Il ristorante
always open
Un progetto
senza orari
e senza limiti
“Se otto ore vi sembrano poche”, primo verso di una canzone del primo decennio del XX secolo, quando la battaglia della classe operaia era volta alla riduzione dell’orario di lavoro, portando ad otto le ore giornaliere.
“Se diciannove ore vi sembrano troppe” potrebbe essere l’incipit volto a suggerire, indossando un nuovo abito mentale, quale potrebbe/dovrebbe essere il nuovo opening time del ristorante moderno.Moderno sta a significare ben inserito in una società che ha perso le rigidità imposte dal modello industriale: orari rigidi, mansioni rigide, tempo libero concentrato al fine settimana.
Non per nulla, non a caso, il pensiero profondo di Bauman sulla società liquida è illuminante al riguardo. La società postindustriale che finalmente anche nella sua definizione cessa di poggiare mediante “post” alla società industriale del passato ed assume sua definizione autonoma ed originale come “società reticolare”.
Una società quindi fatta di reti e di relazioni. Le seconde necessitano delle prime per innervarsi nel globale. Il potere si sposta dal possesso dei mezzi di produzione al possesso dei mezzi di ideazione. Fabbricare è attività sussunta e ancillare all’attività somma e creativa dell’ideazione.
Sempre meno fabbriche quindi, ma sempre più botteghe! Sì, le botteghe rinascimentali qui intese come gli atelier dove le idee nuove prendono forma, diventano progetti, diventano il nuovo business e permeano, costante l’evoluzione, la società reticolare.
Può, in questo eclettico ed evolvente scenario, il ristorante ancorarsi al paradigma desueto della società industriale?
Può avere orari rigidi e ben circoscritti? Può avere offering che non varia se non ai cambi stagionali e men che mai varia nell’ambito della stessa giornata? Può avere un layout che abbia perno nella cucina raramente a vista e nella sala con tavoli e sedie e nulla più?
In definitiva, può un ristorante essere soltanto quel luogo dove si può andare, nel senso che almeno lo si trova aperto, durante le ore del pranzo e le ore della cena?
La risposta è certamente no. E perché è certamente no? Perché nella società liquida, nella società reticolare, anche gli slot temporali in cui si ravvede il bisogno e/o il desiderio di “mangiare qualcosa” sono imprevedibili e non sempre è detto che questo “mangiare qualcosa” debba tradursi nel pasto completo o, all’opposto, “soltanto” nel pasto completo, laddove ben differente vorrebbe essere lo spessore e la godibilità dell’esperienza.
Proviamo ad entrare nel pragmatico e decidiamo che 5 ore su 24 mettiamo sleeping l’impianto, ovvero commutiamo alla faccia retro il tag che abbiamo sulla porta. Lo portiamo a closed. Closed dalle 1.00 alle 6.00: 5 ore, non di più. Ne consegue che è open dalle 6 del mattino fino ad un’ora dopo la mezzanotte.
E quanta clientela si può intercettare ed attrarre nel proprio locale sin dalle prime ore dell’alba?
Per esempio coloro i quali amano fare, si abituano a voler fare, un’ottima prima colazione che vada oltre la consueta, frettolosa sebbene sufficientemente buona, prima colazione al bar.
Si va ben oltre il concetto di banco (bar nel suo etimo, appunto), si va ben oltre il concetto di “cornetto e cappuccino” e la prima colazione diviene la prima occasione del nuovo giorno per fruire di convivialità e di health food, senza fretta e con il comfort atteso. Comfort atteso by default: connessione wifi, recharge per mobile device.
Si va oltre, stiamo rasentando l’ovvietà, l’idea che la colazione del mattino debba essere obbligatoriamente “dolce” e si amplia l’offering al “salato”.
Quanto cash suppletivo può provenire da un servizio breakfast così concepito e così tanto professionalmente ed amorevolmente erogato?
E mentre va ad esaurirsi lo slot del breakfast, eccoci all’innesco dello slot del brunch. E qui la crasi è proprio apodittica: il momento di giunzione tra il Breakfast ed il Lunch. Offering dovizioso ma non sterminato, appagamento alla vista, capacità di comunicare il perché di queste particolari proposte. Oltre che a buffet, si pensi a quanto take away un ben fatto servizio di brunch può procurare. Take away prodromo del “ristorante senza tavoli”, step primo del “ristorante a domicilio”.
Ed eccoci al rassicurante ancoraggio del già visto: il pranzo erogato e fruito secondo prassi consolidata. Come finisce di solito un pranzo?
