mercoledì 3 ottobre 2018

Made in Italy non basta Oltre al marchio serve la squadra

Made in Italy 

non basta
Oltre al marchio 

serve la squadra

PI maligni tentativi di screditare il mangiare italiano sono stati spenti dall'Onu che ha detto no ai bollini allarmisti. Serve però maggior fiducia nei nostri mezzi per promuovere e difendere il Made in Italy



Per ora possiamo tirare un sospiro di sollievo. Le “etichette da bollino nero” o a “a semaforo” per scoraggiare il consumo di prodotti tipici del Made in Italy, dal formaggio all’olio, non saranno in alcun modo promosse dall’Onu. La campagna, lanciata in particolare da alcuni Paesi europei (del nord e dell’est) per colpire la Dieta mediterranea, a loro dire troppo ricca di grassi, zuccheri e sali, al momento si è arrestata.

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La questione riguardava le cosiddette malattie non trasmissibili, ma legate ad abitudini, soprattutto alimentari, causa di morte di quasi 41 milioni di persone all’anno, ben sette morti su dieci. Una situazione assolutamente preoccupante, ma che andrebbe affrontata partendo da indagini serie sulle tecniche di lavorazione, sull’utilizzo di alcune sostanze conservanti e sugli stili di vita. Solo studi bizzarri e irrispettosi della realtà possono sostenere che l’Evo, l’olio extravergine di oliva, da sempre usato anche a scopo curativo nel Mediterraneo, possa uccidere qualcuno. Salvo che se ne bevano litri ogni giorno, magari dopo averli usati nella frittura. E lo stesso vale per il Parmigiano e il Gorgonzola. Diverso, ovviamente, il caso di gamberi o bovini allevati fra ormoni e antibiotici dalle multinazionali del cibo internazionale. Ma di questi ovviamente non si parla mai...

Dunque almeno per il momento il cibo italiano non rischia di essere bannato. Ma certo questo non ci deve spingere a pensare che non ci possano essere problemi nel futuro, anche a breve. Dobbiamo alzare la guardia e valorizzare al massimo il nostro stile di vita e la qualità dei nostri prodotti. L’agricoltura italiana oggi è fra le più sicure al mondo, così come i ristoranti italiani sono fra i più sicuri al mondo. Non diciamo questo per senso di patriottismo o di spirito sovranista, come oggi sembra essere di moda, ma solo perché questa è una realtà che dobbiamo fare conoscere al mondo intero. È uno dei motivi per cui il nostro turismo può crescere a ritmi decisamente superiori, basta presentarci come il Paese del buon vivere e del mangiare sano.

E se finora non ci siano riusciti è per quell’atteggiamento tipicamente italiano che sminuisce i nostri valori e ci porta inevitabilmente a non considerare l’importanza di lavorare in gruppo con obiettivi comuni. Contadini contro industriali, trasformatori contro commercianti, innovatori contro tradizionalisti, Comune contro Comune. Le ragioni per affrontare i mercati divisi sono innumerevoli, ma è ora di dire basta. Fare squadra è oggi più che mai necessario. Ed è tempo che anche il mondo dell’enogastronomia lo capisca e ponga rimedio.

C’è per fortuna anche chi sembra avere afferrato il concetto, decidendo di fare del nostro cibo un biglietto da visita a livello internazionale. È il caso di Bergamo che, sull’esempio positivo di quanto fatto da Parma ed Alba, ha deciso di candidarsi a Città Creativa Unesco per l’enogastronomia. Il capoluogo orobico, coinvolgendo anche aree montane di Lecco e Sondrio, ha deciso di fare squadra in nome dell’eccellenza dei formaggi che, con 9 Dop prodotte sul territorio, ne fanno la capitale europea del settore.

Unire le forze di tutti (mandriani, contadini, trasformatori, commercianti e istituzioni) è stato il primo passo per muoversi insieme senza gelosie, creando quella squadra che da sempre sollecitiamo a livello nazionale e che è indispensabile per promuovere e fare conoscere prodotti di assoluta qualità e sicurezza, facendone un simbolo capace di richiamare gente da tutto il mondo. Solo così si può cercare di evitare i rischi di altre delibere a rischio da parte dell’Onu.
Alberto Lupini


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