QUANDO IL VINO
VIENE FATTO CON LE STELLE
(SECONDA PARTE)
In questi giorni
abbiamo pubblicato la prima parte dell’articolo del professor Attilio
Scienza sulle motivazioni che starebbero alla base della scelta del biologico e del biodinamico da parte dei consumatori e quindi dei produttori. Un atteggiamento dettato da per lo più fattori ideologici, spesso a discapito della qualità.
IL MITO VINCE
SULLA SCIENZA
Nella valutazione delle motivazioni che portano a scegliere il prodotto biologico e ancor più il biodinamico, di cui si è trattato nella prima parte di questo articolo, si può aggiungere - citando Levy-Strauss (2002) - che siamo di fronte all’ennesimo mito di cui ha bisogno anche l’uomo moderno, desideroso di volare alto, oltre i limiti angusti e desolanti della realtà descritta dal suo rigoroso sapere scientifico. Il pensiero mitico brucia le tappe al
contrario del pensiero scientifico che procede distinguendo i fenomeni e collegandoli in
ordine rigoroso, come afferma Tirelli (2006). Il pensiero mitico propone immediatamente
spiegazioni totali attraverso l’intuizione e il trasporto psicologico. Il pensiero esoterico degli
steineriani non solo fa produrre un buon vino ma ci riappacifica con la natura ferita e
umiliata dall’incoscienza e dalla malvagità dell’uomo tecnologico. Un grande filologo
italiano del ‘900, Carlo Dionisotti, affermava che “il contrasto tra passato e presente, tra
tradizione e innovazione sia stato inasprito in Italia da una maggiore sproporzione fra
termini opposti, dal peso eccessivo della tradizione storico-letteraria e da un insufficiente
sviluppo della nostra cultura scientifica e tecnica”. Auerbach sosteneva che nell’età
barocca, nelle corti francesi, era importante mostrare conoscenza di tutto e di niente: la
non conoscenza era un segno di aristocrazia. Oggi, fatte le debite proporzioni, come dice
l’agronomo-scrittore Pascale, questa strana situazione sembra ripetersi.
IDEALISMO
SENZA PROFESSIONALITA’
Alcuni giovani formati nelle facoltà umanistiche o in quelle delle scienze della
comunicazione, in mancanza di lavoro nei loro specifici settori di competenza, entrano con
miseri compensi nelle associazioni ambientaliste o nei movimenti new age “con il nobile
intento di porre fine non solo ai loro problemi, ma anche a quelli del mondo”. Si trovano
così a dover spiegare e scrivere sugli effetti della CO 2 , sul riscaldamento globale, sui
pesticidi sugli Ogm, senza competenze specifiche e quindi sono costretti a “volgarizzare”
per informare il consumatore, concetti di chimica, agronomia, genetica, che non
conoscono facendo colossali errori di interpretazione e di valutazione.
I viticoltori biodinamici provengono spesso da altre attività e quindi sono spesso preda
della paura irrazionale di dover affrontare gli aspetti spesso incomprensibili del
comportamento delle viti, delle sue reazioni al clima, al terreno, di dover potare o
concimare o trattare malattie di cui non conosce nemmeno il nome.
La scelta è allora quella di affidarsi al consulente esperto di viticoltura, il quale però lascia
poco spazio alle decisioni del proprietario o di affrontare i problemi con soluzioni
alternative all’esperienza o alla conoscenza scientifica, “lasciando fare alla natura”
attraverso i principi della viticoltura biodinamica, che garantisce la sicurezza emotiva, in
quanto riduce il rischio di scelte errate e fornisce la stima e la considerazione degli altri
biodinamici, aggiunge quel tocco creativo personale, al di fuori dei canoni della
coltivazione tradizionale indicati dal mondo scientifico.
Per i cultori della biodinamica la natura agisce per il meglio e sicuramente meglio di
quanto di quanto gli esseri umani possano fare. Questa sorta di naturale saggezza è una
posizione di conseguenzialità che non ritiene cioè che il rispetto della natura sia dovuto in
ossequio a qualche legge, ma al contrario è dovuto in vista delle conseguenze negative se
l’ordine è rifiutato o benefiche se è rispettato. Il “lasciar fare alla natura” non è però una
garanzia, rappresenta il ritorno alla cultura del “buon selvaggio” di Rousseau.
TRAPPOLA PER GONZI
O DISTINZIONE SOCIALE?
