LE CAREZZE:
Non di rado traditrici
Ma ne siamo ghiotti
Non di rado traditrici, ma ne siamo ghiotti.
Ecco come si manifestano a livello sensoriale.
Un
tempo i gusti in ambito alimentare cambiavano in funzione delle possibilità di approvvigionamento e
potevano subire mutamenti profondi con l’arrivo di cose nuove, si pensi per esempio all’introduzione del mais,
della patata e del pomodoro.
Ma in tempi moderni, con società viziate e con imprese sempre alla
ricerca di nuovi business, sono le mode a farli cambiare. Così negli anni Ottanta del secolo scorso il light
si affermò come imperativo per vivere meglio e condizionò l’alimentazione al punto che per un cibo o una
bevanda avere “gusto” significava essere fuori moda. I vini e le acquaviti si fecero più chiare, i
salumi e i formaggi meno grassi, la carne più bianca e via discorrendo.
Non fu un periodo felice, con qualcosa si
doveva recuperare, ma senza tradire il salutismo che comunque avanzava portando a una riduzione del
consumo di alcol e alla “caprettizzazione” della tavola con enormi piatti di
insalata. Il recupero dell’edonismo fu lasciato alle carezze, molto ben espresse dal concetto di morbidezza,
tutt’ora imperante anche se con accezioni diverse.
La morbidezza si esprimeva alla vista con linee
smussate nella grafica, nell’arredo della tavola e
persino nelle confezioni, bottiglie non escluse. Ma non da
meno si manifestava all’olfatto evitando ogni pungenza e al gusto, dove l’acidità doveva essere moderata e
l’astringenza assente, meglio ancora se si poteva contare su uno stondamento con grassi (cercando di
non metterli in evidenza), proteine e macroglucidi. I vini si fecero muscolosi e le grappe
morbide, i formaggi tornarono corposi e nel caffè si assistette all’avanzata dell’espresso che più di ogni altro
è in grado di fare una carezza al palato.
Che cosa è una carezza
Gli umani hanno più o meno sei metri quadrati
di pelle e ogni singolo millimetro è in grado di percepire la variazione di temperatura e la
pressione, sia pur minima, come quella di una zanzara che si posa in cerca di sangue. Quando la pelle viene
sfiorata, in base alla velocità, alla pressione alla temperatura e ad altre caratteristiche dell’agente (liscio,
rugoso, unto, umido ecc.) il segnale giunge alla corteccia primaria somatosensoriale che ci informa se lo
stimolo è generato da una minaccia o da un’opportunità e coinvolge il talamo generando un complesso
emozionale di notevole importanza.
Quando lo stimolo è positivo si tratta di una carezza,
straordinaria percezione capace di evocare situazioni felici e promesse ardite, consolidamenti relazionali e
momenti di benessere.
Naturalmente la sensazione fisica si traduce in percezione mediante sofisticati
meccanismi cognitivi che la valutano anche sotto il profilo della coerenza. Famoso a questo proposito
l’esperimento fatto dal Caltech in California che ha chiesto a una donna di accarezzare una gamba a 18 maschi
eterosessuali in due sessioni distinte in cui gli uomini non potevano ovviamente vedere chi li stesse
accarezzando. Nella prima sessione ai soggetti dell’esperimento venne detto che erano accarezzati da una
donna attraente, nella seconda da un uomo. Le reazioni furono ben diverse. Come dire: il tocco di per sé
può essere piacevole, ma se è una opportunità o una minaccia dipende dall’attore. Le carezze al palato Per
quanto la nostra epidermide sia sensibile e i segnali che trasmette al cervello tanto importanti, non può
certo competere con la mucosa che riveste il nostro naso e la nostra bocca, vera esploratrice delle
caratteristiche di quanto può essere inalato o ingerito.
Come per la pelle, la funzione della mucosa del cavo orale è
codificata nel nostro patrimonio genetico e comincia a registrare informazioni ancora in età prenatale
evidenziando una marcia in più: alle percezioni di tipo fisico aggiunge la sensibilità chimica comune,
quindi la possibilità di individuare l’astringente, il metallico, il pungente, il piccante e
l’ardente/rinfrescante.
Le carezze cambiano il mondo alimentare.
Con l’avvento della moda della morbidezza le carezze al
palato si sono fatte sempre più ambite, tanto da portare i produttori a cambiare la fisionomia di molti cibi
e molte bevande. Se lo yogurt ha cominciato a fare l’amore con il sapore mediante una sensibile crescita del
tenore di grassi che ne moderano l’acidità, i vini l’hanno rincorso innalzando il pH a livelli ritenuti un
tempo proibitivi e l’alcol oltre la soglia della beverinità, per non parlare del ricorso a coadiuvanti che
modificano la percezione tattile. Non da meno sono le acquaviti che hanno innalzato il tenore zuccherino
al massimo legale (2% di saccarosio), come un po’ hanno fatto anche gli spumanti: si dichiara la propria
propensione ai non dosati, ma si scelgono quelli carezzevoli, e la stessa tendenza si manifesta con le birre:
artigianalità in molti casi si traduce in minore saturazione e più estratto. Per non parlare dei formaggi
dove la lunga stagionatura continua a essere promossa, ma poi di fatto vince la carezza in bocca fatta da
un complesso a bassa piccantezza e con gran velluto.
preparazioni ad alto volume e a basso residuo fisso (chemex,
v60, aeropress ecc.) con caffè acidi perché tostati poco, ma è solamente apparenza dovuta al clamore che
fanno le novità (che novità sono solo da noi, perché trattasi di metodi molto datati) in quanto mai
come in questo periodo l’Espresso Italiano, ha avuto tanto successo all’estero.
E
mai come in questo periodo la moka è stata abbandonata per lasciare il posto all’espresso casa. Anche
qui occorre fare molta attenzione: quando la carezza dovuta a grassi, proteine e macroglucidi si spegne
per lasciare il posto alla ruvidità causata dall’astringenza (dovuta a specie poco nobili e a caffè
immaturi), la delusione è assicurata e il piacere si trasforma in dispiacere.
Luigi Odello
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