fermo-pesca”. Un sistema integrato e diffuso su un territorio-littoraneo di
circa 20.000 ettari in grado di unire i 4000 ettari della zona Sic-Zps delle
saline, con i 500 ettari di vasche evaporanti e salanti (le più grandi
d’Europa) con le filiere enogastronomiche, enoturistiche e agroalimentari di
uno dei distretti più biodiversi d’Italia. Per il PaeseItalia è soprattutto una
questione di opportunità, di scelte strategiche, di affermazione del made in
Italy anche per una commodity che può diventare un altro gioiello Igp, Dop,
Presidio, Stg che arricchisce il già ricco patrimonio del BelPaese.
“Un patrimonio nazionale che
può avere sbocchi, interessi, creare imprese nel mondo della cosmesi, della
medicina, dei coadiuvanti, della sanificazione e della conservazione dei cibi,
oltre che al normale ma di alto valore aggiunto e pregio nei ristoranti
stellati e più noti nel mondo. Oggi uno spazio occupato da imprese londinesi
con il sale Maldon o himalaiane con il sale rosa.
Senza il sale marino
non avremmo storie di arte culinaria da raccontare come quella dello
stoccafisso, della saracca, del carpione, del baccalà, delle acciughe e senza
il sale di terra o salgemma come quello prodotto a Volterra o a Salsomaggiore
non avremmo il culatello di Zibello,
il Parmigiano, il lardo di Colonnata, la
coppa di Piacenza, il Grana Padano, la carne seccata e tutti le conserve in
salamoia, come olive, pomodori, cetrioli, cipolle.
Tutti alimenti che per il
contatto o il contenuto di iodio, magnesio, sodio, potassio, zolfo nelle giuste
quantità diventano salutari, coadiuvanti terapeutici, esponenti importanti
nella dieta mediterranea riconosciuta dall’Unesco come patrimonio indissolubile
del mondo. Per questo il sale non deve essere trattato come una commodity, ma
come una componente alimentare, salutistica, farmaceutica, omeopatica, ma
nelle giusta misura, dose e formula”.
Questo è l’aspetto più positivo che
potrebbe tornare molto utile per una nuova impostazione di tutto il sistema
delle concessioni e della gestione di una salina, ma con una nuova visione, in
cui determinati beni strategici per il BelPaese (NB: tutto quello che è
agroalimentare-enogastronomia dovrebbe essere strategico per l’Italia!) non
dovrebbero essere alienati o ceduti con facilità, attraverso modelli
finanziari, solo di interesse al business privato o a fare cassa, se vendibili.
Una concessione di una proprietà pubblica, cioè una proprietà collettiva degli
italiani, è come vendere un pezzo d’Italia anche temporaneamente. Il mass
market del sale fa bilancio ma è marginale rispetto al valore aggiunto e ai
benefici sociali ed economici che possono nascere nel Sud Italia, senza
assistenzialismo ma con sviluppo imprenditoriale, grazie a un grande piano
strategico imprenditoriale di Distretto Produttivo che ruota a 360° attorno al
brand “SaleSudItaly”. Su questo CEVES sta lavorando da più di un anno
analizzando e degustando circa 300 Sali diversi provenienti da tutti i paesi
del mondo, estratti o commercializzati. A fine 2019 saranno disponibili i
risultati tecnici.
Giampietro Comolli
(Presidente Centro Studi Ricerca Distretti Cibo Vino =
CEVES)
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