BRINDARE CON L'IPPOCRASSO
Il nome fùosofico non tragga in inganno. La bevanda era in auge in età medievale e di
quel nome - ma non del liquore - si è persa oggi quasi ogni
traccia.
L'ippocrasso è, in fondo, l'anello di congiunzione del lungo
itinerario compiuto dagli elisir
a base di vino e spezie, traghettando dall' età romana delle
ambrosie e del muslum mielato
al medioevo, precedendo di poco il vermouth oggi anch' esso
alla ricerca di rilancio.
L'ippocrasso - che deve probabilmente il proprio nome a
Ippocrate e quindi detto
anche "vino ippocratico" - era chiamato nel basso
medioevo con i nomi di piment o
claret. La tradizione, che si pone fra realtà e finzione,
vuole che sia stato infatti il medico
greco Ippocrate a lasciar macerare nel vino delle sue terre,
notoriamente a elevata gradazione e ricco di zuccheri, i fiori dell' artemisia e del
dittamo.
Diffusioni medievali
È però solo nel corso del Trecento che la nomenclatura si
fissa definitivamente. Così
come le prime ricette, caratterizzate da infinite varianti e
ingredienti. Vi appaiono nel
Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria in
diverse composizioni e preparati. Nel 1381 il cuoco di re Carlo VI di Francia,
Monsieur Guillaime Tirel, edita il
proprio manuale Le viander. Vi si rinviene una sorta di
nomenclatura di ingredienti e
istruzioni per la preparazione, nell'utilizzo di vino rosso
nel quale sono infusi chiodi di
garofano, cannella, cardamomo, miele, zenzero, zucchero di
canna e - tocco da scaltro
aromataro - la galanga, un'erba della stessa famiglia dello
zenzero.
Come spesso accade, la sua diffusione nel territorio europeo
assomma più ragioni.
Questione di gusti più morbidi e aperti alla sensibilità
femminile si intrecciano con la
necessità di dare corpo ai non sempre piacevoli vini del
Nord Europa, così come mascheramento di qualità stantie e scadenti dei vini rossi mal
conservati.
La sua popolarità cresce soprattutto fra i ceti di rango, in
grado di procurarsi le preziose
spezie. L'ìppocrasso troneggia sulle tavole di castelli e
corti, come rinomato aperitivo o
apprezzato digestivo.
Quel che è certo è che 1'ippocrasso fa la fortuna di molti
commercianti veneziani e spagno-
li, che con le spezie sanno trattare e guadagnare. È quindi
il mercato delle erbe e spezie a
sostenere la bevanda: facile quindi modificare a piacimento
la ricetta (e secondo forniture
in magazzino), aggiungendo e togliendo secondo disponibilità
il cardamomo, la mirra, la
cannella, il rabarbaro e altro ancora.
Nella letteratura dell'
Ottocento
L'ippocrasso sfida il tempo e permane a lungo nel corso dei
secoli fra i liquori casalinghi.
Ancora nel corso dell'Ottocento ricettari e trattati ne
riportano la diffusione e la sempre
diversa ricetta.
Nel proprio Trattato della coltivazione delle viti e del
frutto che se ne può cavare, del gentiluomo fiorentino Giovanvittorio Soderini, edito nell' anno
1806, l'ennesima preparazione non manca di precise indicazioni: "l'ippocrasso
fassi in questa maniera: porsi a macerare in quel vino che tu vuoi fare l'ippocrasso, il quale
dee esser vino maturo, dolce, rosso o bianco, e in quella quantità che tu ne vuoi fare, a
discrezione, zuccaro, cannella in canna un po' acciaccata, garofani in polvere poca quantità, o sodi
acciaccati chi lo vuoi più acuto; e alquanto di museo, chi lo brama, e lascatevelo stare per due
o tre dì, si strizza forte colle dita, con una pezza di lina, tutto quel vino con quella materia
che incorporato, dentro un altro vaso di vetro, lasciasi un po' riposare e schiarire".
Quel che presto si segnala è però, soprattutto, la modalità
dettata da galateo e bonton del
suo sempre più aristocratico consumo. A far da apripista
sono soprattutto la narrativa e la
letteratura del secondo Ottocento. Davvero, come si legge
nelle pagine del Dizionario delle origini di invenzioni e scoperte, stampato nell'anno
1830, "Yippocrasso è tanto vantato
da scrittori di romanzi".
Gentildonne e cavalieri, militari e borghesi lo offrono agli
ospiti, i romanzieri lo inse-
riscono fra le preziosità del passato e del presente.
Ernesto Menard, nel suo romanzo
storico Rolando il pirata, tradotto in Italia nel 1837, fa
dire ai suoi personaggi come
"Mostro Bastiano e confratelli pagavano a secchie
d'ippocrasso il racconto de' fatti e ge-
sta delle Crociate".
Ma la modernità avanza e nel Manuale completo del
disrillatore-liquorista, di Pietro Val-
secchi, edito nel l1882, nell'elenco dei preparati alcolici
l'ippocrasSo è posto fra il punch
e il vermouth.
DalI 'ippocrasso al vermuth
Già, il vermouth. L'ippocrasso ne è quindi l'antenato. Anche
in questo caso le ragioni
e le certezze si mescolano con l'empirismo indagatore. Vi è
chi sostiene che l'ippocras-
so, molto apprezzato. in Francia ancora nel Novecento, sia
stato bevanda di corte del Re
Sole, tanto che Luigi XIV pare abbia convocato a Parigi un
esperto liquorista piemon-
tese per produzioni di qualità. L'abitudine si diffonde
nell'esercito impegnato in continue
campagne militari, distribuito unitamente al tabacco per
sostenere gli animi dei com-
battenti. Ne approfittano anche le truppe tedesche e così
nello slang militare sco l'ippo-
crasso diviene immediatamente "vermuth", crasi
delle parole "wehr" -armata e "mut"
- coraggio ..
Oppure, ma siamo sempre in terra tedesca, è bastato agli
estimatori utilizzare il nome
dell'aggiunta, l'artemisia, che il tedesco è appunto
"vermut". Quel che è certo è che di
mezzo pare ci fosse ancora un piemontese, un certo Alessio,
che nella prima metà del
Settecento prende in mano la situazione. Lo si segnala
infatti presente nelle corti francesi
e tedesche a preparare l'ippocrasso, ormai detto semplicemente
"vermuth".
È la radice storica di un prodotto che proprio in Piemonte,
nel corso dell'Ottocento, tro-
verà sede per le sue produzioni industriali e che in Italia
verrà adottato soprattutto per i
"brindisi d'onore" durante inaugurazioni o presenze
di autorità.
Ma l'ippocrasso sopravvive. La sua ricetta odierna la
trovate su .... Wikipedia: si ottiene
"sciogliendo circa 200 grammi di miele in 3 litri di
vino e aggiungendo le spezie dett.e "roya-
les". Il preparato viene poi lasciato riposare e filtrato
prima di essere imbottigliato. L'ippo-
crasso si conserva perciò per molti anni". Assaggiare
per credere.
Marcello Zane
Nessun commento:
Posta un commento