mercoledì 15 giugno 2016

QUANDO IL VINO VIENE FATTO CON LE STELLE (2)

QUANDO IL VINO
VIENE FATTO CON LE STELLE


(SECONDA PARTE)

In questi giorni
abbiamo pubblicato la prima parte dell’articolo del professor Attilio
Scienza sulle motivazioni che starebbero alla base della scelta del biologico e del biodinamico da parte dei consumatori e quindi dei produttori. Un atteggiamento dettato da per lo più fattori ideologici, spesso a discapito della qualità.


IL MITO VINCE

SULLA SCIENZA


Nella valutazione delle motivazioni che portano a scegliere il prodotto biologico e ancor più il biodinamico, di cui si è trattato nella prima parte di questo articolo, si può aggiungere - citando Levy-Strauss (2002) - che siamo di fronte all’ennesimo mito di cui ha bisogno anche l’uomo moderno, desideroso di volare alto, oltre i limiti angusti e desolanti della realtà descritta dal suo rigoroso sapere scientifico. Il pensiero mitico brucia le tappe al

contrario del pensiero scientifico che procede distinguendo i fenomeni e collegandoli in

ordine rigoroso, come afferma Tirelli (2006). Il pensiero mitico propone immediatamente

spiegazioni totali attraverso l’intuizione e il trasporto psicologico. Il pensiero esoterico degli

steineriani non solo fa produrre un buon vino ma ci riappacifica con la natura ferita e

umiliata dall’incoscienza e dalla malvagità dell’uomo tecnologico. Un grande filologo

italiano del ‘900, Carlo Dionisotti, affermava che “il contrasto tra passato e presente, tra

tradizione e innovazione sia stato inasprito in Italia da una maggiore sproporzione fra

termini opposti, dal peso eccessivo della tradizione storico-letteraria e da un insufficiente

sviluppo della nostra cultura scientifica e tecnica”. Auerbach sosteneva che nell’età

barocca, nelle corti francesi, era importante mostrare conoscenza di tutto e di niente: la

non conoscenza era un segno di aristocrazia. Oggi, fatte le debite proporzioni, come dice

l’agronomo-scrittore Pascale, questa strana situazione sembra ripetersi.

IDEALISMO

SENZA PROFESSIONALITA’


Alcuni giovani formati nelle facoltà umanistiche o in quelle delle scienze della

comunicazione, in mancanza di lavoro nei loro specifici settori di competenza, entrano con

miseri compensi nelle associazioni ambientaliste o nei movimenti new age “con il nobile

intento di porre fine non solo ai loro problemi, ma anche a quelli del mondo”. Si trovano

così a dover spiegare e scrivere sugli effetti della CO 2 , sul riscaldamento globale, sui

pesticidi sugli Ogm, senza competenze specifiche e quindi sono costretti a “volgarizzare”

per informare il consumatore, concetti di chimica, agronomia, genetica, che non

conoscono facendo colossali errori di interpretazione e di valutazione.

I viticoltori biodinamici provengono spesso da altre attività e quindi sono spesso preda

della paura irrazionale di dover affrontare gli aspetti spesso incomprensibili del

comportamento delle viti, delle sue reazioni al clima, al terreno, di dover potare o

concimare o trattare malattie di cui non conosce nemmeno il nome.

La scelta è allora quella di affidarsi al consulente esperto di viticoltura, il quale però lascia

poco spazio alle decisioni del proprietario o di affrontare i problemi con soluzioni

alternative all’esperienza o alla conoscenza scientifica, “lasciando fare alla natura”

attraverso i principi della viticoltura biodinamica, che garantisce la sicurezza emotiva, in

quanto riduce il rischio di scelte errate e fornisce la stima e la considerazione degli altri

biodinamici, aggiunge quel tocco creativo personale, al di fuori dei canoni della

coltivazione tradizionale indicati dal mondo scientifico.

Per i cultori della biodinamica la natura agisce per il meglio e sicuramente meglio di

quanto di quanto gli esseri umani possano fare. Questa sorta di naturale saggezza è una

posizione di conseguenzialità che non ritiene cioè che il rispetto della natura sia dovuto in

ossequio a qualche legge, ma al contrario è dovuto in vista delle conseguenze negative se

l’ordine è rifiutato o benefiche se è rispettato. Il “lasciar fare alla natura” non è però una

garanzia, rappresenta il ritorno alla cultura del “buon selvaggio” di Rousseau.

TRAPPOLA PER GONZI

O DISTINZIONE SOCIALE?


