Dal pranzo all’ospedale: il caso di Cagliari
e i pericoli del pesce
mal conservato
(e crudo)
L’episodio, che ha portato al pronto soccorso 13 persone intossicate, ha riacceso i riflettori sulla sicurezza alimentare, tra catena del freddo interrotta, batteri e parassiti che proliferano nel pesce e nella carne. Dalla sindrome sgombroide alle norme per l’abbattimento, ecco cosa succede quando la conservazione non è impeccabile e come proteggersi a tavola
Un pranzo di lavoro in un bar-ristorante del centro di Cagliari si è trasformato in un caso di intossicazione alimentare che ha coinvolto 13 persone, tutte adulte e probabilmente dipendenti di uffici della zona. Al momento, le indagini ipotizzano che la causa possa essere legata a una pietanza a base di tonno, forse crudo, consumata durante la pausa pranzo. Non c’è ancora una conferma ufficiale, ma la dinamica e i sintomi (da sindrome sgombroide) fanno pensare a un problema legato alla conservazione del pesce.
Nel giro di poche ore, in momenti diversi, i clienti hanno iniziato ad accusare nausea, dolori addominali e, in alcuni casi, reazioni cutanee simili a un’allergia. Dieci persone sono state trasportate dal 118 all’ospedale Brotzu, mentre tre hanno raggiunto il SS. Trinità, dove due di loro sono già stati dimessi. Le condizioni degli altri pazienti non destano particolare preoccupazione, ma l’episodio ha riacceso un'altra volta (dopo i decessi legati alle intossicazioni da botulino) l’attenzione su un tema molto delicato per bar e ristoranti: la sicurezza alimentare e il rispetto rigoroso delle regole di conservazione e manipolazione degli alimenti (soprattutto, come in questo caso, di pesce e, più in generale, di alimenti crudi o poco cotti).
L’intervento dei Nas e la filiera sotto indagine
I carabinieri del Nas, intervenuti nel locale, hanno immediatamente disposto la sospensione dell’attività di somministrazione in attesa degli esiti delle analisi. Durante il sopralluogo, eseguito insieme al personale della Asl, è stata individuata un’area di stoccaggio alimenti non dichiarata alle autorità competenti e sono state sequestrate quattro porzioni di polpo destinate agli esami di laboratorio.
Gli accertamenti hanno poi permesso di risalire alla filiera di distribuzione del pesce, portando al sequestro di 36 chili di prodotti ittici in un centro di approvvigionamento situato nella zona industriale di Macchiareddu, nel Cagliaritano. Secondo le prime informazioni, il materiale sospetto proveniva proprio da lì, ma le indagini proseguono per chiarire l’intera catena, dalla fornitura fino alla somministrazione.
Sindrome sgombroide: cosa è e come si manifesta
Come detto in apertura, tutti i sintomi osservati nei pazienti sono compatibili con la cosiddetta sindrome sgombroide, un’intossicazione alimentare legata alla presenza di istamina in concentrazioni elevate nel pesce. L’istamina è una molecola naturale, prodotta dal nostro organismo e coinvolta in diversi processi fisiologici, tra cui la regolazione della secrezione gastrica, la dilatazione dei vasi sanguigni e le reazioni immunitarie. In condizioni normali, infatti, è la stessa sostanza che il corpo rilascia quando entra in contatto con un allergene, motivo per cui i sintomi di un’intossicazione da istamina possono sembrare identici a quelli di una reazione allergica vera e propria: rossore, prurito, gonfiori e disturbi gastrointestinali.
Nel caso della sindrome sgombroide, però, non c’è nessuna allergia. Qui l’istamina non è prodotta dal corpo, ma si forma nel pesce stesso quando la catena del freddo viene interrotta o il prodotto rimane a temperature troppo alte. Alcune specie, come tonno, sgombro, alici e sardine, sono particolarmente ricche di un amminoacido chiamato istidina: se il pesce non viene conservato correttamente, i batteri presenti sulle sue superfici degradano l’istidina e la trasformano in istamina. Il problema è che la tossina così formata non altera necessariamente l’aspetto, l’odore o il sapore del pesce: anche un trancio che sembra fresco e profumato può in realtà contenere quantità pericolose di istamina.
