Crisi da paura,
più che da virus
L’uscita dal tunnel
col Vinitaly?
Un'influenza polmonare che, per come è stata gestita da stampa e istituzioni, ha avuto gli effetti economico-sociali di una bomba atomica. Tra poco più di sette giorni si potrà capire se le misure messe in atto in Italia avranno rallentato l'epidemia. Intanto si spera che il segnale di svolta arrivi col Vinitaly, che ha confermato le date.
Sette giorni. Questo il limite - in realtà più elastico, fino a 10 - entro cui secondo l’Istituto superiore di Sanità potremmo sapere se l’epidemia di coronavirus sarà stata almeno rallentata in Italia. Se tutto funzionasse, saremmo l’unico Paese dopo la Cina che ha saputo imbrigliare questa influenza polmonare che, pur con pochi morti reali, sta distruggendo l’economia di tutto il mondo. Ad andar bene è però probabile che fra una settimana potremmo forse avere superato il picco di contagiati, già preannunciato per i prossimi giorni, e quindi potrebbe cominciare un calo. Ma la situazione non potrà certo migliorare improvvisamente. E se tutto dovesse andare bene, va detto senza equivoci, sarà solo perché finora i focolai del virus sono stati isolati in Lombardia e Veneto. Se questi fossero stati in altre parti d’Italia, non è detto che la reazione della gente sarebbe stata così composta e responsabile.
Ma per restare coi piedi per terra, non dobbiamo dimenticare che in tutto il mondo non è ancora successo niente rispetto a quello che si può prevedere. Germania e Francia, dopo gli azzardati annunci dei giorni scorsi in cui sembrava che gli italiani fossero gli “untori” europei, sono alle prese con focolai che scoppiano un po’ ovunque. Ed è forse inutile che il Louvre chiuda o che Lufthansa blocchi i voli per l’Italia. Quasi che il contagio da noi non possa essere venuto “anche” da viaggiatori che avevano utilizzato i numerosi voli con la Cina della compagnia tedesca, o della British Airways... Per non parlare dei muscolari Stati Uniti dell’era Trump, oggettivamente impreparati, o quasi, e pronti a sacrificare la vita dei più poveri se ci fosse la necessità massiccia di usare centri di terapia intensiva: che un tampone e un trasporto in autolettiga siano costati più di 3.900 dollari è il segno che c’è qualcosa di malato, nel profondo, in quel Paese. Non ci sono poi dati sui casi in Africa, India o America Latina. Davvero è credibile che non ci siano malati là?
E forse, a guardare bene, sono proprio le mille contraddizioni che scoppiano nel mondo a darci il segno di quale sia la vera epidemia scatenata dal coronavirus. Non ci stancheremo di dire che, se restiamo ai dati statistici e alle dichiarazioni degli scienziati, è un’influenza pericolosa, che aggrava gli stati di salute precaria di alcuni anziani, ma non è certo Ebola o la nuova peste nera di questo sfortunato anno bisestile. Ma a livello sociale è stata peggio di una bomba atomica. Razzismo, odio, disinteresse e informazioni false sono venuti allo scoperto come in poche occasioni, mentre il panico generato da una demenziale gestione delle informazioni nei primi giorni ha di fatto bloccato l’economia.
In Italia i primi a pagarne il prezzo sono stati tutti gli operatori del turismo e dell’accoglienza, il comparto che forse più di ogni altro definisce lo stile di vita italiano. Poi il commercio e in genere le industrie che si fermano per mancanza di pezzi per la produzione o per il clima di terrore generato da parole irresponsabili anche da parte delle istituzioni. I politici italiani e la RAI sono i primi della lista di quanti meriterebbero di essere bannati per sempre per l’ondata di paura e di fake news che hanno alimentato. Le aperture dei TG su una ultraottantenne malata terminale di tumore data per morta per coronavirus meriterebbero l’espulsione dall’Ordine dei giornalisti per l’irresponsabilità dimostrata. Per non parlare del Governatore (sano) con la mascherina in diretta.