Ci si chiede: a chi sono destinati i vini prodotti dalla viticoltura biodinamica o meglio i
produttori di vini biodinamici a chi vorrebbero far bere i loro vini ? Penso si possano dare
due risposte: una cinica del giornalista inglese Nicholas Faith per cui il vino biodinamico
non esiste, è solo un argomento di marketing, una trappola per gonzi. E un’altra, più
elegante, di Pierre Bourdieu esposta nel suo libro “La distinzione: critica sociale del gusto”
(2006), in cui, partendo dalla considerazione che è il senso estetico a dare un significato
alla distinzione, i gusti rappresentano l’affermazione di una differenza. La cosmesi del
corpo, l’arredamento di un’abitazione, la scelta di abiti firmati, la frequentazione di alcuni
ristoranti alla moda, costituiscono altrettante occasioni per affermare la posizione che
viene occupata nello spazio sociale. I produttori sono spinti dalla logica della concorrenza
a produrre vini diversi che si incontrano con i diversi interessi culturali di cui i consumatori
sono debitori alla propria condizione economica e sociale. I consumatori di vini biodinamici
sono infatti i nostalgici (di una agricoltura che non esiste più ma che è rimasta nei loro
ricordi giovanili), gli ex sessantottini (che adesso hanno più di 60 anni, ma che hanno fatto
carriera e spesso anche i soldi con i quali hanno acquistato un pezzo di terra dove fanno
agricoltura biodinamica o qualcosa che gli assomiglia), i militanti di tutte la cause
(insegnanti, artisti, sindacalisti, i contrari all’agroindustria, alla mondializzazione, agli Ogm,
alle multinazionali), gli ecologisti della prima generazione (che vivono tutte le emergenze
ambientali nelle scelte quotidiane di consumo e sono vegetariani o vegani), gli spiriti
curiosi (che vogliono sapere cosa c’è in una bottiglia di vino diversa dalle altre e sono
frequentatori di incontri di degustazione e ben informati sui vini proposti dalle guide).
Spesso queste figure di consumatori diventano anche categorie di produttori biodinamici.
Infatti, scorrendo gli elenchi di queste aziende, si trovano raramente dei viticoltori veri,
quelli che hanno sempre coltivato la vigna e invece sempre più frequentemente industriali,
scrittori, registi o attori che di campagna ne capiscono poco e che cadono con maggiore
facilità nelle mani di qualche imbonitore.
UNA QUESTIONE
DI MODA?
Spesso però l’acquisto di un vino biodinamico è frutto di un “riconoscimento” dell’oggetto
senza comportare la conoscenza degli aspetti distintivi che lo definiscono in modo
specifico, anche perché questi vino sono consumati il più delle volte quasi in semi
clandestinità, in ristoranti di un certo livello, da persone non sempre intenditrici di vino e
non sono disponibili nei tradizionali canali di vendita. Questo rappresenta il vero limite alla
diffusione dei vini biodinamici perché senza delle vere qualità intrinseche, ma solo perché
sono di moda o per il riconoscimento fatto da taluni, sono destinati a vivere il tempo
effimero delle mode e quindi a cadere rapidamente nell’oblio, sostituiti da nuove offerte di
vini alternativi raccolti sotto le sigle più fantasiose e in rapida moltiplicazione (vini veri, da
viticoltura biotica, vin natur, triple a, vini artigianali, vini del contadino, da vinificatori non
professionisti, ecc.) che cercheranno di occupare la nicchia dei vini biodinamici.
LA BIODINAMICA
SALVAGUARDIA
LA BIODIVERSITA’?
Ci si può chiedere anche qual è l’effetto della viticoltura biodinamica sulle condizioni fisico-
chimiche e biologiche di un suolo visto che tra gli obiettivi più importanti del metodo vi è la
salvaguardia della biodiversità tellurica. Numerose ricerche pluriannuali svolte da
organismi ufficiali sia negli Stati Uniti che in Europa hanno accertato che non vi sono
differenze significative nelle caratteristiche dei suoli di vigneti coltivati in regime
biodinamico e tradizionale, né sono state riscontrate differenze nella produzione e nella
composizione chimica dell’uva.
In dettaglio le esperienze di J.Kahl dell’Università di Kassel sulla cristallizzazione sensitiva
e sulla dinamolisi capillare provocata dalla dinamizzazione dei preparati biodinamici.
Queste ricerche sono pubblicate su riviste autorevoli e non riportano né i metodi utilizzati
nelle prove, né i risultati di cambiamenti effettivi nella struttura dei materiali, per cui è
impossibile esprimere un giudizio.
