lunedì 26 marzo 2018

Dal settore lattiero- caseario italiano

Il settore lattiero-

caseario italiano
Dai problemi 

alla necessità 

di crescita

Secondo uno studio Sda Bocconi , emerge una carenza di operatori di grandi dimensioni e quindi una certa sofferenza per la filiera lattiero-casearia italiana. 

Si parla di un settore che necessita di crescere, per dare sviluppo al Sistema Paese. Le ragioni sono chiare. Minore dimensione implica minore produttività, e quindi minore capacità di export; la minore capacità di innovare è data invece da minori risorse investibili in ricerca e sviluppo o in progetti di crescita organica. Minore dimensione implica anche maggiore rigidità finanziaria.

(Il settore lattiero-caseario Dai problemi alla necessità di crescita)

Questi temi, che sono trasversali a più settori, caratterizzano anche quello lattiero-caseario, composto in misura prevalente da operatori conferenti latte, e di piccola dimensione. Proprio la dimensione è fattore cruciale nel settore lattiero-caseario, dove i 2/3 delle imprese è collocato nelle due classi dimensionali più piccole e dove esiste una forte discrepanza dimensionale fra parte alta (produttori) e parte bassa (trasformatori) di filiera.

Nell'Ue, principale area mondiale di produzione di latte (con un tasso di approvvigionamento del 113%), il settore italiano del latte è quello che sta attraversando la fase più critica, principalmente a causa di costi di produzione nazionale mediamente più elevanti (di circa 3,3 euro / 100 kg) rispetto a quelli degli altri principali produttori Ue, tra cui in particolare Francia e Germania.
I costi di produzione aziendali, estremamente diversificati da azienda ad azienda, variano prevalentemente in funzione della dimensione aziendale, diminuendo all'aumentare della produzione annua o del numero dei capi. Nel settore il rapporto domanda-offerta è di 1:20 in termini di numerosità di operatori. I soggetti che operano a livello industriale nella trasformazione del latte si interfacciano con molti operatori di ridotta dimensione, contraddistinti in media da bassi livelli di produttività.

L'effetto è un costo netto di produzione del latte pari mediamente a 43 euro / 100 kg, ma con valori oscillanti tra i 30 e i 60 euro ogni cento chili, a seconda delle dimensioni degli operatori.

La crescita delle imprese sembra essere inevitabilmente necessaria per aumentare la competitività, favorita dai grandi operatori del settore, che stimolano un effetto "traino". Proprio gli attuali squilibri infatti, possono essere colmati grazie all'attività degli operatori di maggiore dimensione.

«La presenza di operatori con massa critica rilevante e maggiore produttività, è fondamentale per creare valore "indotto" nel resto della filiera, come dimostra la ricerca: la crescita di questi operatori comporta la crescita delle imprese ad essi "collegate", con un effetto traino fondamentale per la creazione di valore per il Sistema Italia»: così si è espresso Matteo
Vizzaccaro, coordinatore del team di ricerca composto da Giulia Negri, Chiara Pirrone, Ilaria Cavalleri e Arianna Pisciella.

La stima dell'impatto economico e sociale di Parmalat è stata svolta proprio in questa prospettiva, nella piena consapevolezza che lo sviluppo del settore risiede nella complementarità delle parti che lo compongono.

Ecco allora che investimenti organici, M&A, internazionalizzazione e ottimizzazione del rapporto con il mercato dei capitali sono le leve per guidare la crescita, con una costante attenzione alle performance in ambito ambientale, sociale e di governance.

Parmalat, in questo contesto, è uno dei pochi grandi operatori del settore. Cassa operativa in crescita media del 5% su base annua, 1,5 miliardi di euro investiti in 10 anni (dati al 2016), 141 milioni di euro d'investimento medi annui ad un tasso di crescita vicino all'8%, basso indebitamento, alta capitalizzazione e conseguente basso profilo di rischio. Questi gli ingredienti per un'incidenza sul Pil nazionale nell'ordine del 1,638 miliardi di euro. 134mila persone coinvolte dal punto di vista lavorativo; l'azienda produce il 21% dell'Ires e il 17% dell'Irpef generate dal settore.

Il Gruppo rappresenta l'unico operatore del settore in Italia (quarto in Europa) a presidiare attivamente le tematiche Esg (Environmental, Social e Governance), con specifiche policy attive per quanto riguarda la riduzione delle emissioni, la tutela della forza lavoro, la responsabilità di prodotto, l'innovazione e il funzionamento dei meccanismi di governance. 

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