Il caso Ischia spiega perché la destagionalizzazione in Italia non decolla
Il turismo italiano continua a crescere, ma resta ancora ostaggio del calendario. Ischia, che nei mesi freddi dell’anno si svuota nonostante terme e clima favorevole, rivela una questione più profonda: l’assenza di strategie condivise tra istituzioni e operatori, capaci di trasformare la stagionalità in un’opportunità economica e sociale stabile
La stagione estiva 2025 si è chiusa con numeri che confermano la solidità del turismo italiano. In media, otto camere su dieci sono state occupate in tutta la penisola, e anche l’autunno sta mantendendo una buona tenuta, con prenotazioni che in molte località raggiungono già la metà della capienza disponibile. A trainare i flussi sono soprattutto i visitatori stranieri - francesi e tedeschi in primis - che hanno scelto l’Italia non solo per le mete balneari, ma anche per esperienze culturali ed enogastronomiche. Cresce inoltre la spesa media giornaliera, segno di un turismo che punta sempre più alla qualità e al comfort.
Numeri incoraggianti, che raccontano la vitalità di un settore in continua evoluzione. Eppure, dietro questi dati positivi, resta evidente una criticità strutturale: la forte stagionalità. Se è vero che il turismo italiano ha imparato a resistere e a reinventarsi, è altrettanto vero che gran parte delle mete - in particolare quelle balneari e insulari, come ad esempio Ischia - continua a “spegnersi” nei mesi freddi. Una dinamica che penalizza non solo i territori, ma anche i lavoratori e le imprese che vivono di accoglienza.
L’Italia che si accende d’estate e si spegne d’inverno
Basta una passeggiata in riva al mare a novembre per accorgersene. Le vetrine si oscurano, i ristoranti abbassano le saracinesche e la vitalità estiva lascia spazio a un silenzio quasi surreale. È la fotografia di una parte importante del nostro Paese: l’Italia delle coste e delle isole, dove il turismo resta ancora oggi legato a un modello stagionale. Per decenni questa alternanza ha garantito lavoro e prosperità, ma nel mondo post-pandemico e con un clima sempre più caldo, il sistema mostra i suoi limiti.

L’instabilità economica e la precarietà di migliaia di lavoratori stagionali sono il sintomo più evidente di un modello che fatica a evolversi. Camerieri, cuochi, receptionist, bagnini e guide turistiche si spostano ciclicamente dal mare alla montagna per non interrompere la propria attività, vivendo in una continua migrazione tra affitti brevi e contratti a tempo determinato. Un pendolarismo che, a lungo andare, impoverisce le comunità locali e rende difficile costruire un tessuto sociale stabile.
Destagionalizzare: da slogan a strategia concreta
Negli ultimi anni la parola “destagionalizzazione” è diventata un mantra, ma raramente si traduce in una strategia condivisa. Significa infatti molto più che allungare la stagione: vuol dire costruire un turismo più equilibrato, che distribuisca flussi, ricchezza e opportunità lungo tutto l’anno. Non si tratta solo di numeri, ma di un cambio di mentalità. Destagionalizzare significa mantenere vive le località anche quando il turismo di massa si ritira, garantire continuità ai lavoratori e stabilità alle imprese, ridurre la pressione ambientale concentrata in pochi mesi e offrire un’esperienza più autentica e sostenibile ai viaggiatori.
E i presupposti ci sono. Cresce il turismo del benessere, della cultura, dell’enogastronomia e della natura: segmenti capaci di attirare un pubblico interessato non solo al mare o alla neve, ma anche al relax, alla scoperta e alla qualità della vita. Secondo le ultime analisi, il comparto del turismo del benessere in Italia vale oltre quattro miliardi di euro, e continua a espandersi con un ritmo del +10% annuo. In questo scenario, molte destinazioni italiane - dalle colline umbre ai borghi toscani, dalle Langhe fino al Trentino - stanno imparando a proporsi come mete “quattro stagioni”.
Ischia e le sue terme: un potenziale ancora inespresso
Tra i luoghi che potrebbero rappresentare un modello di turismo destagionalizzato c’è senza dubbio Ischia. L’isola verde, nota per le sue sorgenti termali e per un clima mite anche nei mesi invernali, possiede tutti gli ingredienti per diventare una meta di benessere annuale. Eppure, la stagione turistica si interrompe ancora a ottobre, con poche eccezioni. Un paradosso: mentre destinazioni termali come Abano, Montegrotto, Saturnia o Sirmione accolgono visitatori anche a gennaio, Ischia si svuota.
Le terme, che per secoli hanno rappresentato la sua identità e la sua forza, oggi potrebbero essere il motore di un nuovo modello turistico, capace di integrare salute, natura e cultura. A ostacolare questo potenziale ci sono però due fattori chiave: l’accessibilità e la frammentazione gestionale. Negli ultimi anni i prezzi di traghetti e aliscafi sono aumentati sensibilmente, rendendo più costoso raggiungere l’isola, soprattutto per i visitatori italiani. Allo stesso tempo, l’assenza di un piano coordinato tra i sei comuni ischitani limita la possibilità di costruire un’offerta condivisa e continuativa.
Segnali positivi e nuove opportunità
Nonostante le difficoltà, negli ultimi anni Ischia ha iniziato a muovere passi importanti verso una maggiore continuità turistica. Il mese di dicembre, un tempo deserto, sta diventando un periodo vivo e attrattivo grazie a eventi, concerti, luminarie e mercatini natalizi che animano i borghi principali. Alcune strutture ricettive scelgono di restare aperte anche in inverno, intercettando una domanda crescente di turismo lento, esperienziale e rigenerante. Il cambiamento climatico, con temperature sempre più miti anche tra ottobre e marzo, potrebbe diventare un alleato.

