Come previsto, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno confermato il regime di dazi al 15% sul vino italiano. Si tratta di una misura destinata a colpire in modo significativo uno dei settori più esposti dell’export nazionale, con un’incidenza del 24% sul totale delle esportazioni globali e un controvalore annuo di circa 2 miliardi di euro. «Sarà un secondo semestre molto difficile», ha dichiarato il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, «pur nella speranza che nei ‘tempi supplementari’ le parti possano correggere il tiro».
Dazi Usa, l'impatto economico stimato
Secondo Frescobaldi, è ora più che mai fondamentale creare «un’alleanza tra la filiera italiana del vino e i partner statunitensi - distributori, importatori e ristoratori - che per primi si oppongono ai dazi nell’interesse comune delle imprese italiane e statunitensi». Il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti, ha aggiunto: «Il tempo delle deroghe, ma anche dell’incertezza, è terminato. Ora va affrontata la sfida nella consapevolezza che servirà un sostegno da parte dello Stato in termini di promozione del prodotto enologico italiano».
Secondo l’Osservatorio Uiv, il danno stimato per le imprese italiane nei prossimi 12 mesi è di circa 317 milioni di euro, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno raggiungerà quasi 1,7 miliardi di dollari. Qualora il dollaro mantenesse il livello attuale di svalutazione, il danno salirebbe a 460 milioni di euro. Ben il 76% delle 482 milioni di bottiglie spedite negli Usa nel 2024 si trova in «zona rossa», con un’esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%.
Dazi Usa, le denominazioni più colpite
I settori più vulnerabili includono:
- Moscato d’Asti: 60% dell’export verso gli Stati Uniti
- Pinot Grigio: 48%
- Chianti Classico: 46%
- Rossi toscani Dop: 35%
- Rossi piemontesi e Brunello di Montalcino: 31%
- Prosecco: 27%
- Lambrusco e Montepulciano d’Abruzzo: esposizione significativa
L’Uiv ribadisce la necessità di sviluppare azioni comuni di promozione, rafforzare i rapporti con distributori e ristoratori statunitensi e comunicare l’eccellenza italiana per contenere gli effetti dei dazi. «Solo con strategie coordinate e un approccio condiviso potremo salvaguardare quote di mercato e continuare a valorizzare i nostri vini all’estero», conclude Frescobaldi.
Dazi Usa, vino tra esenzioni e nuovi percorsi
Paolo De Castro, presidente di Nomisma riguardo all’accordo finale UE-USA sui dazi ha espresso la speranza che per il comparto vino si faccia un passo indeitro: «La notizia meno positiva riguarda il vino e i prodotti alcolici, per i quali ci si aspettava un'esclusione che però non è arrivata. In ogni caso non è detta ancora l’ultima parola e questo accordo non chiude completamente le porte ad eventuali liste di prodotti sui quali eventualmente dover fare delle eccezioni. Come anche sottolineato dalla presidente della BCE Lagarde, concordiamo che le aspettative di crescita dell’Europa complessivamente nel 2025 saranno minate dall'effetto dei dazi americani». «Il vino deve tornare a beneficiare di un dazio zero. Lavoreremo con Governo e Parlamento europeo per proteggere il comparto», gli fa eco il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. «Speriamo - ha detto Nuccio Caffo, presidente del Consorzio Nazionale Grappa, a Vinonews24 -che così ci sia chiarezza e che sia duratura in maniera tale da avere dai tre a i cinque anni per poterci organizzare per affrontare i mercati al meglio, in maniera tale da poter programmare meglio la distribuzione dei nostri prodotti sul mercato americano con un’adeguata costruzione del prezzo che tenga i considerazione anche i dazi».
Tuttavia, probabilmente è ora di immaginare un approccio diverso. Un esempio arriva dal mondo degli spirits, con la strategia adottata dalla Scotch Whisky Association: di fronte alle incertezze con gli Stati Uniti, i produttori scozzesi hanno scelto di guardare altrove, puntando sull’Asia e costruendo una solida partnership con l’India. Una mossa che ha portato a un accordo di grande valore economico. Forse anche il sistema-vino europeo potrebbe trarre spunto da questo modello, evitando di concentrare ogni sforzo esclusivamente sul mercato americano. Investire risorse, energie e creatività su nuove traiettorie commerciali potrebbe aprire prospettive più ampie e durature. Uno scenario che certamente non può concretizzarsi da un momento all'altro, ma inserire una diversificazione strategica dell'export nell'agenda del vino italiano appare sempre meno rinviabile.
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