domenica 12 giugno 2016

QUANDO IL VINO VIENE FATTO CON LE STELLE (1)

QUANDO IL VINO
VIENE FATTO CON LE STELLE


(PRIMA PARTE)

Pubblichiamo di seguito la prima parte di un interessante contributo del professor Attilio
Scienza

atto a meglio comprendere il motivo del successo del biologico e del biodinamico
a discapito della scienza e della tecnica, anche nel mondo del vino. La seconda parte
verrà pubblicata nei prossimi giorni su questo blog.



Se chiedessimo a un viticoltore come giudica il ruolo della tradizione nella
produzione del vino quasi certamente risponderebbe che la tradizione è alla base
della qualità di un vino. Avrebbe invece più difficoltà nel definire cosa è la
tradizione, distinguendo tra tradizione e tradizionalismo e forse anche nello
spiegare come conciliare tradizione e innovazione, senza che l’una prevalga
sull’altra. Alla domanda se la viticoltura biodinamica rappresenta la tradizione della viticoltura europea e se questa può rappresentare una valida alternativa alla viticoltura convenzionale, la sua risposta sarebbe certamente negativa, un po’
perché forse non ne conosce i veri contenuti ma soprattutto perché non vuole rinunciare alle conquiste della ricerca che in questi ultimi 50 anni gli hanno  consentito di ottenere uve e vini di qualità.
VINO BIOLOGICO
E VINO CONVENZIONALE
FACCIAMO CHIAREZZA

Ogni approfondimento sulla viticoltura integrata, la modalità di gran lunga più adottata
nel mondo, deve quindi partire dal ruolo che la tradizione ha anche oggi nelle scelte
quotidiane di un viticoltore e come queste debbano essere “interpretate” alla luce dei
progressi della ricerca scientifica. La contrapposizione che in questi anni la comunicazione
ha alimentato tra vino biologico e vino convenzionale rientra nel bipolarismo del naturale
contro l’artificiale, soprattutto nell’uso della chimica. Si è creato così un immaginario
comune, dal quale ora è difficile uscirne, che ha prodotto sui consumatori degli effetti
paradossali. Infatti anche i consumatori che credono che il vino non contenga residui,
rivendicano una produzione sempre più rigorosa e controllata, mentre quelli che sono
fortemente influenzati dalle suggestioni del biologico, sono disposti a pagare di più un vino
biologico o biodinamico, a condizione però che sia eccellente sul piano sensoriale, cosa
non sempre raggiungibile.
Negli anni ‘60 ‘70 un gruppo di agricoltori, viticoltori, frutticoltori, orticoltori appartenenti a
Paesi diversi, affrontarono la loro pratica quotidiana, con un’idea comune di coltivare le
loro piante senza concimi di sintesi, né erbicidi, né insetticidi con l’obiettivo di offrire al
consumatore prodotti di qualità senza residui, senza il supporto della ricerca, a prezzo di
grandi rischi, con la convinzione che era possibile una nuova agricoltura.
La spinta operata a suo tempo dalla contestazione giovanile aveva sortito due grandi
effetti: uno di carattere più generale per essere riuscita a creare una coscienza
ambientalista nell’opinione pubblica e uno più specifico per il settore viticolo, con
l’introduzione dei principi della lotta cosiddetta integrata. Da un’indicazione generica di
tutela dell’ambiente si era quindi passati alla cosiddetta viticoltura sostenibile che è oggi
alla base della nuova normativa comunitaria che regolerà nei prossimi anni l’utilizzo dei
fitofarmaci in agricoltura.

RUDOLF STEINER
E IL BIODINAMICO


Solo negli anni ‘80 appaiono le prime citazioni di organismi ufficiali e quindi il riconoscimento di una agricoltura biologica o organica come è chiamata nei paesi anglosassoni. È però necessario fare una distinzione tra l’agricoltura biologica e biodinamica, nei confronti di una agricoltura detta convenzionale o ragionata. L’agricoltura biodinamica adotta le stesse limitazioni di quella biologica, alle quali si aggiungono alcuni
principi esoterici delle influenze astrali e della medicina omeopatica. Il fondatore
dell’agricoltura biodinamica e della sua dottrina, l’antroposofia, è Rudolf Steiner,
esoterista e pedagogista, custode del museo di Goethe a Dornach. La formulazione di
queste teorie avvenne in occasione di alcune conferenze che Steiner fece nel 1924 ad un
gruppo di allevatori di bestiame della Slesia, nel corso delle quali vennero poste le basi
della biodinamica partendo dal principio che se l’agronomia è la scienza che studia
l’applicazione di norme e principi razionali all’agricoltura, la biodinamica è un complesso
filosofico che vede l’universo come unico essere vivente nel quale gli animali, esseri umani
compresi, le piante e anche i minerali sono solo dei componenti. L’obiettivo era quello di
produrre prodotti destinati all’alimentazione, rispettosi dell’ecosistema terrestre attraverso
l’impiego di preparati biodinamici, l’osservanza dei calendari lunari e planetari, ecc.