Direi con un dessert, magari accompagnato da un calice di passito, sì, ma c’è chi vuole l’amaro; sì, ma c’è chi vuole il caffè e via a seguire.
Ecco, e se questo momento cessasse di essere esclusivamente step finale di pranzo e conseguisse sua dignità autonoma di servizio da erogare?
Quanta clientela, nella società liquida, non contempla il pranzo in alcuni giorni e soddisfa bisogni ed esaudisce suoi desideri in altro modo? Pensiamoci! Ore pomeridiane. Cosa si fa? Edutainment, senza dubbio alcuno. Seminari di educazione all’agroalimentare di qualità, ben oltre il solito corso di introduzione al vino, così tanto abusato.
Una sorta di “ci vediamo Dop” se questo claim piace. Lo storytelling di un prodotto Dop, l’assaggio guidato. Si pensi a quante persone, si pensi a quanto composito e variegato può essere il target attratto da questi eventi. Se pensiamo al taglio generazionale, allora individuiamo prevalentemente i Millennials e la Generazione Z. Si sta attraendo la migliore clientela.
Ed eccoci allo slot degli happy hour o, quanto poco ci piace lo storpiante neologismo, l’apericena. E però su questa “apericena” soffermiamoci un attimo. Nel teoria sulla società liquida di Bauman si afferma che anche i concorrenti sono praticamente indefinibili e perciò liquidi. Ecco, e se il più temibile dei concorrenti, ben lungi dall’essere l’altro ristorante a noi vicino, fosse invece quel bar, magari neanche così tanto vicino, che però fa un apericena che piace proprio e che, va da sé, fa poi saltare proprio l’idea di cena così come tradizionalmente essa è intesa?
Ecco, happy hour fatti bene, di certo non melanconicamente banali, sono attrattivi per fasce sempre più ampie e variegate di clientela. Perciò altro cash suppletivo.
Adesso è il momento della cena. Quanta tristezza nel leggere in vetrina che la cucina chiude alle 22:30, o forse anche prima o appena mezzora dopo. Ecco, e allora innanzitutto si dilati questo limite ad quem. Così facendo si va incontro a fasce di clientela per le quali il cenare tardi (ma quando sia “tardi” chi lo ha deciso?) può anche essere vezzo, ma spesso è necessità dovuta al lavoro che, ribadiamolo, oramai da decenni ha quasi dismesso completamente la gabbia degli orari predefiniti.
E dopocena da intendersi similmente a quanto si è detto per il dopopranzo. Qui avendo una calibrata dovizia di offering di liquoristica. È l’ora piccola: 1.00. Si chiude. E fra 5 ore si riapre. Ecco, è questo il ristorante al passo con la società reticolare, la società liquida. È di facile attuazione?
Assolutamente no, è di attuazione difficile. Difficile, non impossibile. Impossibile se e solo se non ci si crede. Ed a bassa efficienza se a questo “almost always on” non si affianca un’efficace comunicazione in gran parte da attuarsi in rete. E però, quanto business incrementale da un ristorante “almost always on”.
Se si ragionasse per un attimo con la logica del “massimo utilizzo degli impianti”, si scoprirebbe che l’attuale ristorante con i suoi orari di apertura che si limitano agli slot canonici di pranzo e cena, in effetti fa un “minimo utilizzo degli impianti”. Di conseguenza un’apertura di 19 ore a fronte delle circa 7 attuali consente di spalmare i costi fissi su più servizi e quindi di lenire il loro peso per ogni singola “business unit”.
Ma l’obiezione di fondo, quella che da sola fa raggelare la gran parte dei ristoratori, ne siamo persuasi, è la seguente: e come faccio con il personale? di quanto mi aumenta il costo del lavoro? dove trovo le nuove skills per quei servizi che esulano dal pranzo e dalla cena? e poi, quella cosa dell’edutainment, come si fa? che cosa è di preciso? Le risposte ci sono. Pacate, argomentabili e foriere di idee a venire.
Suggerimento metodologico. Ci si approcci, laddove questo scenario lo si voglia ritenere percorribile, a chiedersi il “perché no” piuttosto che il perché. Si apre il mondo. E va bene, forse non si apre il mondo ma di certo si squarciano quei coni d’ombra che non ci lasciano vedere come gli scenari stiano rapidamente evolvendo. Stare dalla parte dell’ombra, quando correnti di energia stanno inondando il mondo, non è la scelta migliore.
di Vincenzo D’Antonio
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