giovedì 1 ottobre 2020

Cibi etnici sulle nostre tavole Ecco la blacklist dei più pericolosi

Cibi etnici sulle nostre tavole
Ecco la blacklist 

dei più pericolosi


I peperoncini della Repubblica Dominicana e dell’India sono gli alimenti meno sicuri che arrivano nei nostri piatti per presenza di pesticidi. Poi, bacche di Goji cinesi e riso pakistano.

Con un campione su cinque (20%) risultato irregolare per la presenza di residui chimici, i peperoncini piccanti provenienti da Repubblica Dominicana e India sono il prodotto alimentare meno sicuro presente sulle tavole degli italiani. Ma a preoccupare per gli elevati livelli di contaminazione sono nell’ordine le bacche di Goji provenienti dalla Cina ed il riso dal Pakistan che salgono sul podio. È quanto emerge dalla “Black list dei cibi più contaminati” presentata dalla Coldiretti sulla base degli ultimi rapporti elaborati dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) sui Residui dei Fitosanitari in Europa e dal Ministero della Salute sul “Controllo ufficiale sui residui dei prodotti fitosanitari degli alimenti.
 
Il podio degli alimenti più pericolosi - Cibi etnici sulle nostre tavole Ecco la blacklist dei più pericolosi
Il podio degli alimenti più pericolosi

Nella classifica dei dieci prodotti più contaminati ci sono però anche i melograni dalla Turchia con un quasi un campione irregolare su dieci (9,1%), il tè dalla Cina, l’okra (o gombo) dalle sembianze di una piccola zucchina importata dall’India, il dragon fruit proveniente dall’Indonesia dall’aspetto particolarmente decorativo, i fagioli secchi provenienti dal Brasile ed i peperoni dolci e le olive da tavola provenienti dall’Egitto che godono peraltro di un regime agevolato a dazio zero da parte dell’Unione Europea.
 
Si tratta di prodotti arrivati in Italia con elevati livelli di irregolarità perché contaminati dalla presenza di insetticidi, che spesso non sono neanche più ammessi dalla legislazione nazionale ed europea, come avviene nel caso di Dicofol, Acephate, Permethrin, Chlorfenapyr, Methamidophos riscontrati nei peperoncini, del Tricyclazole nel riso dal Pakistan, del Isoprothiolane negli esotici dragon fruit e di Fenpropimorph, Procymidone, Propoxur, Methamidophos nei fagioli secchi brasiliani.
 
Non si tratta tuttavia di casi isolati poiché dai risultati delle analisi risulta che i prodotti alimentari importati in Italia, con l’1,9% di campioni esaminati irregolari, sono ben 3 volte più pericolosi dei prodotti di origine nazionale per i quali solo lo 0,6% dei prelievi è risultato non conforme ai limiti di legge consentiti. La situazione è ancora più rischiosa per quelli di origine extracomunitaria per i quali la percentuale di irregolarità secondo l’Efsa sale al’5,8%, ben otto volte superiore ai prodotti Made in Italy.
 
Si confermano le preoccupazioni espresse recentemente dalla Corte dei Conti europea sulle sostanze chimiche negli alimenti che ha denunciato il mancato rispetto nei cibi di provenienza extra Ue degli stessi standard di sicurezza Ue sui residui di pesticidi e si chiede alla Commissione europea di spiegare “quali misure intende adottare per mantenere lo stesso livello di garanzia sia per gli alimenti prodotti nella Ue che per quelli importati”.
 
Un aiuto ai consumatori viene dall’obbligo di indicare il Paese di origine in etichetta che, grazie al pressing della Coldiretti, è in vigore per la maggioranza degli alimenti in vendita, dalla frutta alla verdura fresca, dalla pasta al riso, dalle conserve di pomodoro ai prodotti lattiero caseari, dal miele alle uova, dalla carne bovina a quella di pollo fino ai salumi per i quali è stato da poco pubblicato il decreto. «È necessario però che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della sicurezza dei consumatori» ha concluso il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che «che dietro gli alimenti, italiani e stranieri in vendita sugli scaffali ci deve essere la garanzia di un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore».

D’altra parte però va anche evidenziato che i consumi domestici di alimenti biologici in Italia raggiungono la cifra record di 3,3 miliardi per effetto di una crescita del 4,4% nell’anno terminante a giugno 2020 sotto la spinta della svolta green degli italiani favorita dall’emergenza Covid. È quanto emerge dal rapporto “Bio in cifre 2020” presentato dell’Ismea all’incontro organizzato dalla Coldiretti per la presentazione del rapporto annuale del Sinab (Sistema di Informazione Nazionale sull’agricoltura biologica) che registra i principali numeri del settore in Italia: mercato, superfici, produzioni del biologico italiano con le tendenze e gli andamenti storici.
 
La situazione emergenziale ha consolidato una tendenza alla crescita del settore che va avanti da oltre un decennio. Si conferma la spinta che la grande distribuzione organizzata sta imprimendo al mercato biologico mostrando, durante il lockdown, un incremento delle vendite nei supermercati dell’11%. Gli italiani tendono a premiare il biologico nel fresco con aumenti del 7,2% per gli ortaggi e in alcune categorie specifiche come le uova che crescono del 9,7% nelle vendite secondo l’Ismea.
 
Sul piano produttivo l’Italia è nel 2019 il primo Paese europeo per numero di aziende agricole impegnate nel biologico dove sono saliti a ben a 80643 gli operatori coinvolti (+2%) mentre anche le superfici coltivate a biologico sono arrivate a sfiorare i 2 milioni di ettari (+2%). L’incidenza della superficie biologica nel nostro Paese ha raggiunto nel 2019 il 15,8% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) a livello nazionale, e questo posiziona l’Italia di gran lunga al di sopra della media UE, che nel 2018 si attestava all’8%, e a quella dei principali Paesi produttori come Spagna (10,1%), Germania (9,07%) e Francia (8,06%).
 
Da sottolineare peraltro l’aumento delle importazioni di prodotti biologici da Paesi extracomunitari con un incremento complessivo del 13,1% delle quantità totali nel 2019 rispetto all’anno precedente. I cereali, le colture industriali e la frutta fresca e secca sono le categorie di prodotto biologico più importate, con un'incidenza rispettivamente del 30,2%, 19,5% e 17,0%. I tassi di crescita delle importazioni bio piu’ rilevanti si sono avuti per la categoria di colture industriali (+35,2%), di cereali (16,9%) e per la categoria che raggruppa caffè, cacao, zuccheri, tè e spezie (+22,8%).
italiaatavola

© Riproduzione riservata 

Nessun commento:

Posta un commento