lunedì 25 ottobre 2021

Negli hotel manca personale. Per i direttori la colpa è di tutti: bisogna fare rete

 

Negli hotel manca personale. Per i direttori la colpa è di tutti: bisogna fare rete

Anche negli alberghi, come nei bar e ristoranti, il ricambio generazionale è lento. Gli addetti ai lavori trovano responsabilità in ogni anello della filiera: dalle scuole, ai ragazzi fino agli stessi imprenditori. Il segreto è comunicare le proprie necessità e puntare forte sull'alternanza scuola-lavoro

di Federico Biffignandi


Lcolpa? Un po' di tutti. Il mondo degli alberghi risponde così alla questione che, come Italia a Tavola, ci stiamo ponendo ormai da diverse settimane circa la preparazione dei ragazzi nelle scuole alberghiere in funzione di un loro approdo al mondo del lavoro nell’Horeca. Se la risposta è un po’ più equilibrata rispetto alle altre professionalità ascoltate, la radice resta sempre la stessa: i ragazzi mancano e i locali restano a corto di personale. Che significa correre il rischio di offrire un servizio di minor qualità e di perdere clienti, in un momento in cui si cerca disperatamente di ripartire.

D'Andrea: Ognuno ha le sue responsabilità

Ad aprire la discussione è il direttore dell’associazione Direttori d’Albergo, Alessandro D’Andrea il quale offre spunti interessanti su più fronti. In primis, l’appunto alle scuole alberghiere. «Le scuole alberghiere - esordisce - hanno perso quella che era la fama di essere valide, hanno perso lo smalto di un tempo e di conseguenza i ragazzi di oggi hanno una preparazione diversa rispetto al passato».

Una colpa didattica, insomma, che è ulteriormente aggravata dall’atteggiamento degli studenti stessi: «I ragazzi di oggi - precisa D’Andrea - sono poco vogliosi, ai colloqui chiedono subito delle ferie e non hanno intenzione di lavorare la domenica, a Natale e non è sempre chiaro a tutti quanto sia impegnativo e serio il lavoro in albergo. In questo le scuole hanno poca responsabilità perché difficilmente si riesce a trasmettere questo, si capisce solo sul posto di lavoro quanto sia complicato. Finché non hai a che fare con 10 clienti, con 10 necessità diverse non puoi capire davvero».

Poi, sguardo a quello che succede negli alberghi: «In una brigata di 30 persone, con 2-3 “stagisti” che danno il loro apporto questi possono apprendere e acquisire conoscenze anche semplicemente osservando i colleghi. Negli alberghi più piccoli invece, anche il “novello” deve essere operativo perché ognuno ha un peso diverso».

La questione sollevata dal presidente poi è di tipo economico e contrattuale, che si differenzia da quanto detto da cuochi, pasticceri e barman: «Nel nostro settore i contratti nazionali prevedono cifre che non rendono merito al nostro lavoro - attacca - e questo è un problema che si manifesta soprattutto in quei profili, anche giovani, che possiedono molte qualità, che sono aggiornati e capaci, moderni e volenterosi. Bisogna rivedere questo aspetto perché è un neo nel mondo degli alberghi. In questo discorso inserisco anche il fatto che, purtroppo, in molti si sono abituati a restare a casa a fare niente, ma con gli aiuti dello Stato».


Indiani: Mea culpa anche degli imprenditori

Gli fa eco Ezio Indiani, presidente di Ehma (European Hotel Managers Association) e direttore dell'Hotel Principe di Savoia di Milano che in maniera lucida e obiettiva trova un equilibrio tra le colpe degli studenti e quelle degli imprenditori. Da una parte emerge la poca voglia di lavorare ai ritmi tradizionali dell'accoglienza, dall'altra la necessità di adattarsi alle loro volontà che poi sono quelle che probabilmente vigeranno nei prossimi anni.

«Quando i ragazzi escono dalla scuola hanno una discreta infarinatura, ma gli manca la vera esperienza concreta, gli orari, il confronto con la realtà vera e propria della professione. Molti alla fine cambiano mestiere perché oggi i giovani hanno aspettative diverse da quelli di 30 anni fa. Oggi ci tengono molto ad una qualità della vita molto più alta, vogliono un weekend sì e uno no di festa, non vogliono lavorare fino a tardi, non vogliono lavorare più di 8 ore e hanno anche ragione: tra recuperi e straordinari sono pagati poco. Le responsabilità si ricercano anche tra noi imprenditori però, dobbiamo essere consapevoli dei problemi e delle necessità delle nuove generazioni, il futuro del resto è nelle loro mani».

Bisogna concretizzare il concetto di squadra

Insomma, una panoramica che fa capire una volta di più quanto occorrerebbe un coordinamento tra tutte le parti coinvolte, che necessiterebbe di una rete di comunicazioni fitta, ma che ahinoi ancora troppo spesso manca soprattutto nel mondo della ristorazione. Che non è l’unico perché quel nobile concetto di “squadra” resta solo una parola abusata in molti ambienti, di tutti i settori, ma resta nell’etere senza scendere davvero nel rapporto tra colleghi o tra colleghi e capi.

D'Amico: Il segreto è nell'alternanza scuola-lavoro

Un profilo che ha uno sguardo diretto ancor più complessivo di D’Andrea (solo per motivi di esperienze, non certo per fare classifiche) è Bartolo D’Amico, direttore del Grand Hotel Masseria S.Lucia di Ostuni che fino all’1 settembre è stato anche docente negli istituti alberghieri. «Rispondo al tema di fondo raccontando l’esperienza del mio hotel quest’anno - spiega - perché la ritengo esplicativa. Quest'anno ho avuto 5 stagisti dell'alberghiero di Brindisi, già abbastanza bravi perché tramite colleghi sono riuscito a selezionare i migliori; erano bravi e noi li abbiamo formati in quello in cui mancavano in un modo tale per cui l’anno prossimo li assumeremo: erano in gamba, erano preparati, avevano voglia, e grazie a stage e tirocini avevano ormai anche già una certa esperienza. Cosa voglio dire con questo: che il segreto perché tutto funzioni al meglio è che ci sia una rete tra scuola-locali-studenti e che nel percorso di studi l’alternanza scuola-lavoro sia fatta in modo serio da parte di tutti».

Nessun commento:

Posta un commento