Alcol vietato,
l'Islamismo
torna severo
Ma il rischio
è un secondo
proibizionismo
Il divieto di bere alcol è una delle principali differenze tra musulmani e cristiani; dopo un periodo di rilassamento ora la legge sta tornando severa, ma il rischio di finire come gli Stati Uniti anni ’20 è forte
A pochi giorni dalla fine del Ramadam, James Hansen che tiene la rubrica "Nota diplomatica" su lamescolanza.com, dedica una riflessione alle regole della fede islamica non così lontane dal Cristianesimo ma che mettono l'accento su un proibizionismo - che sta tornando di gran carriera - pericoloso visto quanto successo negli Stati Uniti dei gangster anni '20.
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È passato il Ramadan, il mese islamico in cui il digiuno dall’alba al tramonto dal mangiare, bere, fumare o fare sesso dovrebbe ricordare ai fedeli che il piacere è tentatore e che farne a meno è un dono ad Allah: «L'alito cattivo che promana dalla bocca di colui che sta digiunando è migliore davanti a Dio del profumo del muschio», da Detti e fatti del Profeta di al-Nawawî (1234 - 1278).
Un’altra proibizione islamica, più permanente, è quella contro l’alcool: «Col vino e il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal Ricordo di Allah e dall’orazione. Ve ne asterrete?» (Sacro Corano, Sura al-Ma’ida, 5:91). L’Ayatollah Seyyed Musavi Lari scrive: «La voce del Profeta non si era ancora spenta, che i musulmani incominciarono ad astenersi per sempre dal bere». Però, si sa com’è, qualche fedele si è poi lasciato tentare da un bicchierino, specialmente quando veniva in contatto con l’inquinamento morale Occidentale.
Parecchi Paesi islamici moderati avevano rilassato il divieto, anche perché si era notato come i turisti evitavano quei posti che obbligavano a bere la limonata con il pesce. Ora, con l’ondata di “purificazione” che sta travolgendo l’Islam - di cui l’Occidente vede principalmente l’aspetto terroristico - molti degli stessi governi tentano di dimostrare la propria ortodossia rimandando all’indietro le lancette riguardo al bere.
A fine aprile il Governatorato di Antalya, la grande stazione balneare turca, ha vietato il consumo di alcolici nei parchi, sulle spiagge e nei campeggi, nelle aree pic-nic, nei siti storici, nelle piazze e, in generale, “in pubblico”. Per fugare ogni dubbio il divieto si estende esplicitamente anche a “strutture abbandonate o in costruzione, ai cimiteri, alle cabine bancomat, alle trombe delle scale e sotto i ponti”.
A maggio, la Polizia Turistica egiziana ha improvvisamente obbligato la chiusura di tutti i locali notturni, bar e negozi di liquori del paese alla vigilia della Notte di Mid-Sha’ban (una festa che richiede il digiuno ai fedeli islamici). Gli alberghi per gli stranieri hanno chiuso i bar ma hanno fornito il servizio in camera - spronando la stampa egiziana a chiedersi da una parte perché il divieto si applicherebbe solo agli egiziani e dall’altra per quale logica riguarderebbe solo certe feste e non tutto l’anno.
Nel Kurdistan iracheno, dove la vendita di alcolici si sospende per il Ramadan, la vigilia quest’anno ha visto una massiccia corsa all’accaparramento. Al-Monitor ha intervistato un poliziotto mentre faceva la sua scorta (tre casse di birra e due bottiglie di arrak). Ha spiegato: «Compro ora perché è troppo una seccatura andare dai contrabbandieri durante il mese di digiuno». Un commerciante ha detto: «I negozi di liquori restavano aperti durante il Ramadan fino al 2009. Prima ci chiedevano solo di coprire la porta con un drappo». Attribuisce il cambiamento a “populisti e predicatori”.