Ci si chiede: a chi sono destinati i vini prodotti dalla viticoltura biodinamica o meglio i

produttori di vini biodinamici a chi vorrebbero far bere i loro vini ? Penso si possano dare

due risposte: una cinica del giornalista inglese Nicholas Faith per cui il vino biodinamico

non esiste, è solo un argomento di marketing, una trappola per gonzi. E un’altra, più

elegante, di Pierre Bourdieu esposta nel suo libro “La distinzione: critica sociale del gusto”

(2006), in cui, partendo dalla considerazione che è il senso estetico a dare un significato

alla distinzione, i gusti rappresentano l’affermazione di una differenza. La cosmesi del

corpo, l’arredamento di un’abitazione, la scelta di abiti firmati, la frequentazione di alcuni

ristoranti alla moda, costituiscono altrettante occasioni per affermare la posizione che

viene occupata nello spazio sociale. I produttori sono spinti dalla logica della concorrenza

a produrre vini diversi che si incontrano con i diversi interessi culturali di cui i consumatori

sono debitori alla propria condizione economica e sociale. I consumatori di vini biodinamici

sono infatti i nostalgici (di una agricoltura che non esiste più ma che è rimasta nei loro

ricordi giovanili), gli ex sessantottini (che adesso hanno più di 60 anni, ma che hanno fatto

carriera e spesso anche i soldi con i quali hanno acquistato un pezzo di terra dove fanno

agricoltura biodinamica o qualcosa che gli assomiglia), i militanti di tutte la cause

(insegnanti, artisti, sindacalisti, i contrari all’agroindustria, alla mondializzazione, agli Ogm,

alle multinazionali), gli ecologisti della prima generazione (che vivono tutte le emergenze

ambientali nelle scelte quotidiane di consumo e sono vegetariani o vegani), gli spiriti

curiosi (che vogliono sapere cosa c’è in una bottiglia di vino diversa dalle altre e sono

frequentatori di incontri di degustazione e ben informati sui vini proposti dalle guide).

Spesso queste figure di consumatori diventano anche categorie di produttori biodinamici.

Infatti, scorrendo gli elenchi di queste aziende, si trovano raramente dei viticoltori veri,

quelli che hanno sempre coltivato la vigna e invece sempre più frequentemente industriali,

scrittori, registi o attori che di campagna ne capiscono poco e che cadono con maggiore

facilità nelle mani di qualche imbonitore.

UNA QUESTIONE

DI MODA?


Spesso però l’acquisto di un vino biodinamico è frutto di un “riconoscimento” dell’oggetto

senza comportare la conoscenza degli aspetti distintivi che lo definiscono in modo

specifico, anche perché questi vino sono consumati il più delle volte quasi in semi

clandestinità, in ristoranti di un certo livello, da persone non sempre intenditrici di vino e

non sono disponibili nei tradizionali canali di vendita. Questo rappresenta il vero limite alla

diffusione dei vini biodinamici perché senza delle vere qualità intrinseche, ma solo perché

sono di moda o per il riconoscimento fatto da taluni, sono destinati a vivere il tempo

effimero delle mode e quindi a cadere rapidamente nell’oblio, sostituiti da nuove offerte di

vini alternativi raccolti sotto le sigle più fantasiose e in rapida moltiplicazione (vini veri, da

viticoltura biotica, vin natur, triple a, vini artigianali, vini del contadino, da vinificatori non

professionisti, ecc.) che cercheranno di occupare la nicchia dei vini biodinamici.

LA BIODINAMICA

SALVAGUARDIA

LA BIODIVERSITA’?


Ci si può chiedere anche qual è l’effetto della viticoltura biodinamica sulle condizioni fisico-

chimiche e biologiche di un suolo visto che tra gli obiettivi più importanti del metodo vi è la

salvaguardia della biodiversità tellurica. Numerose ricerche pluriannuali svolte da

organismi ufficiali sia negli Stati Uniti che in Europa hanno accertato che non vi sono

differenze significative nelle caratteristiche dei suoli di vigneti coltivati in regime

biodinamico e tradizionale, né sono state riscontrate differenze nella produzione e nella

composizione chimica dell’uva.

In dettaglio le esperienze di J.Kahl dell’Università di Kassel sulla cristallizzazione sensitiva

e sulla dinamolisi capillare provocata dalla dinamizzazione dei preparati biodinamici.

Queste ricerche sono pubblicate su riviste autorevoli e non riportano né i metodi utilizzati

nelle prove, né i risultati di cambiamenti effettivi nella struttura dei materiali, per cui è

impossibile esprimere un giudizio.

