Nuove generazioni in cucina:
i giovani che stanno
cambiando il volto
della ristorazione
Dalla sostenibilità alle nuove forme d’impresa, i giovani chef italiani sotto i 35 anni stanno trasformando la cucina in un laboratorio etico, creativo e imprenditoriale, capace di ridefinire il futuro della ristorazione
C’è un’energia che attraversa oggi le cucine italiane: non è solo tecnica né solo estetica, ma un’urgenza pratica e morale. I giovani cuochi sotto i 35 anni che popolano le guide, le insegne nuove e i progetti più coraggiosi non stanno semplicemente facendo carriera: stanno riscrivendo regole, ritmi e priorità. Da Nord a Sud, fra ristoranti di quartiere e indirizzi stellati, emergono chef che hanno scelto percorsi formativi non convenzionali, una visione dichiaratamente sostenibile e un marcato spirito imprenditoriale - talvolta tutto questo insieme, spesso a vent’anni. È a loro che dedichiamo questo ritratto collettivo: volti reali, nomi veri, progetti che raccontano l’Italia che verrà.

Un tratto comune: formazione ibrida e apprendistati globali
Molti dei giovani che oggi fanno parlare di sé non arrivano più esclusivamente dall’alberghiero o dalla scuola classica: il loro curriculum somiglia a una mappa con tappe brevi ma intense in cucine europee, stage tecnici in offshoots della ristorazione, corsi su tecniche fermentative, residui di startup food-tech e collaborazioni con produttori locali. Hanno imparato on the job, ma coltivano anche saperi trasversali - management, comunicazione digitale, agricoltura rigenerativa - utili per gestire il ristorante come impresa e il cibo come messaggio. Questa commistione spiega perché molte aperture giovanili siano allo stesso tempo laboratorio creativo e impresa sostenibile.
Chi sono (alcuni nomi e perché guardare a loro)
Fabrizio Mellino - Quattro Passi, Nerano

Classe 1991, Fabrizio Mellino è l’esempio di un giovane che porta avanti una tradizione familiare arricchendola di ricerche e consapevolezza ambientale. Nel suo locale di Nerano ha contribuito a progettare un’offerta che onora il patrimonio territoriale della penisola sorrentina e, allo stesso tempo, dialoga con pratiche di cucina che privilegiano stagionalità, biodiversità marina e riduzione degli sprechi. La sua rapida ascesa - riconosciuta anche nelle guide internazionali, tanto che è stato il più giovane tristellato italiano - rende la sua cucina uno dei riferimenti più interessanti per capire come il «modello familiare» possa rinnovarsi grazie a una gioventù preparata e rispettosa delle radici.
Maicol Izzo - Piazzetta Milù, Castellammare di Stabia

Maicol Izzo, giovane chef cresciuto in una famiglia di ristoratori, ha vissuto tra brigate internazionali e la cucina di famiglia prima di tornare a guidare Piazzetta Milù. Il suo percorso resta l’immagine plastica dell’apprendistato globale: esperienze in grandi cucine, poi la scelta di investire il talento nel territorio natale, con un approccio che unisce rispetto della tradizione e spregiudicatezza contemporanea nel trattamento del prodotto. Il riconoscimento come “Young Chef” da parte della scena gastronomica è anche il segno di quanto la platea professionale guardi con attenzione a chi fa impresa nel territorio senza snaturarlo.
Davide Marzullo - Trattoria Contemporanea, Lomazzo

Giovane, determinato, con già una stella Michelin al proprio attivo, Davide Marzullo è il prototipo del cuoco che nasce e si forma in realtà di provincia ma con uno sguardo internazionale. Il suo percorso - dalle cucine internazionali (esperienze in Regno Unito e Nord Europa) a un progetto che valorizza la materia prima locale - è una lezione sul valore dell’ibridazione: tecniche apprese altrove applicate a prodotti nostrani, con attenzione a sostenibilità e cura della brigata. È uno dei casi più interessanti per chi cerca il punto d’incontro tra tradizione e contemporaneità.
Francesca Barone - Fattoria delle Torri, Modica