L’isola dispone infatti di un patrimonio naturale e culturale che si presta perfettamente al turismo fuori stagione: sentieri panoramici, vigneti terrazzati, percorsi termali e gastronomici, piccoli eventi diffusi nei borghi. Tutto questo potrebbe alimentare un turismo più sostenibile, capace di unire relax, benessere e autenticità. Ma perché ciò accada serve una visione d’insieme. È necessario un piano regolatore del turismo ischitano che coordini le aperture delle strutture, la mobilità, la promozione e l’organizzazione degli eventi, facendo delle terme il fulcro di un’offerta annuale. L’obiettivo realistico non è restare aperti dodici mesi l’anno, ma estendere la stagione da marzo a dicembre, offrendo lavoro stabile e continuità economica a tutto il comparto.
Lavorare e accogliere tutto l’anno
Prolungare la stagione non significa soltanto tenere aperti hotel e ristoranti più a lungo, ma ripensare l’intero ecosistema turistico. Significa creare pacchetti tematici - benessere e gastronomia, trekking e terme, eventi e cultura - e comunicarli in modo coordinato, coinvolgendo operatori, enti pubblici e residenti. Significa anche investire nella formazione del personale, nella digitalizzazione delle strutture, nel potenziamento dei trasporti e nell’integrazione tra ospitalità e territorio. Il turismo destagionalizzato è prima di tutto un turismo consapevole, che valorizza le specificità locali e offre esperienze più autentiche. È un modello che può garantire stabilità economica, ma anche qualità della vita a chi in quei luoghi abita e lavora.
Un’Italia che non deve più “chiudere”
Dalle coste siciliane alle spiagge toscane, dalle isole minori fino ai litorali pugliesi, la sfida è comune: imparare a non spegnersi. L’Italia resta una delle mete più desiderate al mondo, ma non può permettersi di restare ferma per mesi interi, lasciando dormienti infrastrutture, competenze e territori. La destagionalizzazione non è più un’utopia, ma una necessità. Significa progettare un nuovo calendario del turismo, capace di distribuire flussi e opportunità, riducendo gli sprechi e creando valore continuo. Le terme, il benessere, la cultura e l’enogastronomia possono essere i punti di partenza di un turismo rinnovato, più sostenibile e più umano. Perché l’Italia, con la sua bellezza che non conosce stagioni, non dovrebbe mai smettere di accogliere, vivere e raccontarsi.


Nessun commento:
Posta un commento