GLI STUDI

INTERNAZIONALI


Studi condotti dalla Dok per molto tempo in Svizzera mostrano gravi lacune nel disegno

sperimentale che non consentono quindi di evidenziare alcuna differenza tra i risultati

ottenuti dalle applicazioni del metodo biodinamico nei confronti di quello biologico preso

come testimone. Inoltre i lotti di terreno trattati con metodo biologico sono stati trattati con

letame leggermente decomposto, mentre i lotti sottoposti a regime biodinamico si è

utilizzato letame “compostato in modo aerobico”, senza tener conto che queste due

diverse fonti di sostanza organica avevano effetti diversi nella chimica del suolo e quindi

sulla risposta delle piante sottoposte ai due regimi di coltivazione. I presunti vantaggi delle

applicazioni biodinamiche sono attribuibili alle maggiori somministrazioni di potassio e

azoto o per contro all’effetto tossico del rame applicato nella viticoltura biologica .I risultati

di ricerche pluriannuali sviluppate a Darmstadt (Germania) tra il 1996 ed il 2005 sono

apparse fortemente lacunose nella descrizione dei trattamenti applicati e parlano

genericamente di un “diverso metabolismo degli aminoacidi nel suolo” senza riportare

l’effetto di queste differenze sulle prestazioni delle piante.

Il Research Institute of Organic Agriculture di Frick in Svizzera, organo deputato allo

sviluppo ed alla diffusione di tecniche di coltivazione biologiche, sostiene che se si

prendono a caso prodotti bio e convenzionali dai banchi del mercato, non si trovano

differenze nutritive apprezzabili.

Recentemente la Hochschule di Geisenheim confrontando i risultati della viticoltura

tradizionale, bio e biodinamica afferma che si ottiene una produzione di uva molto più

bassa nelle viticolture alternative, attribuibile non tanto ai danni dei parassiti, ma a una

mancanza di azoto nella pianta che riduce il peso di grappoli. Non sono invece stati

modificati i parametri fondamentali del mosto e anche gli effetti sul suolo appaiono

insignificanti. In questi ultimi tempi in Italia si sta sviluppando un nuovo atteggiamento sulle

tecniche biodinamiche, più laico, dove non si parla più di corno silice o di corno letame o

dell’uso della vescica di cervo e di altre pozioni magiche ma si fa sempre più ricorso a

termini come biologico, naturale, sostenibile, senza perdere tempo dicono “nelle teorie

antroposofiche che esplorano il cosmo …

CONSIDERAZIONI

FINALI


Probabilmente “la virtù sta nel mezzo”, nella possibilità cioè di utilizzare gli strumenti della

ricerca per dimostrare l’efficacia di alcune “buone pratiche” nella gestione dei vigneti per

raggiungere un prodotto di alta qualità organolettica e nutraceutica.

D’altra parte si può ritenere senz’altro positivo il ruolo epistemico della viticoltura biologica

e biodinamica, con l’obiettivo di stimolare il viticoltore a una più profonda attenzione verso

la natura, anche se al giorno d’oggi il viticoltore non è più vittima della chimica. Forse lo

era 50-60 anni fa quando non si conoscevano i reali rischi dell’impiego di alcuni prodotti

fitoiatrici, ma non ora, per una matura sensibilità ambientale, c’è molta oculatezza nel loro

impiego. La modernità diventa ogni giorno più riflessiva, il che significa che si preoccupa

delle conseguenze involontarie della industrializzazione, della globalizzazione e del rischio

che queste comportano.

È verosimile che nei prossimi anni avremo a disposizione i risultati dei programmi di

miglioramento genetico delle resistenze che molti Paesi europei, tra cui l’Italia, stanno

sviluppando: l’impatto sulla produzione e sul consumatore sarà paragonabile a quello che

è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Ci aspetta una vera innovazione

culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta

convincente a tutti i dubbi che ci poniamo. In questo approccio integrato alla produzione
dell’uva e del vino che vede conciliare efficienza economica, protezione dell’ambiente e

rispetto della salute del consumatore, alla qualità del vino, il contributo della viticoltura di

precisione appare decisivo. In particolare gli sviluppi della ricerca su nuovi sensori per la

valutazione della variabilità spaziale nei vigneti e la relativa influenza sulla qualità dell’uva,

la stima dell’efficienza della chioma sui fenomeni di maturazione e sull’intercettamento dei fitofarmaci, consentono se applicati ad una meccanizzazione dei trattamenti antiparassitari e della raccolta, di realizzare una viticoltura compatibile con la tutela dell’ambiente.

Attilio Scienza
(Da l?ENOLOGO) 

(LA PRIMA PARTE è STATA PUBBLICATA MEROLEDI' 15/6)

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