L'Ue avvia il riconoscimento
del Prosek croato.
La filiera italiana
subito in campo
a difesa del Prosecco
Dalla Commissione Europea arriva l'ok alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della domanda di registrazione del vino bianco della Dalmazia meridionale. Nel Belpaese insorgono ministero, consorzi e filiera
Dopo averci provato senza successo nel 2013, il croato Prošek stavolta sembra vicino a farcela: la Commissione Ue ha dato parere favorevole alla registrazione della menzione tradizionale del vino bianco da dolce che proviene dalla zona meridionale della Dalmazia. Una decisione accolta da una levata di scudi in Italia a difesa del Prosecco: il vino italiano più copiato al mondo oltre che un vero e proprio campione dell'agroalimentare nostrano con un giro d'affari di oltre un miliardo di euro per il solo export (+35% nei primi sei mesi del 2021). Il tutto a pochi giorni da un'altra storica decisione, stavolta della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che aveva messo uno stop ai nomi truffa che evocano in modo strumentale e ingannevole prodotti a denominazione di origine riconosciuti e tutelati dall'Ue.
Dalla Commissione europea primo ok
al processo di riconoscimento del Prošek
Più nel dettaglio, la Commissione europea ha dato il proprio nullaosta per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Ue della domanda di registrazione della referenza Prošek come richiesto dalle autorità croate. La notizia è emersa a seguito dell'interrogazione urgente presentata dall'eurodeputata italiana (in quota Lega), Mara Bizzotto. La stessa ha annunciato le «barricate» per difendere quello che dall'Italia sembra un attacco diretto al Made in Italy. Si preannuncia quindi battaglia nei prossimi due mesi, un lasso di tempo entro il quale si possono presentare ricorsi e obiezioni prima della decisione finale della Commissione Ue. L'obiettivo è uno solo: determinare una volta per tutte che il vero Prosecco è solo quello che si coltiva fra Veneto e Friuli Venezia Giulia, in nove province e rispondente a tre denominazioni d’origine (Prosecco Doc, Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Docg e Asolo Prosecco Docg) per una produzione complessiva che ha superato 600 milioni di bottiglie. Un territorio che dal 2019 è anche patrimonio dell'Unesco.
Il ministero delle Politiche agricole
si è già opposto e si prepara la task-force
A difendere il Prosecco si è mosso tutto il mondo dell'agroalimentare. A partire dal ministero per le Politiche agricole. «La decisione della Commissione Europea sul riconoscimento dell'indicazione geografica protetta del vino croato Prosek è sbagliata. Il ministero si è già opposto a questo riconoscimento e utilizzerà ogni argomentazione utile per respingere la domanda di registrazione promossa dalla Croazia, anche appellandosi ai principi di tutela espressi dalla Corte di Giustizia in casi analoghi», si legge in una nota. «Nei confronti di uno dei prodotti simbolo del nostro Made in Italy da Bruxelles arriva una decisione gravissima e con cui di fatto l’Europa smentisce se stessa», ha aggiunto il sottosegretario all'Agricoltura, Gian Marco Centinaio.
Il sottosegretario non ha poi perso tempo e ha chiesto che sia istituito un gruppo di lavoro tecnico ad hoc presso il Mipaaf. «L’obiettivo è mettersi subito al lavoro così da portare il prima possibile le nostre ragioni in Europa. L'intenzione è quella di coinvolgere anche le associazioni rappresentative del comparto e le regioni interessate, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Dobbiamo fare squadra per rispondere in modo tempestivo a quello che è un chiaro attacco nei confronti del nostro Made in Italy. Non c'è tempo da perdere. Se Bruxelles sostiene di voler tutelare le eccellenze dell’Ue, allora deve necessariamente tutelare anche il Prosecco, che è un'eccellenza non solo italiana ma europea», ha spiegato Centinaio.
La sentenza della Corte di giustizia Ue:
stop ai nomi truffa
Il riferimento è alla sentenza della Corte di giustizia dell'Ue a seguito del ricorso del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, contro una catena di bar spagnoli che usa il nome “Champanillo” (che in lingua spagnola significa «piccolo champagne») per promuovere i locali, con un supporto grafico raffigurante due coppe riempite di una bevanda spumante. Una diatriba finita prima nelle mani della magistratura iberica e poi direttamente in Lussemburgo, dove ha sede la Corte di giustizia europea chiamata a chiarire se, secondo il diritto comunitario, fosse possibile utilizzare un termine nel commercio per designare dei servizi piuttosto che dei prodotti. Risposta? No! iat
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