L’arte della mise
en place
Nulla va lasciato
al caso
Comunicare l’identità del ristorante e nel contempo accogliere l’ospite sollecitandone il senso estetico e avviando un percorso emotivo che sia preludio dei sapori. La mise en place è una dimensione artistica della ristorazione e come tale non va improvvisata o sottovalutata.
Tovagliati, piatti, posate, calici, luci, fiori, accessori sono gli elementi che - in addizione o sottrazione - danno vita a un ambiente ben definito, unico. Rappresentano un complesso di attenzioni che gratifica, rilassa e stimola le aspettative. La mise en place (che si può tradurre con “allestimento della tavola”) va studiata a fondo, analizzando e combinando fra loro i numerosi i fattori che la rendono un valore aggiunto. Al contrario, superficialità e approssimazione possono pregiudicare l’impegno, la creatività e la perizia della cucina.Ma non è solo la cura del dettaglio a rendere speciale o meno l’esperienza dell’ospite; la mise en place richiede un approccio strategico che metta in gioco sia lo stile architettonico e l’ubicazione del ristorante sia la linea di cucina e la filosofia di cantina. Prima di assecondare mode o tendenze, va quindi verificato che siano compatibili con il dna del locale. Un mosaico policromo, che va saputo comporre tassello per tassello.
Italia a Tavola ha voluto approfondire questa tematica coinvolgendo alcuni autorevoli professionisti del settore, sollecitati nell’esprimere la loro interpretazione della mise en place. Linee guida articolate, soggettive e complementari. Esperienze di cui fare tesoro.
Marco Reitano
Prima voce, quella di Marco Reitano, presidente di Noi di Sala, associazione che dal 2012 persegue l’obiettivo di valorizzare l’identità della sala e del servizio, e sommelier del ristorante La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri, tre stelle Michelin. «Tra le diverse sfaccettature della mise en place - ricorda Reitano - oltre al rispetto dello stile del locale, devono essere valorizzati il tipo di cucina e i vini proposti con le porcellane e i calici idonei, così da poter creare armonia emozionale nell’ospite. Di rigore, poi, il modo in cui si prepara il tavolo, il rispetto della pulizia e delle geometrie dei materiali utilizzati. L’abilità di un bravo professionista è nel saper individuare le esigenze estetiche unendole a quelle tecniche. Senza ingabbiare il cliente in una tavola dove prevalgono gli accessori. La libertà di movimento rende l’esperienza del pasto più piacevole e facilita il lavoro degli addetti di sala».
Mariella Organi
«La mise en place contemporanea - spiega Mariella Organi, sommelier e maître della Madonnina del Pescatore, due stelle Michelin a Senigallia (An) - è sempre più raffinata e deve essere in sintonia con la cucina. Si deve adattare alla tipologia e alla struttura del ristorante e miscelare con la storia del territorio. Leggerezza, piacevolezza e luminosità sono le parole chiave. Inoltre si predilige una riduzione delle dimensioni dei piatti. Oggi più piccolo significa più bello e funzionale, anche in merito alla tenuta di calore. Il concetto di sottrarre, piuttosto che aggiungere, rappresenta lo stato dell’arte della mise en place attuale».
Giacomo Lovato
Dalla riviera Adriatica all’alta quota di Cervinia, in Valle d’Aosta. A parlare di mise en place è un protagonista del dietro le quinte, ma sempre in costante rapporto con la sala: Giacomo Lovato, chef del ristorante gastronomico Snowflake dell’hotel Principe delle Nevi. «La cura del dettaglio è un imperativo - sottolinea - soprattutto in una struttura come la nostra che sviluppa diverse aree di ristorazione. Il comun denominatore è uno stile che amalgama design e rustico. Una mise en place in chiave più semplice nel nostro bistrot, molto più incisiva nel ristorante dell’albergo e in quello gastronomico. In ogni caso i tavoli devono esprimere essenzialità, arricchita da note di colore in grado di valorizzare le elaborazioni culinarie».
Giusy Chebeir (foto: altissimoceto.it)
Una tendenza oggi molto marcata è quella che fa rotta con decisone sul minimal, interpretato secondo le singole esigenze. Giusy Chebeir, direttore di sala del milanese Daniel, ha impostato due mise en place. «Una è per il business lunch, caratterizzata da un’eleganza agile. Tutto è in tavola, per snellire i tempi, e si aggiungono le posate quando viene servito il piatto. Di sera impostiamo il “servizio del tovagliolo”, adagiato al momento quanto l’ospite è seduto. Il tavolo è pulito: presenti solo il piattino per il pane, il calice acqua e una flûte. La mise en place, elegante ma non impettita, si sviluppa in corso d’opera».