UNA VERA E
PROPRIA COSMOGONIA


Per comprendere appieno il significato del pensiero di Steiner è necessario, da un lato
calarsi nel momento storico nel quale questo eclettico scrittore è vissuto e dall’altro
analizzare le opere che ha scritto (circa 400) di argomento occultistico, delle quali
emblematica è “La scienza occulta nelle sue linee generali” del 1925.
In quegli anni la Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra e fortemente penalizzata
dalla pace di Versailles, vive nella fine dell’idealismo un momento tragico della sua storia,
incapace di accettare le nascenti illusioni del materialismo socialista. In questo contesto le
indicazioni di Steiner hanno un ruolo epistemico: non erano solo uno strumento per
migliorare le conoscenze dei contadini della Slesia ma un modello concettuale capace di
interpretare un sistema naturale complesso nel tentativo di conciliare idealismo e
materialismo. 

In quegli anni di grande sviluppo della chimica e delle sue prime applicazioni
in campo agricolo, soprattutto in Germania, Steiner si schierò dalla parte degli umisti a
difesa del mantenimento della sostanza organica del suolo contro le proposte dei
cosiddetti mineralisti, sostenuti dal Liebig, ma ben più contraddittoria fu la sua posizione
nei confronti delle idee rivoluzionarie di Darwin, alle quali va ricondotta la sua concezione
vagamente antisemita, mentre più convinta fu l’adesione alle teorie di Lysenko, genetista
russo, neolamarckista, al quale va attribuito il fallimento dell’agricoltura sovietica ai tempi
di Stalin.

NEL PARTICOLARE
C’È L’UNIVERSALE


Infatti per Steiner la causa delle malattie che colpiscono le piante non sono da ricercarsi
negli organismi patogeni, ma nelle condizioni generali dell’ambiente circostante. 

Quindi, modificando questo attraverso l’uso di dosi omeopatiche di cornoletame e dei cosiddetti
“preparati” dinamizzati, si pone la pianta in condizioni di reagire alle malattie crittogamiche
evocando una resistenza indotta, non legata alle caratteristiche genetiche dell’individuo,
per effetto di particolari sollecitazioni esterne. 

Mentre Steiner non cita mai la vite e la sua coltivazione nei suoi scritti, un gruppo di suoi discepoli si è preoccupato di trasferire i principi generali della biodinamica alla viticoltura.
L’antroposofia di Steiner ha le radici nella concezione rivoluzionaria che Johann Wolfgang Goethe (nella foto) ha dei simboli e della loro metamorfosi, per cui natura, scienza e arte sono guidate dalla stessa
forza simbolica in virtù della quale “il particolare ci porta sempre all’universale”.

L’USO DI
CORNO-LETAME
E CORNO-SILICE


È il dottor Pfeiffer, discepolo di Steiner, a mettere a punto il metodo biodinamico e fonda al
Goetheanum, il laboratorio biochimico. Il cornoletame è assieme al cornosilice, è uno dei
più noti preparati biodinamici. Si prepara riempiendo di letame un corno di vacca,
interrandolo a 120 cm di profondità tra i due equinozi, quello di autunno e di primavera.
L’uso del corno è giustificato dal fatto che esso rappresenta l’antenna che riceve le forze
cosmiche. I preparati ottenuti dai corni sono diluiti in acqua (1 g/15 l di acqua) e quindi
dinamizzati per trasferire nei preparati l’energia del cosmo. Ci sono poi i preparati (500,
501…508) per i compost di origine vegetale che vengono messi in intestini di cervo o di
vacca affinché possano raccogliere gli influssi cosmici.

Il rituale della preparazione del corno-letame rientra nel significato che i segni hanno nel colmare la distanza tra il mondo e l’individuo, la cui accettazione in passato era chiamata divinazione. I segni vengono dall’esterno ma ricevono significato dalla psiche vivente che li
accoglie per una situazione particolare, ricreando così un kosmos (universo dei segni)  significativo. Così l’uso della vescica di cervo adulto appartiene a quella categoria di segni che nel passato erano legati agli animali, uccelli in particolare (ornitomanzia) e al loro sacrificio (l’analisi delle viscere, l’epatoscopia). 