Sempre per essere realisti dobbiamo considerare che marzo sarà un mese di fermo generale nel mondo. Con realismo in Italia sono state annullate e rinviate ad esempio una dopo l’altra tutte le manifestazioni e le fiere. E alla fine tutto il mondo fa così. Anche i tedeschi hanno capitolato con ProWein, dopo avere giurato che “loro” l’avrebbero potuta fare tranquillamente. Dobbiamo rassegnarci a traguardare marzo attendendo aprile. E forse il vero segnale della svolta potrebbe essere il 19 aprile, giorno di apertura del Vinitaly a Verona. È una data sufficientemente ragionevole per pensare che le mascherine inutili siano state archiviate e si sia tornati da tempo a lavorare con serenità. Noi ci contiamo, e intanto andiamo al bar e al ristorante senza timori. Anche perché l’alcol non fa bene ai virus... ma con moderazione. Il coronavirus passa, l’Italia e l’enogastronomia restano.
Il coronavirus, un'influenza che a livello sociale è stata peggio di una bomba atomica
Ma per restare coi piedi per terra, non dobbiamo dimenticare che in tutto il mondo non è ancora successo niente rispetto a quello che si può prevedere. Germania e Francia, dopo gli azzardati annunci dei giorni scorsi in cui sembrava che gli italiani fossero gli “untori” europei, sono alle prese con focolai che scoppiano un po’ ovunque. Ed è forse inutile che il Louvre chiuda o che Lufthansa blocchi i voli per l’Italia. Quasi che il contagio da noi non possa essere venuto “anche” da viaggiatori che avevano utilizzato i numerosi voli con la Cina della compagnia tedesca, o della British Airways... Per non parlare dei muscolari Stati Uniti dell’era Trump, oggettivamente impreparati, o quasi, e pronti a sacrificare la vita dei più poveri se ci fosse la necessità massiccia di usare centri di terapia intensiva: che un tampone e un trasporto in autolettiga siano costati più di 3.900 dollari è il segno che c’è qualcosa di malato, nel profondo, in quel Paese. Non ci sono poi dati sui casi in Africa, India o America Latina. Davvero è credibile che non ci siano malati là?
E forse, a guardare bene, sono proprio le mille contraddizioni che scoppiano nel mondo a darci il segno di quale sia la vera epidemia scatenata dal coronavirus. Non ci stancheremo di dire che, se restiamo ai dati statistici e alle dichiarazioni degli scienziati, è un’influenza pericolosa, che aggrava gli stati di salute precaria di alcuni anziani, ma non è certo Ebola o la nuova peste nera di questo sfortunato anno bisestile. Ma a livello sociale è stata peggio di una bomba atomica. Razzismo, odio, disinteresse e informazioni false sono venuti allo scoperto come in poche occasioni, mentre il panico generato da una demenziale gestione delle informazioni nei primi giorni ha di fatto bloccato l’economia.
In Italia i primi a pagarne il prezzo sono stati tutti gli operatori del turismo e dell’accoglienza, il comparto che forse più di ogni altro definisce lo stile di vita italiano. Poi il commercio e in genere le industrie che si fermano per mancanza di pezzi per la produzione o per il clima di terrore generato da parole irresponsabili anche da parte delle istituzioni. I politici italiani e la RAI sono i primi della lista di quanti meriterebbero di essere bannati per sempre per l’ondata di paura e di fake news che hanno alimentato. Le aperture dei TG su una ultraottantenne malata terminale di tumore data per morta per coronavirus meriterebbero l’espulsione dall’Ordine dei giornalisti per l’irresponsabilità dimostrata. Per non parlare del Governatore (sano) con la mascherina in diretta.
Sempre per essere realisti dobbiamo considerare che marzo sarà un mese di fermo generale nel mondo. Con realismo in Italia sono state annullate e rinviate ad esempio una dopo l’altra tutte le manifestazioni e le fiere. E alla fine tutto il mondo fa così. Anche i tedeschi hanno capitolato con ProWein, dopo avere giurato che “loro” l’avrebbero potuta fare tranquillamente. Dobbiamo rassegnarci a traguardare marzo attendendo aprile. E forse il vero segnale della svolta potrebbe essere il 19 aprile, giorno di apertura del Vinitaly a Verona. È una data sufficientemente ragionevole per pensare che le mascherine inutili siano state archiviate e si sia tornati da tempo a lavorare con serenità. Noi ci contiamo, e intanto andiamo al bar e al ristorante senza timori. Anche perché l’alcol non fa bene ai virus... ma con moderazione. Il coronavirus passa, l’Italia e l’enogastronomia restano.
di Alberto Lupini
direttore
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