martedì 13 settembre 2016

I VINO DEL FUTURO PROSSIMO VENTURO


I vini del futuro 
prossimo venturo


Creati i metadescrittori per verificare statisticamente
se un vino ha le caratteristiche per avere successo sui mercati in un futuro che è già cominciato.

Continuiamo a chiederci se un vino è buono o meno buono, ma in realtà il vino non è né questo, né quello. Il vino è vino, un condominio fatto di acqua in cui coabitano oltre mille molecole diverse in grado di generare percezioni, sensazioni ed evocazioni che producono negli umani un piacere più o meno elevato.
Ma in quali umani? 
Negli approssimati americani che per sentire che è vino devono trovarci il legno o nei raffinati giapponesi che ne colgono le sfumature più recondite? 
Nei giovani che si avviano a diventare enofili o negli assaggiatori di lungo corso che vanno a ricercare la rarità, l’emozione nuova o la reminiscenza dei bei tempi andati?
Lo stesso vino assume un’espressione diversa a seconda di chi lo assaggia. Troppe volte tecnici e produttori hanno dimenticato questo facendo registrare dalla storia insuccessi più o meno clamorosi nella ricerca del vino perfetto. In tempi più vicini a noi ci siamo quindi rivolti alle mode, indice di sintesi statistico che coglie la maggiore frequenza con la quale si manifesta una qualità. Ecco nascere i vini barricati nei paesi in cui la civiltà enologica si basava sulle anfore, la nota di burro per echeggiare un vitigno di successo e persino l’accettazione del poco elegante vegetale, accolto sull’onda di quanto scritto da recensori e cantori.
Negli ultimi tempi le cose stanno un po’ cambiando: nei salotti del bere bene è entrato il terroir. Oggi tecnici e produttori si riempiono la bocca con questo neologismo francofono giungendo con esso a giustificare persino errori nel vigneto e/o in cantina. Ma in realtà vince ancora l’ansia del “vino che va”, ed ecco Barolo contaminati dal legno piccolo e nuovo per i paesi neoconsumatori, lieviti selezionati usati massivamente per quel tocco di frutta tropicale, fermentazioni in riduzione esasperata per essere “a la page”. 

Dove sta il territorio? Il territorio c’è e si racconta, ma non si sente. Sarà ancora così quando gli scolarizzati del gusto saranno molti di più di quelli oggi e piglieranno in giro quanti ammiccano alla moda … che fu? Pensiamo di no. Ed ecco i vini del futuro.

I vini del futuro
La bellezza (o meglio, la bontà) non avrà più un solo volto. Forse non saremo ancora sull’onda di un vero riflesso del territorio, ma certamente consapevoli che dovremo dare emozioni autentiche e, soprattutto, diverse per accontentare un consumatore sempre più infedele e desideroso di fare nuove esperienze.
Tutto questo è affascinante, ma come si fa a sapere se il vino che stiamo producendo o che andremo a produrre potrà soddisfare il consumatore e quindi avere successo? Insomma, come si fa a sapere in quale misura è un vino del futuro? Se da una parte abbiamo rilevato le tendenze attraverso lo storico dei test dei consumatori, la letteratura corrente e le indagini svolte anche su altri prodotti food e non food, dall’altra parte abbiamo costruito una serie di algoritmi che, partendo dai test di analisi sensoriale ad alta utilità informatva, ci consentono di generare tre metadescrittori capaci di posizionare qualsiasi vino fermo su un piano cartesiano in funzione della sua rispondenza alla soddisfazione dei consumatori.
Questi i tre metadescrittori: personalità, profondità, potenzialità.


Personalità
Potremmo definirla come l’identità sensoriale vera e propria, ma non sarebbe sufficiente. Se da un canto sarà necessario produrre vini capaci di generare stimoli forti, quindi lontani dalla banalità, dall’altro sarà la coerenza generata dalla sinestesia a decretarne il valore. Tanto floreale sì, ma non associato al vegetale; tanto fruttato, ma non sotto la spinta di forti gradazioni alcoliche; una bella percezione sferica, ma senza la palestrata muscolosità del passato. Alla potenza verrà in qualche modo preferita l’eleganza. Ed ecco che le caratteristiche sensoriali non sono sufficienti, occorre la narrazione, vale a dire il riferimento dei singoli aspetti sensoriali a un territorio e a una fase della produzione fatta consapevolmente con l’idea di recuperare una tradizione o di rendere più evidente una vocazione. Come dire: in questo caso la razionalità amplifica il sentimento e plasma l’emozione. Solo così si raggiunge il secondo livello del piacere.


