La coltivazione
del luppolo in Italia
Soddisfazioni
per i pionieri
del settore
Negli ultimi tempi si è parlato molto della coltivazione di luppolo in Italia, quanto fattibile sia e quali siano i risvolti pratici nell’utilizzo in produzione, ma la situazione è ancora in cntinuo divenire. Per capire qualcosa in più abbiamo interpellato alcuni dei protagonisti di questa realtà birraria tutta tricolore che vivono da vicino la vicenda.
Ad esempio quali siano le varietà utilizzate, le modalità, lo stato dell’opera attuale e cosa ci riservi il futuro.Primo tra tutti Eugenio Pellicciari di Ihc, Italian hops company, la realtà che sta dando un’importante forma al sogno di un luppolo tutto italiano: «Il programma di ricerca sul luppolo autoctono italiano nasce nel 2011 in provincia di Modena dando vita ad un progetto a cui collaborano il comune di Marano sul Panaro (Mo), l'Università di Parma e Ihc. Dallo stesso anno è iniziata la raccolta di un luppolo autoctono nella zona maranese, in tutto il nord e non solo: sono stati reperiti esemplari in Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino, Toscana, Emilia Romagna, e addirittura genotipi provenienti da alte zone della Valle d'Aosta e dalla Calabria».
E a Marano cosa fate?
Ad oggi nel campo sperimentale ci occupiamo di un'ottantina di varietà e anche di una quindicina di cultivar commerciali americane, britanniche, polacche e tedesche. Tutte le piante vengono analizzate, confrontiamo le caratteristiche delle varietà commerciali e di quelle dei genotipi indigeni. Vengono condotte analisi chimiche, fisiche e genetiche. Stiamo svolgendo anche attività sull'impollinazione controllata e in questo momento abbiamo circa 200 esemplari F1 studiati. Inoltre il prossimo autunno inaugureremo una serra indoor per sviluppare il miglior metodo di allevamento, velocizzarlo e renderlo efficiente.
Eugenio Pellicciari
A che punto è il lavoro?
Negli anni sono state effettuate molte attività per sviluppare il progetto di ricerca e per questo sono stati visitati molti coltivatori e professionisti stranieri, in Germania come in Slovenia, in Repubblica Ceca e negli Stati Uniti. Ihc ha da sempre scelto di collaborare con produttori e fornitori stranieri al fine di realizzare una coltivazione con il medesimo approccio e con la medesima tecnica e scienza già utilizzate storicamente nei luoghi tradizionali di crescita. Il nostro primo impianto produttivo è stato infatti realizzato da impiantisti di Tettnang, e sempre in Germania abbiamo acquistato i macchinari per le lavorazioni: esfogliatrice - hop picking machine -, essiccatoio, pressa, cutting machine, cestello per le lavorazioni in campo, e per la parte agronomica di analisi e trasformazione collaboriamo con alcune delle grandi aziende leader nel settore del luppolo. Abbiamo infatti un’attiva e collaborativa partnership con HopSteiner (Germania/Stati Uniti), Hop Head Farm (Stati Uniti) e con il consorzio dei coltivatori di Tettnang (Germania).
E i vostri luppoli?
Nel 2017 i luppoli di produzione Ihc sono risultati conformi a certificazione e sono stati pellettati in un impianto di pellettizzazione austriaco. Sono inoltre state registrate le prime tre varietà italiane: Æmilia, Futura, Mòdna. Nel 2018 abbiamo sviluppato una filiera propria: in primis la rete di coltivatori che collaborano con Ihc, poi la costruzione di hopfengarten e la fornitura di tutti i materiali necessari, il vivaio, il rifornimento e la riparazione di macchinari, le analisi, il packaging. Stiamo crescendo: ad oggi contiamo 11,5 ettari di cui 2,5 sono in piena produzione, 5 sono al secondo anno in crescita, 4 sono baby hop al primo anno, altri 3 ettari sono previsti per la piantumazione nel 2019.
Insomma, si può davvero parlare dell’esistenza e utilizzo di un luppolo tutto italiano?
Direi proprio di si!
Teo Musso
Anche il pioniere Teo Musso ha qualcosa da dire al riguardo: «Da quando, nel 2008, in collaborazione con l’istituto di agraria di Cussanio (Cn) Baladin ha iniziato la coltivazione del luppolo, tanti passi avanti sono stati fatti. Abbiamo contribuito a creare una macchina per la separazione dei fiori (Italian hop machine), sono nate aziende specializzate nella coltivazione e alcuni birrifici hanno iniziato a credere in questa filiera agricola. Noi stessi abbiamo ampliato le coltivazioni e stiamo usando il luppolo locale non solo per la Nazionale, la prima birra 100% italiana, ma anche per altri prodotti e l’intenzione è di completare la gamma nei prossimi anni. Il percorso di ricerca di un luppolo italiano è in fase di sviluppo ma, indipendentemente dall’individuare un ceppo autoctono originale, ogni pianta subisce l’influenza del terreno e delle condizioni climatiche dei territori in cui viene coltivata, e gli aromi, seppur riconducibili agli standard originali, sono profondamente differenti. Considero importante che i birrifici italiani usino materie prime locali per rivendicare la loro territorialità, contribuendo a far sì che la coltivazione diventi di interesse nazionale e stimoli l’attenzione delle istituzioni».
Raimondo Cetani
Altro importante protagonista è Raimondo Cetani del Birrificio Hibu a cui abbiamo chiesto qualche numero per fare chiarezza nel comparto brassicolo: «Il lavoro magistrale di molti birrai italiani ha portato al riconoscimento di qualità della birra italiana, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui si tocca il massimo storico di 15,6 milioni di ettolitri di birra prodotti nel 2017, un milione di ettolitri circa in più dell’anno precedente, di cui 2,7 milioni destinati all’export (+7,9%, report Assobirra 2017). Questo successo ha dato spinta anche all’agricoltura, nella produzione di materie prime quali malto e luppolo. La coltivazione di quest’ultimo in Italia è arrivata a 50 ettari coltivati, di cui circa il 20% portata avanti in modo professionale, mentre la restante superficie riguarda hobbisti. È un risultato molto importante e in continua espansione: ciò mostra la necessità di trovare selezioni italiane per mantenere alta la spinta alla coltivazione. Da tre anni insieme all’Università di Parma, il Birrificio Hibu porta avanti un progetto di ricerca sulla selezione di luppoli spontanei lombardi. Abbiamo sempre dimostrato un grande legame con il nostro territorio per le sue produzioni, e grande lungimiranza nelle innovazioni, tra cui il possibile inserimento di luppoli provenienti dal territorio lombardo per la produzione di birre veramente speciali e italiane al 100%».
Grazie a loro e agli altri birrai che stanno lavorando su questo tema si è potuto dimostrare che coltivare, trasformare e commercializzare il luppolo italiano è possibile, ciò che si definiva infattibile e irrealizzabile sta avendo un senso vero. Ora non resta che mantenersi aggiornati perché mese dopo mese gli sviluppi sono assicurati, e le birre 100% italiane sono da assaggiare.
di Giovanni Angelucci
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