Matteo Zappile
Servizio e arredo tavola “tailor made” anche a Il Pagliaccio di Roma, due stelle Michelin, dove la sala è condotta dal sommelier Matteo Zappile. «Da un paio di mesi - annota - tutto è rinnovato. Siamo tornati all’essenzialità: tavolo nudo dove è presente solo il sottopiatto. La nostra mise en place è personalizzata, si sviluppa con il cliente in base alle sue scelte». Una strategia operativa che mette l’ospite al centro dell’attenzione e snellisce i tempi e le modalità del servizio. Basti pensare che Il Pagliaccio dispone di un ventaglio di ben 32 calici differenti per il vino.
Luca Caruso (foto: identitagolose.it)
Declinazione minimalista anche nel ristorante Signum (una stella Michelin) dell’omonimo albergo sull’isola di Salina, Arcipelago delle Eolie. «Un minimalismo intenso che si declina con tovaglie di lino che valorizzano i tavoli antichi e un calice importante per l’acqua», precisa Luca Caruso, membro della famiglia titolare del boutique hotel siciliano. «Niente posate, che accompagnano i piatti in uscita, anche perché la prima entrata è rappresentata da finger food. Ogni dettaglio è ragionato. Misceliamo classico e design, come i piatti in ceramica dai toni chiari che si abbinano all’ambiente marino, gli accessori composti e ravvivati da materiali diversi o il cestino del pane in rame. Il nostro ospite deve vivere un’esperienza unica».
Matteo Bernardi (foto: Marco Peruzzo - Different Media Productions)
Semplicità ed eleganza le coordinate che impostano la tavola de Le Calandre, 3 stelle Michelin a Sarmeola di Rubano (Pd). «La linea che seguiamo - spiega il sommelier Matteo Bernardi - è quella di ridurre tutto al minimo. Quindi niente tovaglia e sul tavolo di legno solo tovagliolo, piattino del pane, calice per l’acqua e una flûte. Il cliente deve essere concentrato sulla portata, immerso in un’esperienza sensoriale assoluta. La mise en place segue il suo ritmo e asseconda le sue scelte».
Maurizio Filippi
Ambiente completamente diverso alla Sala della Comitissa. Siamo a Civita Castellana, nel Viterbese, in un palazzo del ‘500, struttura che inevitabilmente condiziona la “stesura” della mise en place. I tavoli sono tondi, con diametri importanti anche solo per due persone. L’atmosfera è calda e intensa e l’ospite ne è il centro di gravità. «La mise en place - racconta il sommelier Maurizio Filippi - segue un ordine preciso che scandisce tempi e modi del servizio. All’inizio solo tovaglia e tovagliolo bianchi, macchie di luce, con il piattino del pane; poi il tavolo si arricchisce di due calici, per l’acqua frizzante e naturale. Non è un vezzo, abbiamo una carta con 19 tipologie di acque. In base alle scelte del cliente vengono quindi disposti i calici per il vino, mentre le posate accompagnano la ricetta impiattata. Un servizio “senza guanti, ma in abito”, che dà importanza alla ritualità. I piatti, mi piace ricordarlo, sono diversi, belle ceramiche dipinte da ragazzi disabili. Una personalizzazione per ogni tavolo che, oltre a irradiare toni cromatici, emana calore umano».
Antonello Magistà (foto: beverfood.com)
Un contesto architettonico di grande impatto anche quello che ospita a Conversano (Ba) il ristorante Pashà, 1 stella Michelin. «Siamo al piano terra di un seminario vescovile», racconta il responsabile di sala e sommelier Antonello Magistà. «Le volte sono basse e abbiamo arredato le nostre tre sale in modo diverso. La prima accoglie tavoli di design, quadrati e unibili, senza tovaglia e vestiti solo con una lampada dedicata e un segnaposto moderno e stilizzato che si ispira alla tradizione pugliese. Medesima impostazione per la seconda, che sviluppa cinque differenti tavoli rotondi di metà ‘800. La terza sala si ispira al concetto di suite d’albergo: un solo tavolo con tovaglia e tovaglioli di lino. È stata predisposta una mise en place del luogo che vuole trasmettere un tangibile senso di benessere. Va in scena il contrasto tra oggetti di antiquariato e design: si valorizzano a vicenda. E sui tavoli sono importanti l’illuminazione, la presenza di fiori freschi e la scelta dei calici. Ci vuole sensibilità per interpretare gli ambienti e ritengo un errore inseguire le tendenze: la mise en place va contestualizzata. Deve essere un elemento che valorizza lo spazio con armonia».
di Gabriele Ancona
vicedirettore
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