domenica 25 marzo 2018

La Lunigiana in tavola a Milano

Testami, una boccata 

d'aria fresca
La Lunigiana 

in tavola a Milano




La Lunigiana è un cuscinetto stretto fra l’Appennino Tosco-Emiliano, le Alpi Apuane e il mare; è situata a nord della Versilia, si estende nell’entroterra di La Spezia e Massa-Carrara e lambisce la provincia di Parma. 

Mari, golfi, fiumi, foci, monti, marmi, colline, tre province e pure tre regioni: già la collocazione sulla cartina esprime qualcosa di complesso da individuare e classificare. Sarà per questo che l’enogastronomia lunigianese a Milano è pressoché sconosciuta? Perché per mettere a fuoco i confini servono una decina di minuti?

(Testami, una boccata d'aria fresca La Lunigiana in tavola a Milano)

Non so se sia stato il gusto dell’insolito a spingere Marco Vitolo, milanese di nascita e lunigianese adottivo, a darsi da fare per aprire a Milano il “Testami”, in via Solari, un take away alias bottega tipica alias ristoro con cucina, e anche qui andiamo sull’ibrido: proprio come una terra che è un paese di mezzo, attraversata secoli fa dai pellegrini in viaggio per Roma lungo la via Francigena, cioè proveniente dalla Francia, e da una parlata che non sa se scegliere il ligure (prevalente), l’emiliano o il toscano.

«Io sono cresciuto ad Agnino (frazione di Fivizzano) - precisa Marco - e ho respirato da subito l’aria del piccolo borgo, tra le colline, imparando ad apprezzare i prodotti di nicchia introvabili in città. Secondo me in un contesto standardizzato, come Milano, queste tipicità sono preziose, anche perché finora sconosciute: la sfido a trovare uno che le venda la nostra mortadella, che in realtà è un salame a grana grossa, o le faccia provare il nostro pane sciapo di farina integrale, che inforniamo noi tre volte a settimana - e lo stesso si può dire dell’olio extravergine di oliva, del miele, del Pollera e del Cenobio, vini rossi caratteristici del territorio».

(Testami, una boccata d'aria fresca La Lunigiana in tavola a Milano)
Testaroli al pesto

Ma a parte i prodotti, è la cucina della Lunigiana la chiave per entrare stabilmente nella memoria dei gourmet milanesi?
Certamente, ma ad esempio con i nostri testaroli è sempre la stessa storia: perfetti sconosciuti. Eppure i testaroli artigianali di Pontremoli, ora presidio Slow Food, hanno sfamato agricoltori e pastori per secoli e quindi meritano un po’ di rispetto e un po’ di fama. Cibo povero per un contesto economico povero: una pastella solo di acqua, farina di grano o farro, sale, con cui si forma una crespella di pochi millimetri di spessore. Dopodiché la si stende nel caratteristico "testo", specie di grossa teglia in ghisa, con un "soprano", il coperchio, e un "sottano", il fondo. Il testo è stato precedentemente arroventato sul fuoco, e poi tolto. Dopo pochi minuti di cottura, si stacca il testarolo e lo si taglia a striscette. Non è finita: per cucinarli bisogna buttare i testaroli in acqua calda, non bollente, per un numero variabile di secondi. Quelli che servo io, ovviamente artigianali, devono starci circa dieci secondi; a quelli industriali, reperibili nei supermercati, serve più tempo, ma non saprei dire quanto.

Se ho capito bene la differenza tra industriale e artigianale sta nella consistenza: il testarolo di Marco Vitolo è abbastanza elastico, morbido ma comunque al dente, quello industriale devo ancora provarlo, ma francamente non mi aspetto granché. Si condisce come fosse pasta, un classico lunigianese è il “pesto povero”, tanto per non smentirsi: parliamo quindi di una spolverata di Parmigiano Reggiano, un trito di basilico e un giro d’olio extravergine di oliva. Ma le varianti sono tante quanti i condimenti per la pasta: sugo al pomodoro, funghi, carne, salsiccia, formaggi… la loro porosità fa in modo che il condimento venga assorbito a puntino, più di quanto accada con la normale pasta di grano duro. Il cuoco del “Testami”, Manuel Metti, me li ha fatti provare con un ragù toscanaccio di fegatini, e poi con cipolla di Treschietto e guanciale di maiale. Una piacevole novità, tanto più interessante se affonda le radici in secoli di tradizione contadina.

(Testami, una boccata d'aria fresca La Lunigiana in tavola a Milano)
Il testo in ghisa

Marco, mi segnalerebbe un altro piatto lunigianese che va forte, nella milanesissima via Solari?
“Il mio "Testami" è aperto solo da quattro mesi, ma i clienti hanno già imparato ad apprezzare lo "sgabeo" della Val di Magra, una specie di frittella lievitata, modello street food, che si mangia al naturale o farcita con salumi, formaggi e persino creme, per chi preferisca il dolce. Mi dica lei com’è venuto in questa versione con la salsiccia toscana cruda.

Raramente mi esercito con espressioni ed aggettivi enfatici, ma stavolta farò meglio a dire che, nella sua semplicità, lo sgabeo con salsiccia è proprio un amore: la pasta è leggera, la frittura è quasi perfetta e il connubio carne fresca/crespella calda di pane funziona alla grande. E siccome ogni tanto si può fare qualche confronto antipatico, aggiungerò che sembra più digeribile del suo cugino emiliano, lo gnocco fritto. Tutto questo, e tantissimi altri prodotti tipici, lo trovate al “Testami”, una bottega con cucina dove l’ambiente è piccolo, ma comunque ci si può sedere per un aperitivo e un pranzo/cena informale. E poi, garantisco, la degustazione ve la godete ancor di più se vi abbandonate a qualche riflessione extragastronomica.

Siamo tutti immersi in una temperie in cui è di moda brandire la propria identità etnica (presunta) e culturale (presunta) come una minacciosa arma da fuoco: a fronte di ciò, tutto questo meticciato di tradizioni diverse, liguri, emiliane e toscane, rappresenta una boccata d’aria fresca. Davvero. Quando siete in vena di scherzi, provate ad apostrofare qualche lunigianese con la solita sfilza di insopportabili luoghi comuni, vagamente razzisti, del tipo: “Ecco, ad esempio, voi liguri avaracci...”, ovvero “Sì, ma voi toscani boriosi, chiacchieroni...”. Probabile vi rispondano con un sorriso, facendo spallucce, perché non potete incasellarli in alcun modo: risultano impermeabili, per natura, alle bestialità della subcultura che va per la maggiore, anche qui a Milano.
di Guido Gabaldi

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