GLI STUDI
INTERNAZIONALI
Studi condotti dalla Dok per molto tempo in Svizzera mostrano gravi lacune nel disegno
sperimentale che non consentono quindi di evidenziare alcuna differenza tra i risultati
ottenuti dalle applicazioni del metodo biodinamico nei confronti di quello biologico preso
come testimone. Inoltre i lotti di terreno trattati con metodo biologico sono stati trattati con
letame leggermente decomposto, mentre i lotti sottoposti a regime biodinamico si è
utilizzato letame “compostato in modo aerobico”, senza tener conto che queste due
diverse fonti di sostanza organica avevano effetti diversi nella chimica del suolo e quindi
sulla risposta delle piante sottoposte ai due regimi di coltivazione. I presunti vantaggi delle
applicazioni biodinamiche sono attribuibili alle maggiori somministrazioni di potassio e
azoto o per contro all’effetto tossico del rame applicato nella viticoltura biologica .I risultati
di ricerche pluriannuali sviluppate a Darmstadt (Germania) tra il 1996 ed il 2005 sono
apparse fortemente lacunose nella descrizione dei trattamenti applicati e parlano
genericamente di un “diverso metabolismo degli aminoacidi nel suolo” senza riportare
l’effetto di queste differenze sulle prestazioni delle piante.
Il Research Institute of Organic Agriculture di Frick in Svizzera, organo deputato allo
sviluppo ed alla diffusione di tecniche di coltivazione biologiche, sostiene che se si
prendono a caso prodotti bio e convenzionali dai banchi del mercato, non si trovano
differenze nutritive apprezzabili.
Recentemente la Hochschule di Geisenheim confrontando i risultati della viticoltura
tradizionale, bio e biodinamica afferma che si ottiene una produzione di uva molto più
bassa nelle viticolture alternative, attribuibile non tanto ai danni dei parassiti, ma a una
mancanza di azoto nella pianta che riduce il peso di grappoli. Non sono invece stati
modificati i parametri fondamentali del mosto e anche gli effetti sul suolo appaiono
insignificanti. In questi ultimi tempi in Italia si sta sviluppando un nuovo atteggiamento sulle
tecniche biodinamiche, più laico, dove non si parla più di corno silice o di corno letame o
dell’uso della vescica di cervo e di altre pozioni magiche ma si fa sempre più ricorso a
termini come biologico, naturale, sostenibile, senza perdere tempo dicono “nelle teorie
antroposofiche che esplorano il cosmo …
CONSIDERAZIONI
FINALI
Probabilmente “la virtù sta nel mezzo”, nella possibilità cioè di utilizzare gli strumenti della
ricerca per dimostrare l’efficacia di alcune “buone pratiche” nella gestione dei vigneti per
raggiungere un prodotto di alta qualità organolettica e nutraceutica.
D’altra parte si può ritenere senz’altro positivo il ruolo epistemico della viticoltura biologica
e biodinamica, con l’obiettivo di stimolare il viticoltore a una più profonda attenzione verso
la natura, anche se al giorno d’oggi il viticoltore non è più vittima della chimica. Forse lo
era 50-60 anni fa quando non si conoscevano i reali rischi dell’impiego di alcuni prodotti
fitoiatrici, ma non ora, per una matura sensibilità ambientale, c’è molta oculatezza nel loro
impiego. La modernità diventa ogni giorno più riflessiva, il che significa che si preoccupa
delle conseguenze involontarie della industrializzazione, della globalizzazione e del rischio
che queste comportano.
È verosimile che nei prossimi anni avremo a disposizione i risultati dei programmi di
miglioramento genetico delle resistenze che molti Paesi europei, tra cui l’Italia, stanno
sviluppando: l’impatto sulla produzione e sul consumatore sarà paragonabile a quello che
è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Ci aspetta una vera innovazione
culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta
convincente a tutti i dubbi che ci poniamo. In questo approccio integrato alla produzione
dell’uva e del vino che vede conciliare efficienza economica, protezione dell’ambiente e
rispetto della salute del consumatore, alla qualità del vino, il contributo della viticoltura di
precisione appare decisivo. In particolare gli sviluppi della ricerca su nuovi sensori per la
valutazione della variabilità spaziale nei vigneti e la relativa influenza sulla qualità dell’uva,
la stima dell’efficienza della chioma sui fenomeni di maturazione e sull’intercettamento dei fitofarmaci, consentono se applicati ad una meccanizzazione dei trattamenti antiparassitari e della raccolta, di realizzare una viticoltura compatibile con la tutela dell’ambiente.
Attilio Scienza
(Da l?ENOLOGO)
(LA PRIMA PARTE è STATA PUBBLICATA MEROLEDI' 15/6)
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