Comodato d’uso
nel bar: quando
la macchina del caffè diventa una gabbia commerciale
Dietro la promessa delle macchine gratuite e dei contratti facili si nasconde spesso un sistema che riduce il mestiere del barista a semplice esecutore, limitandone la libertà di scelta e l’espressione professionale. Così, l’espresso rischia di perdere la sua anima artigianale, trasformandosi in un prodotto uniforme e senz’anima
Ècomodo, conveniente e sembra un affare. Macchine gratis, arredi inclusi, finanziamenti su misura. Ma ogni comodato d’uso gratuito è anche una promessa a tempo. Dietro quella scorciatoia si nasconde uno dei mali silenziosi più veri e concreti del bar italiano: la perdita del mestiere. Negli ultimi anni, mentre il numero dei bar che chiudono continua a crescere (21mila negli ultimi 10 anni), la filiera del caffè ha assistito a un fenomeno tanto diffuso quanto poco raccontato.
È quello delle grandi torrefazioni che, per assicurarsi la presenza del proprio marchio, hanno iniziato a fornire ai futuri gestori macchinari, accessori e perfino aiuti economici per l’apertura o la ristrutturazione del locale. Il tutto “in comodato d’uso gratuito”, cioè senza un pagamento immediato, in cambio però di un vincolo: l’obbligo di utilizzare esclusivamente i prodotti della torrefazione per un periodo prestabilito. Ma cosa significa, come viene regolamentato e cosa comporta questo accordo tanto in uso in tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dal Trentino alla Puglia?
Cos’è e come funziona il comodato d’uso?
Il comodato d’uso gratuito è un contratto previsto e disciplinato dal Codice Civile, all’articolo 1803, dove viene definito come l’accordo con cui una parte consegna a un’altra un bene mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo determinato, con l’obbligo di restituirlo. È, per definizione, un contratto gratuito: il comodatario non paga un canone, ma deve utilizzare la cosa secondo l’accordo e riconsegnarla al termine. Si tratta di un contratto “reale”, che si perfeziona nel momento della consegna, e che impone al comodatario obblighi di custodia e diligenza. Nel caso in cui non sia indicata una durata, la legge prevede che il bene debba essere restituito non appena il comodante ne faccia richiesta.
Nel contesto del mondo del caffè, questo contratto giuridicamente semplice si trasforma in una leva commerciale molto potente. Molte torrefazioni offrono ai futuri baristi la macchina per l’espresso in comodato gratuito, spesso insieme a macinatori, accessori, talvolta persino finanziamenti per piccoli interventi di ristrutturazione. In cambio, il barista si impegna ad acquistare in via esclusiva o quasi le miscele della torrefazione. In apparenza è un affare: l’imprenditore non deve investire subito migliaia di euro in attrezzature e può aprire rapidamente il suo locale. Ma nella sostanza il rapporto diventa spesso sbilanciato, perché quella gratuità si regge su un vincolo commerciale rigido.
Il comodato d’uso, un vincolo di lungo periodo
Il barista, pur restando formalmente un imprenditore indipendente, si ritrova legato a un unico fornitore, con margini ridotti e nessuna possibilità di scegliere la materia prima che desidera proporre ai clienti. In alcuni casi, dietro la promessa del “comodato gratuito” si nasconde un rapporto che gratuito non è: l’obbligo di acquistare determinate quantità di caffè, o di rispettare clausole di esclusiva, può trasformare il contratto in qualcosa di diverso, al limite tra il comodato e la fornitura vincolata. È una situazione in cui la libertà d’impresa rischia di essere solo teorica, e la sostenibilità economica del bar viene messa in discussione sin dal primo giorno.

La gratuità della macchina, infatti, si traduce quasi sempre in un vincolo di lungo periodo. Le torrefazioni che adottano questo modello lo fanno per assicurarsi clienti fissi e volumi costanti, più che per sostenere la qualità del prodotto o la formazione professionale di chi lo serve. Così, dietro a molti banconi italiani, si trovano oggi macchine identiche, con lo stesso caffè e lo stesso sapore standardizzato. Il risultato è un’omologazione diffusa: la cultura del caffè diventa meccanica, ridotta a due tasti premuti sulla macchina, e si perde il valore artigianale di un mestiere che un tempo si basava sulla conoscenza della materia prima, sulla scelta della miscela, sul gesto.
Quando il comodato d’uso non è una gabbia commerciale
Eppure non tutto il comparto si muove in questa direzione. Accanto ai grandi marchi che distribuiscono attrezzature in comodato, esistono torrefazioni che scelgono un approccio più trasparente e responsabile. Sono quelle che forniscono macchine in uso gratuito, ma senza vincoli di esclusiva, accompagnando il barista nella formazione, nella scelta delle origini e nel racconto del prodotto. Alcune propongono modelli misti: il comodato rimane, ma con libertà di selezionare miscele diverse o di cambiare fornitore. Altre ancora rifiutano completamente la logica del “macchinario gratis”, puntando sulla qualità e sull’autonomia dei locali come elementi distintivi di una collaborazione duratura.

In questo contesto, il problema non è il contratto in sé, ma l’asimmetria con cui viene applicato. Il comodato può essere uno strumento utile, soprattutto per chi avvia una nuova attività e ha bisogno di ridurre l’investimento iniziale. Ma deve essere chiaro, proporzionato, e soprattutto rispettare la libertà di scelta di chi lo sottoscrive. La vera criticità nasce quando il contratto diventa una gabbia commerciale che limita l’indipendenza del barista e appiattisce la qualità del prodotto.
Nel futuro della caffetteria italiana serve più trasparenza
Comprendere il comodato d’uso gratuito significa dunque guardare oltre la superficie di una formula apparentemente conveniente. Per il barista, significa interrogarsi su quale tipo di impresa vuole costruire; per il cliente, capire cosa c’è dietro la tazzina che beve ogni mattina; per le torrefazioni, riscoprire la responsabilità culturale e professionale che un prodotto come il caffè porta con sé. Il futuro della caffetteria italiana non potrà reggersi su contratti comodi ma poco sostenibili, bensì su relazioni trasparenti, su competenze condivise e su una nuova consapevolezza del valore reale del caffè. Perché un espresso buono non nasce da una macchina data in comodato, ma da una scelta libera, dalla conoscenza e dal rispetto per chi lo prepara e per chi lo beve. Tutto il resto è marketing con la schiuma sopra.


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