Un dialogo con Maria Vittoria Dalla Cia,
caporedattrice de La Cucina Italiana
Che cosa ha cambiato e in parte sta ancora cambiando il lockdown nella quotidianità della redazione de La Cucina Italiana?
Nel caso della nostra esperienza è importante ricordare che La Cucina Italiana è un mensile molto particolare, in quanto la redazione gravita da sempre intorno a una vera cucina.
Giornalisti, fotografi, stylist lavorano insieme con i cuochi per la produzione dei servizi gastronomici, in una cucina in tutto simile a quelle di casa.
Nel momento in cui, anche noi, abbiamo iniziato a lavorare da remoto, non avere più la possibilità di incontrarsi in quello spazio comune ha voluto dire rivedere radicalmente un’organizzazione già in partenza più complessa di quella di una redazione tradizionale.
Sospesa per tutto il lockdown la possibilità di condividere dal vivo, la produzione di ricette originali è continuata comunque: la nostra cucina-laboratorio di redazione si è trasferita a casa della nostra cuoca, della nostra stylist e di alcuni di noi giornalisti e grafici, promuovendo una condivisione virtuale più estesa e nel contempo riproducendo puntualmente ciò che stava avvenendo nel mondo, e cioè un ritorno (obbligato) intorno ai propri ‘focolari’, normalmente molto disertati.
Questo cambiamento ha collaudato, seppure comportando a volte la congestione dei tempi lavorativi con un’invasione dei tempi privati, la tenuta dei rapporti professionali, dimostrando l’ottima coesione del gruppo di lavoro, e la sua capacità di azione anche a distanza.
In generale penso che sia stata un’esperienza dalla quale siamo usciti con una maggiore flessibilità organizzativa, una diversa apertura. E questo anche, penso, facilitato dal fatto che il nostro lavoro ha a che fare con il cibo, elemento fondante, dunque ‘caldo’ nella vita di tutti.
E perciò sempre coinvolgente e aggregante, tanto più in questo ultimo anno in cui, date le circostanze, la sua popolarità mediatica, già altissima, si è ulteriormente affermata.
Accanto a questa diversa quotidianità operativa, le riflessioni e gli orientamenti di pensiero che il momento porta con sé hanno stimolato la nascita di progetti nuovi e di ampio respiro: nel mese di luglio abbiamo lanciato una serie di sei numeri da collezione, diretti ciascuno da un grande cuoco italiano, con i quali La Cucina Italiana intende promuovere presso l’Unesco la candidatura della tradizione culinaria del nostro Paese come bene immateriale dell’umanità.
L’iniziativa è nata anche dall’esigenza, molto sentita in questo periodo di difficoltà nazionale, di valorizzare una cultura gastronomica portatrice di valori storici, sociali, creativi, ambientali e paesaggistici molto sentiti e radicati.
In conclusione, il primo lockdown per noi è stato anche un’occasione per crescere quotidianamente e mettere a fuoco potenzialità individuali e del gruppo. E mi sento di aggiungere che cercheremo di affrontare con altrettanta energia anche i tempi che si preparano.
In qualche modo è cambiato il rapporto dei lettori con il giornale?
Come sempre facciamo, ma forse con maggiore urgenza, abbiamo cercato di cogliere fin dal primo mese di chiusura gli argomenti che sarebbero stati più utili, più appassionanti, confortanti e in sintonia con le attese dei nostri lettori, costretti alla lunga permanenza a casa. Da quello che abbiamo osservato poi nell’andamento delle vendite, salvo una flessione in marzo e aprile legata alla chiusura dei punti vendita nei supermercati, i lettori ci hanno seguito, attendendo l’uscita del giornale alla fine del mese come un appuntamento da non mancare.
A riprova di questo interesse per il giornale, nello stesso periodo, il nostro sito ha registrato un record di collegamenti: se si pensa che l’utenza media mensile è di 4,5 milioni, in marzo abbiamo registrato 6,5 milioni di utenti unici e più di 20 milioni di pagine visualizzate, saliti a 6,6 milioni in aprile con 23 milioni di pagine viste.
Tra i diversi temi, sul giornale abbiamo dato spazio in particolare alla panificazione, in testa al gradimento e confermata dalle ricerche sul sito, ma anche alla cucina del recupero, ai piatti vegetali, ai dolci casalinghi, e sempre privilegiando ricette facili e immediate.
In più, abbiamo lavorato molto attraverso i social con dirette su Instagram quotidiane molto seguite, e alcune iniziative che hanno coinvolto direttamente i lettori nella realizzazione di piatti da condividere con la comunità.
Insomma, abbiamo cercato di stare vicino al nostro pubblico, di essere empatici, di anticipare necessità e curiosità. E questo sforzo di immedesimazione mi pare abbia funzionato.
Nel lockdown molte persone hanno riscoperto il piacere di cucinare, ma c’è stato anche un boom del food delivery in cui al cucinare si è sostituito lo scaldare al microonde. Come convivono queste due tendenze in una cucina domestica? Ne avete avuto sentori in redazione? O, semplicemente, che cosa ne pensi tu?
Non vedo una contrapposizione tra le due scelte: come è salita la voglia di cimentarsi in cucina, per divertirsi e passare il tempo, per prendersi cura di sé e dei propri cari, per gioire del cibo con la famiglia, per gratificarsi, per compensare la mancanza della libertà di incontro, così credo che per le stesse ragioni possa essere cresciuta la domanda di pasti a domicilio, penso soprattutto a quello di qualità.
Tra l’altro, molti sono i ristoranti di alta cucina che durante il lockdown per la prima volta hanno intrapreso un’attività di consegna a domicilio, con risultati spesso molto soddisfacenti.
La voglia di mangiare bene, di fare di una cena in famiglia un momento speciale, passa tanto da ricette preparate in casa con cura quanto da una lunch box di buona qualità.
di Simonetta Lorigliola
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