Questo ricorso ai simboli non è folclore per il seguace dell’antroposofia steineriana, ma ha un preciso significato trasgressivo, in opposizione al linguaggio codificato della scienza. 
Trasgredire la scienza vuol dire nel senso letterario “procedere oltre” i suoi segni codificati e sostituire questi segni con i simboli. La dinamizzazione dei preparati biodinamici è invece ascrivibile al rito che per definizione è un insieme di atti formalizzati, espressivi, portatori di una dimensione
simbolica. In virtù della sua dimensione simbolica, il rito crea un collegamento con il
pensiero magico, alle forze inconsce che determinano le azioni di un individuo.

PERCHÉ SI SCEGLIE
IL BIODINAMICO OGGI


Viene allora spontaneo chiedersi perché un viticoltore decide di introdurre nella sua
azienda, i metodi di produzione ispirati alla biodinamica? Una risposta forse risiede nei
comportamenti del consumatore. Il diffuso sentimento di incertezza che accompagna la
nostra vita quotidiana ha accentuato l’avvicinamento dei consumatori a quei prodotti che
vengono considerati più credibili, per la loro provenienza dall’area della cosiddetta “green
economy” e che sono in grado di dimostrarlo con trasparenti iniziative di informazione e
convincenti politiche di comunicazione, ricche di esempi e di risultati raggiunti. Il
consumatore è sempre più lontano non solo fisicamente dai luoghi dove si producono gli
alimenti e manifesta un comportamento fidelistico in alcuni “segni” che il produttore
biodinamico adotta, che hanno solo un significato simbolico e non sono giustificabili dai
riscontri del metodo scientifico.
Un altro elemento che gioca a favore della biodinamica è rappresentato dal ruolo che
viene attribuito alla scienza nella nostra vita. Il fatto che generalmente la scienza venga
considerata in modo negativo, rende assai difficile spiegarne il valore.
Un aspetto nuovo della critica sociale posta dai movimenti ecologisti, nei confronti dell’uso
inadeguato della scienza, è rappresentato dalle forme di scientifizzazione della protesta
stessa. In particolare si è tentato di operare sulla sua delegittimazione a risolvere i
problemi della società, mettendo in discussione la validità dei dogmi della scienza. Questa
strategia non è stata adottata dagli assertori della biodinamica i quali hanno preferito
affrontare il confronto con il razionale evocando le forze dell’occulto.

 Come dice Piero Angela: “Se un tempo erano medium e astrologi a tenere banco, oggi la pseudoscienza è più subdola, pretende di curare”. 

Non estranei sono i mezzi di comunicazione che spesso
disinformano più che informare, alla ricerca della notizia clamorosa che omologa le piante transgeniche al rischio alimentare, al monopolio delle multinazionali nella ricerca, alla
perdita di biodiversità. La percezione del rischio che avvertono alcune categorie di consumatori nei prodotti alimentari industriali, è spesso il risultato di una particolare sintesi
di conoscenza e di inconsapevolezza (o conoscenza potenziale) sui pericoli insiti nella ingegneria genetica, o dagli effetti del buco dell’ozono o nel cambiamento climatico o per l’allarme cibo. Il rischio alimentare contribuisce alla creazione di nuove identità sociali. I
consumatori attivano un meccanismo che gli antropologi hanno battezzato “pensiero
magico”, che si fonda sull’accettazione di qualità simboliche di tutto ciò che entra a
contatto con il cibo. Produttori, tecniche di produzione, luoghi di produzione, interpretazioni
ideologiche sono trasmesse per “contaminazione simbolica” agli alimenti stessi.
La qualità intrinseca, quella che viene valutata oggettivamente attraverso i parametri
chimico-fisici e microbiologici, così come quella sensoriale, passano in secondo piano,
perché il valore di quel cibo o di quel vino è rappresentato solo dai contenuti simbolici che
ne hanno ispirato la produzione. Il rischio è così esorcizzato da una rassicurazione
ideologica, ma spesso la mancanza di controlli lungo il processo e di una trafila di
produzione non tracciabile, rende questi prodotti meno sicuri per la salute di quelli che
provengono dall’agricoltura convenzionale. Bere questi vini è talvolta un’esperienza
traumatica, per le fermentazioni anomale o difficoltose, senza dimenticare i contenuti
elevati di amine biogene per le malolattiche incomplete, dovute spesso a una insufficiente
alimentazione azotata per i lieviti e batteri.


Attilio Scienza
(DA L'ENOLOGO di maggio) 




(1 continua)

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