Vinsanto Farnito di Carpineto |
al piacere
I vini dolci furono particolarmente apprezzati anche alla corte papale.
Ce ne offre un panorama, prezioso quanto accurato, un documento stilato da Sante Lancerio negli anni del pontificato di Paolo III Farnese (1534-1549) che in cucina ebbe i servigi di maestri dell'arte culinaria come Giovanni de Rosselli e poi Bartolomeo Scappi.
Sante Lancerio ebbe l'ambito titolo di "bottigliere" con l'alta responsabilità degli approvvigionamenti di vino per il Papa, sia in sede che in viaggio. Nelle sue memorie troviamo un panorama dei costumi di vino nella Roma rinascimentale. Dice il Lancerio che il moscatello è "da osti e per coloro che corrono alla faglietta e agli ubriaconi per scaldarsi". Tra i dolci vini Sua Santità apprezzava la Malvasia con la quale faceva anche gargarismi, e un Greco di Somma Vesuviana che non solo apprezzava a tavola, ma con cui era solito "bagnare gli occhi ogni mattina e anco le parti virili".
Due secoli dopo comincia la storia del Marsala, John Woodhouse di Liverpool lo impone prepotentemente nel mercato internazionale. Tanto che nel 1798 poco prima della famosa battaglia di Abukir ottenne da Nelson una consistente commessa per il suo Marsala che sostituì i! Rhum sulle navi inglesi.
Il Marsala si sarebbe affermato anche in gastronomia. Le famose scaloppe di vitello e il classico zabaione lo avrebbero avuto come ingrediente indispensabile. E la sua consacrazione recente venne quando il grande Nino Bergese, re dei cuochi e cuoco da re, lo indicò come ingrediente indispensabile nella sua classica ricetta della Finanziera.
Con tutto ciò è pur vero che in tempi recenti il dolce ha assunto una connotazione progressivamente negativa nell'immaginario sensoriale collettivo dell'Occidente.
Non so chi incolparne. Forse in parte l'avvento dello Champagne e da noi del prosecco.
Recioto della Valpolicella di Villa Girardi |
Nel 1864 venne inventata la prima dieta dimagrante ipocalorica, naturalmente senza zuccheri. L'Occidente che per secoli aveva conosciuto malattie sociali legate alla fame si trovò da allora ad affrontare quelle dovute alla superalimentazione. E in più forse un inconscio senso di colpa per bruciare da solo la metà delle risorse energetiche del ', mondo. Precedentemente il potere e la salute rivestivano gli uomini di forme opulente.
Le ragazze erano fatte di "Sugar and Spice/ and everything nice" come diceva una rima anglosassone. E da noi un adagio recitava "Bello grasso si dice assai/ bello secco non si disse mai". Oggi invece è la magrezza il simbolo di potere, di efficienza e di energia.
Il dolce - e i vini dolci - devono esser sacrificati perché fanno ingrassare. Negli Stati Uniti il consumo annuo pro capite di dolcificanti passa dalle 5-7 libbre del 1965 a 17 libbre nel 1988, e nel decennio successivo prosegue la sua ascesa vertiginosa e innaturale. La cioccolata è "sinful" peccaminosa e trasgressiva. In America le coppie smettono di chiamarsi "honey" e adottano appellativi con meno calorie.
Quando poi gli zuccheri appaiono nelle analisi cliniche, è allarme rosso. Sembra quasi che il corpo postmoderno non abbia posto per il dolce e gli zuccheri. Li sostituiscono i più vari infusi minerali o capsule -nuovi bon bons- piene di ferro, zinco, magnesio. -, Il dolce far niente è condannato, la Dolce Vita, col suo corollario di Dolci Inganni, ha fatto posto alla Vita Agra. Finiti sono i tempi in cui si diceva 'Dolce il caffè, amare le donne". Ed è anche cambiato il senso di "Casa dolce casa". -
Questo processo naturalmente riguarda anche il vino, che negli ultimi decenni è divenuto sempre più secco, sempre più brut, sempre più amaro. "Vino amaro tienilo caro" ammonisce un proverbio, mentre un altro mette in guardia contro i cattivi effetti di quello dolce "Al vin dolce le brache leste". Nei mass-media assistiamo a una massiccia offensiva pubblicitaria di amari. Ce n'è uno che promette "il gusto pieno della vita", mentre un altro si presenta come "l'amarissimo che fa benissimo". -
In Toscana il vino dolce è relegato a far compagnia, in quel che resta della tradizione popolare, alle castagne che si danno ai bambini per Carnevale, mentre il grande Vin Santo è umiliato a far da zuppa per marmorei Cantuccini, per poi farsi bere impastato di briciole -un'abitudine recente, autentica come il Mulino Bianco.
Invece la tradizione dei grandi vini dolci italiani è solida, profonda e merita i nostri sforzi per riportarla a nuova vita.
Schwarzwaldertorte |
Nel suo grande catalogo dei vini d'Italia un amico recentemente scomparso, Riccardo Di Corato, elencava 2214 vini, dei quali 317 da fine pasto di tutte le regioni italiane.
Basta questo dato a provare l'indescrivibile importanza dei vini dolci della nostra tradizione e la loro indispensabile presenza nella nuova cucina italiana paradossalmente sempre più regionale ed internazionale insieme.
Dobbiamo far uscire i grandi vini dolci d'Italia dalle "nicchie" di mercato di gusto ove sono ingiustamente relegati.
Dobbiamo ricordare, e insegnare a chi pare ignorarlo o averlo dimenticato, che il buon mangiare all'italiana resta un delicato e armonioso percorso tra il salato, l'amaro, l'acido e il dolce.
Nessun commento:
Posta un commento