Rappresenta la nuova generazione al femminile che, in molte regioni d’Italia, sta reinterpretando il racconto gastronomico locale. Francesca Barone porta freschezza nella cucina siciliana, lavorando con piccoli produttori biologici e puntando su tecniche moderne per esaltare ingredienti antichi. Il suo profilo riflette una tendenza diffusa: giovani chef che decidono di restare e investire nel territorio, creando empatia con la filiera corta.
Alessandro Cozzolino, Achille Esposito, Alessandro Angiolucci (e altri)
Nomi come Alessandro Cozzolino (ai vertici di alcune tavole fiorentine), Achille Esposito (portatore di sapori isolani a Milano) e Alberto Angiolucci (che con progetti come “macelleria di mare” reinventa la materia prima) sono esempi dello stesso movimento: giovani che si assumono il rischio imprenditoriale, aprono locali fuori dagli schemi e sperimentano forme ibride di servizio, produzione e proposta gastronomica. Questi profili sono stati evidenziati nelle rassegne dedicate ai talenti emergenti pubblicate negli ultimi anni.
Sostenibilità: parola d’ordine o pratica quotidiana?
Per questa generazione la sostenibilità non è un payoff da menu: è pratica d’ufficio. Riduzione degli sprechi, uso di prodotti da filiera corta, orti che diventano dispensa, valorizzazione del “secondo taglio” e delle parti meno nobili sono scelte che rispondono a vincoli economici ma anche a una nuova etica professionale. Molti giovani chef instaurano rapporti diretti con agricoltori, pescatori e allevatori: non è più soltanto fornitura, è partnership, co-progettazione di un ingrediente. Inoltre, eventi come i confronti tra under 35 e challenge giovanili in manifestazioni professionali hanno messo al centro il tema dell’etica in cucina, segnalando una generazione che considera la sostenibilità un vantaggio competitivo oltre che un dovere.
Spirito imprenditoriale: dal menu al modello di business
I giovani chef non vogliono solo cucinare: vogliono costruire imprese resilienti. Aprono realtà ibride - bistrot che sono anche laboratorio, micro-produzioni di conserve, progetti di formazione, collaborazioni con startup alimentari - che mostrano un approccio multicanale alla ristorazione. Il risultato è un’industria più snella, capace di diversificare entrate e di generare valore anche fuori dal servizio al tavolo: delivery di nicchia, cene verticali, masterclass, valorizzazione di prodotti locali con marchi e confezioni. In questo senso, il giovane chef è imprenditore creativo che pensa al ristorante come a un hub.

La formazione non convenzionale: cosa funziona davvero
Le esperienze che contano non sono solo quelle in grandi cucine stellate: oggi contano i percorsi che combinano saperi - agraria, scienze alimentari, economia - con esperienza pratica. Scuole, residenze culinarie, incubatori e scambi internazionali affiancano i classici stage: il giovane chef impara a leggere il mercato tanto quanto impara a sfilettare un pesce. E, spesso, ritorna al territorio con nuove competenze per mettere in piedi progetti a impatto locale. Manifestazioni dedicate ai giovani (contest, premi giovani chef, reti di JRE e simili) sono diventate fucine non solo di visibilità ma anche di rete professionale.
Cosa cambia per il cliente e per il settore
Per il pubblico la novità è duplice: si trova di fronte a una cucina più narrativa (ogni piatto è racconto locale) e a un’offerta che spesso privilegia esperienze (cena tematica, percorso sensoriale, laboratorio). Per il settore cambia il ritmo: nuovi format, attenzione al benessere delle brigate, politiche di welfare in cucina e una concezione della ristorazione come impresa poliedrica. Questo, a sua volta, richiama investimenti diversi - non solo in location e attrezzature, ma in formazione, relazioni con la filiera e comunicazione.
Due riflessioni finali
Primo: il talento non è ancora sufficiente se resta isolato. I casi migliori che ho visto negli ultimi anni sono quelli in cui la creatività incontra una solida alfabetizzazione d’impresa. Secondo: la scena under-35 sta facendo qualcosa che i più anziani raramente facevano in passato - sperimentare la sostenibilità non come moda ma come modello operativo ripetibile. Se l’Italia saprà accompagnare queste energie con reti di supporto (finanziamenti mirati, mentoring, politiche per la filiera corta), potremo davvero parlare di una transizione culturale e produttiva che cambia il volto della ristorazione italiana per i prossimi decenni.

Nessun commento:
Posta un commento