Profondità
Meglio conosciuta come ricchezza o complessità, a seconda delle scuole di assaggio, non è mai disgiunta dalla persistenza aromatica e in futuro sarà sempre più ambita. Il vino di successo non dovrà solamente essere ad ampio ventaglio aromatico annunciato da un aspetto coerente e sostenuto da caratteristiche tattili e gustative adeguate, ma dovrà essere cangiante nel bicchiere e in bocca. Ci spieghiamo meglio: i vini saranno sempre più da conversazione e a tavola dovranno presentare una forte evoluzione dei caratteri sensoriali, tanto da poter far nascere discussioni interessanti tra enofili o consentire all’esperto di turno di fare apprezzare il cambiamento in una successione di momenti scanditi dal sorseggio. Questo costituirà anche un tornaconto importante per l’assaggiatore solitario che ama gratificarsi con una bottiglia che lo emoziona.
Non solo, il vino dovrà esprimersi in una vera sinfonia olfattiva dal momento in cui si annusa a quella in cui lascia il cavo orale nel piacevole tepore che genera.


Potenzialità
Lo shopping del vino impegnerà sempre più gli enofili che faranno anche lunghi viaggi per acquistare bottiglie dopo aver conosciuto il territorio e i produttori. Il vino costituirà l’elemento di ancoraggio delle emozioni del viaggio, il ricordo materiale di un momento sereno. Quindi non dovrà avere una vita falenica, dovrà poter essere incantinato con le dovute cure per aprirlo per condividere con amici quanto vissuto e/o rivivere in prima persona un momento della propria vita anche di molti anni addietro. Quindi occorre allontanarsi dal concetto del vino che viene messo in bottiglia al culmine delle proprie potenzialità per poi solo invecchiare. Bisogna pensare a un vino buono che si beve subito, ancorché diverso, ma sempre buono – e forse più buono – quando evolve in bottiglia. Come succede a una bella persona, fantastica nell’impeto giovanile, e sempre più affascinate negli anni a venire, per lungo tempo.
Non dimentichiamo poi gli investimenti in vino. Non ci riferiamo ai prodotti finanziari, ma piuttosto a enotecari, ristoratori e persino amatori che comprano vino per avere un valore, come quello che acquisisce un mobile antico di buona fattura. Per le prime due categorie costituirà un business, per la terza il piacere di pensare di avere un tesoretto in cantina.
Oggi l’analisi sensoriale offre gli strumenti per predire l’evoluzione del vino.

Luigi Odello e Gian Paolo Braceschi

Ma il tuo è un vino del futuro?
Gli indici creati con i metadescrittori sono applicabili a tutti i vini fermi. Chi è interessato a conoscere quali possibilità di successo abbiano i suoi vini in funzione delle caratteristiche sensoriali o, più semplicemente, quale sia la loro presumibile evoluzione nel tempo può scrivere a info@assaggiatori.com.



I peccati del vino di oggi
Qualche vino difettoso in bottiglia si trova ancora, e allora si grida allo scandalo pensando all’esistenza di produttori improvvisati o alla scarsa efficacia delle comissioni di valutazione per la concessione delle indicazioni geografiche. Il male del vino di oggi non è dato dai difetti, ma da peccati che costituiscono un tradimento del piacere. Ne abbiamo individuati cinque:
  • troppo banale: sono tali i vini “piccoli” che sanno di poco, ma anche buoni vini che denunciano maquillage che li accomuna a molti altri, seppure derivanti da vitigni e territori differenti;
  • troppo grosso: alte gradazioni alcoliche (14/15% e oltre) e ricchezza in sostanze estrattive sono accettabili solo quando un vino ha queste caratteristiche nel suo Dna, non quando sono artefatte e quindi incoerenti. In genere ne deprimono l’eleganza e ne riducono la beverinità;
  • troppo ridotto: moltissimi vini, all’apertura della bottiglia, si presentano in forte stato di riduzione e quindi non esprimono che in minima parte il ventaglio aromatico intrinseco. Non parliamo dei grandi rossi, per i quali è naturale e quindi la mescita va eseguita con particolari accorgimenti, ma anche di moltissimi bianchi;
  • troppo legno: l’effetto “falegname” colpisce ancora un’aliquota importante della nostra produzione. Non è solo banalizzante, ma un forte depressore dei consumi;
  • troppo diverso: la pluralità è una ricchezza in qualsiasi popolazione e quindi il vino non fa eccezione, ma quando due prodotti con la stessa denominazione hanno caratteri troppo diversi generano destabilizzazione nel consumatore.

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