Con l'arrivo della stagione estiva, si moltiplicano i casi in cui attività artigianali del settore alimentare - come pizzerie al taglio, gastronomie, rivendite di kebab e simili - installano tavolini all'interno o all'esterno dei propri locali, consentendo ai clienti di consumare immediatamente quanto acquistato. Pur non offrendo un servizio assistito al tavolo, questa prassi viene interpretata da molti pubblici esercizi come una forma di somministrazione indiretta, con il rischio di alterare gli equilibri normativi e commerciali. Le imprese della ristorazione strutturata, che svolgono attività di somministrazione vera e propria con personale dedicato, sono infatti soggette a specifici obblighi in materia di autorizzazioni, sicurezza, igiene e accessibilità. L'estensione del consumo sul posto a esercizi non soggetti a tali vincoli è dunque oggetto di crescente attenzione.
Veneto, cosa dice la legge e l'ipotesi di liberalizzazione
La normativa oggi in vigore consente alle imprese artigiane del settore alimentare di vendere prodotti di propria produzione e di consentirne il consumo immediato all'interno dell'azienda. Tale possibilità è subordinata a condizioni ben precise, tra cui l'impiego esclusivo dei locali e degli arredi dell'impresa, l'assenza di servizio assistito al tavolo e il rispetto delle norme igienico-sanitarie. Il consumo sul posto, pertanto, è ammesso solo in forma di autoconsumo, attraverso appoggi come mensole o piani alti, ma senza configurare un'area ristorativa strutturata. Questa distinzione resta al centro dell'attuale confronto normativo.
Presso la Terza commissione consiliare del Consiglio regionale del Veneto è attualmente in discussione un progetto di legge che prevede la modifica della legge regionale n. 29 del 2007, la quale disciplina l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande. La proposta normativa mira a introdurre una maggiore flessibilità, consentendo agli artigiani alimentari la possibilità di predisporre spazi per la degustazione interna o esterna, senza che ciò configuri automaticamente un'attività di somministrazione. Una prospettiva che solleva forti perplessità da parte delle associazioni di categoria, in particolare Fipe Veneto e Confcommercio regionale, che leggono nel provvedimento un tentativo di liberalizzazione mascherata.
Fipe e Confcommercio: no a concorrenza sleale
Paolo Artelio, presidente di Fipe Veneto e della sezione provinciale di Verona, esprime con chiarezza il dissenso della federazione: «Non è accettabile che ristoranti, pizzerie, bar e trattorie siano soggetti a limiti e divieti, mentre altre attività possano offrire consumo sul posto senza sottostare agli stessi vincoli». Secondo Artelio, un'eventuale approvazione della proposta comporterebbe una distorsione del mercato, in violazione del principio di equità tra operatori economici che operano nello stesso ambito. Il rischio evidenziato è quello di una concorrenza sleale, che penalizzerebbe le imprese dotate di strutture, personale e obblighi formativi e autorizzativi.
Anche Confcommercio Veneto manifesta contrarietà all'ipotesi di modifica legislativa. Patrizio Bertin, presidente regionale della Confederazione, ricorda che le attività di somministrazione devono rispettare norme stringenti sotto il profilo urbanistico, edilizio, igienico-sanitario, della sicurezza e dell'accessibilità. «Noi veniamo giustamente monitorati al 100%, ma ci chiediamo: gli altri?», osserva Bertin. «La somministrazione non assistita deve rimanere nei limiti previsti, ovvero senza servizio al tavolo e con un consumo occasionale e non strutturato». Bertin mette inoltre in guardia contro il rischio di trasformare laboratori artigianali in ristoranti non dichiarati, senza i dovuti controlli.
Il precedente degli agriturismi e i rischi di liberalizzazione
Il timore, per Confcommercio, è che il percorso già intrapreso in passato da altre categorie - come gli agriturismi, la cui attività si è nel tempo ampliata oltre quanto inizialmente previsto - possa ripetersi in questo ambito. Una nuova liberalizzazione potrebbe alterare gli equilibri del settore, facilitando l'ingresso nel mercato di operatori non soggetti agli stessi vincoli normativi. «Si continua a liberalizzare l'accesso al mercato senza garantire condizioni paritarie per tutti», conclude Bertin.
Il dibattito in corso in Regione Veneto evidenzia l'urgenza di una revisione puntuale della normativa, capace di chiarire i confini tra le diverse forme di offerta alimentare. Una distinzione che ha ricadute non solo di tipo economico, ma anche in termini di sicurezza, qualità del servizio e tutela del consumatore. Sebbene la legge regionale 29/2007 rappresenti tuttora un riferimento per il settore, l'evoluzione delle abitudini di consumo e delle modalità di fruizione degli spazi pubblici richiede un aggiornamento normativo che tenga conto delle nuove esigenze, pur nel rispetto della concorrenza leale. Iat
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