Per ben oltre un millennio l’Islam è riuscito a tenere il tappo nella bottiglia, ma da mezzo secolo vino, birra e liquori scorrono e - visto lo scarso entusiasmo delle popolazioni investite dall’ondata retrograda - non è detto che si riesca a tornare indietro. Quando gli Usa ci hanno provato negli anni Venti del secolo scorso, hanno generato il più grande boom di gangsterismo che il mondo abbia mai visto.
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È passato il Ramadan, il mese islamico in cui il digiuno dall’alba al tramonto dal mangiare, bere, fumare o fare sesso dovrebbe ricordare ai fedeli che il piacere è tentatore e che farne a meno è un dono ad Allah: «L'alito cattivo che promana dalla bocca di colui che sta digiunando è migliore davanti a Dio del profumo del muschio», da Detti e fatti del Profeta di al-Nawawî (1234 - 1278).
Un’altra proibizione islamica, più permanente, è quella contro l’alcool: «Col vino e il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal Ricordo di Allah e dall’orazione. Ve ne asterrete?» (Sacro Corano, Sura al-Ma’ida, 5:91). L’Ayatollah Seyyed Musavi Lari scrive: «La voce del Profeta non si era ancora spenta, che i musulmani incominciarono ad astenersi per sempre dal bere». Però, si sa com’è, qualche fedele si è poi lasciato tentare da un bicchierino, specialmente quando veniva in contatto con l’inquinamento morale Occidentale.
Parecchi Paesi islamici moderati avevano rilassato il divieto, anche perché si era notato come i turisti evitavano quei posti che obbligavano a bere la limonata con il pesce. Ora, con l’ondata di “purificazione” che sta travolgendo l’Islam - di cui l’Occidente vede principalmente l’aspetto terroristico - molti degli stessi governi tentano di dimostrare la propria ortodossia rimandando all’indietro le lancette riguardo al bere.
A fine aprile il Governatorato di Antalya, la grande stazione balneare turca, ha vietato il consumo di alcolici nei parchi, sulle spiagge e nei campeggi, nelle aree pic-nic, nei siti storici, nelle piazze e, in generale, “in pubblico”. Per fugare ogni dubbio il divieto si estende esplicitamente anche a “strutture abbandonate o in costruzione, ai cimiteri, alle cabine bancomat, alle trombe delle scale e sotto i ponti”.
A maggio, la Polizia Turistica egiziana ha improvvisamente obbligato la chiusura di tutti i locali notturni, bar e negozi di liquori del paese alla vigilia della Notte di Mid-Sha’ban (una festa che richiede il digiuno ai fedeli islamici). Gli alberghi per gli stranieri hanno chiuso i bar ma hanno fornito il servizio in camera - spronando la stampa egiziana a chiedersi da una parte perché il divieto si applicherebbe solo agli egiziani e dall’altra per quale logica riguarderebbe solo certe feste e non tutto l’anno.
Nel Kurdistan iracheno, dove la vendita di alcolici si sospende per il Ramadan, la vigilia quest’anno ha visto una massiccia corsa all’accaparramento. Al-Monitor ha intervistato un poliziotto mentre faceva la sua scorta (tre casse di birra e due bottiglie di arrak). Ha spiegato: «Compro ora perché è troppo una seccatura andare dai contrabbandieri durante il mese di digiuno». Un commerciante ha detto: «I negozi di liquori restavano aperti durante il Ramadan fino al 2009. Prima ci chiedevano solo di coprire la porta con un drappo». Attribuisce il cambiamento a “populisti e predicatori”.
Per ben oltre un millennio l’Islam è riuscito a tenere il tappo nella bottiglia, ma da mezzo secolo vino, birra e liquori scorrono e - visto lo scarso entusiasmo delle popolazioni investite dall’ondata retrograda - non è detto che si riesca a tornare indietro. Quando gli Usa ci hanno provato negli anni Venti del secolo scorso, hanno generato il più grande boom di gangsterismo che il mondo abbia mai visto.
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