Quando la concentrazione supera la capacità del nostro organismo di metabolizzarla, compaiono i sintomi tipici della sindrome sgombroide, che possono manifestarsi entro pochi minuti o al massimo due ore dal pasto. Si va dal rossore al volto alla sensazione di calore, dall’orticaria al mal di testa, fino a nausea, vomito e dolori addominali. Nei casi più seri si possono avere cali di pressione e difficoltà respiratorie, ma la prognosi è quasi sempre favorevole: la terapia si basa su antistaminici, e nei casi necessari su cortisonici o adrenalina, con una risoluzione dei sintomi nel giro di poche ore.
Perché il pesce crudo è più rischioso
Detto questo, l’episodio di Cagliari riporta inevitabilmente l’attenzione sui rischi legati al consumo di pesce crudo o poco cotto. La cottura, infatti, è una barriera importante contro molti agenti patogeni: temperature superiori ai 60-70°C inattivano la maggior parte dei batteri e dei parassiti, mentre il pesce crudo, se non trattato correttamente, arriva nel piatto esattamente com’è stato pescato o stoccato.
Oltre all’istamina, una conservazione inadeguata può favorire la proliferazione di batteri come Listeria monocytogenes, Vibrio o Salmonella, che possono provocare infezioni gastrointestinali anche gravi. Nei pesci crudi c’è poi il rischio parassitario, come nel caso dell’Anisakis, un nematode in grado di sopravvivere nell’apparato digerente umano e causare reazioni allergiche o infezioni intestinali.
Per questo la normativa europea (Regolamento CE 853/2004) impone che il pesce destinato al consumo crudo venga sottoposto a un trattamento di abbattimento a -20°C per almeno 24 ore, in modo da eliminare i parassiti vivi. Tuttavia, l’abbattimento non ha alcun effetto sull’istamina, che non viene distrutta né dalla cottura né dal congelamento: l’unico modo per prevenirne la formazione è una corretta gestione della catena del freddo fin dal momento della pesca.
Tartare e carpacci: attenzione ai tempi di preparazione e consumo
E quindi, come potrebbe essere avvenuto a Cagliari, particolare cautela va riservata alle preparazioni come tartare e carpacci di pesce, che dovrebbero essere realizzate con materia prima fresca, lavorata in ambienti puliti e consumata subito dopo la preparazione. Lasciare un piatto crudo a temperatura ambiente o in frigorifero (o anche sul bancone) per diverse ore aumenta esponenzialmente il rischio di contaminazione batterica. Il discorso, ricordiamo, non riguarda solo il pesce, ma anche la carne cruda.
Piatti come la tartare di manzo o il carpaccio, se ottenuti da carne conservata male o manipolata senza rispettare le norme igieniche, possono veicolare microrganismi pericolosi come Escherichia coli o Salmonella. In entrambi i casi, il rispetto della catena del freddo e delle temperature di conservazione è fondamentale, così come la rapidità tra preparazione e consumo.
I consigli degli esperti per consumare
in sicurezza pesce e carne crudi
Gli episodi di intossicazione alimentare, come quello di Cagliari, dimostrano quanto sia importante adottare comportamenti corretti in tutte le fasi della filiera, dalla produzione al consumo. Gli esperti raccomandano alcune regole semplici ma essenziali:
- Scegliere locali affidabili: preferire ristoranti e punti vendita che dichiarano chiaramente la provenienza del pesce e l’uso di procedure di abbattimento per i prodotti crudi.
- Controllare la catena del freddo: il pesce deve essere conservato a 0-4°C, mentre il congelamento domestico non sempre garantisce la stessa sicurezza degli abbattitori professionali.
- Consumare subito i piatti crudi: tartare e carpacci andrebbero preparati e mangiati nell’arco di breve tempo, evitando di conservarli a lungo in frigorifero.
- Evitare il fai da te con il pesce crudo: a meno che non si disponga delle attrezzature adeguate per l’abbattimento, è meglio consumare questi piatti solo in strutture certificate.
- Per la carne cruda, le stesse regole: freschezza, igiene e consumo immediato sono imprescindibili anche per tartare e carpacci di manzo o altre carni.
Infine, le autorità sanitarie ricordano che la sicurezza alimentare è un processo condiviso: produttori, distributori, ristoratori e consumatori devono tutti rispettare le regole per ridurre al minimo i rischi. Perché, come ha dimostrato questo caso in Sardegna, basta un anello debole nella catena per trasformare un pasto in una corsa al pronto soccorso.
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