Calcio senza
distanziamento
E chi deve
provvedere
ai tamponi?
Riaprire ai giochi di squadra implicherebbe aumentare i test per evitare contagi. Ma qualcuno considera che oggi a Bergamo ci vogliono più di 10 giorni per avere un esito degli esami dei malati?.
Anche Salvini, dopo altri politici, ora chiede che si riapra il calcio, sostenendo che se “muore” questa disciplina (chissà perché una sospensione sia pure prolungata deve necessariamente portare al decesso…) si fermerebbero tutti gli altri sport. E parla di 300mila posti di lavoro in ballo. Ma non cita gli interessi economici delle squadre e quelli dei calciatori milionari, che fremono per giocare così da non vedersi ridotti stipendi che in molti casi sono superiori a quelli del Presidente della Republica. Tutto comprensibile e legittimo, per carità, tenendo però conto che tutti i giocatori dovranno essere sottoposti a test sierologici e tamponi in continuazione perché fra spogliatoio, sudore e contatto fisico in campo il rischio di essere contagiati e di contagiare poi altre persone è altissimo.
A questo punto però bisogna responsabilmente porsi una domanda: davvero l’Italia è in grado di fare i tamponi e test a tutti quelli che lo vogliono? Ci sono aziende che non possono fare test perchè in commercio non ci sono kit e quindi rischiano...
A questo punto però bisogna responsabilmente porsi una domanda: davvero l’Italia è in grado di fare i tamponi e test a tutti quelli che lo vogliono? Ci sono aziende che non possono fare test perchè in commercio non ci sono kit e quindi rischiano...
In ballo c’è la questione salute e accesso ai servizi sanitari che non può essere dimenticata. Per restare al calcio, una riapertura dell’attività, anche se con tornei a porte chiuse, non potrebbe valere solo per la seria A o la B. Tutte le categorie avrebbero il diritto di scendere in campo, e non solo quelle con titolari di conti correnti bancari belli pesanti. Ciò significa che il venir meno del distanziamento sociale imporrebbe di fare tamponi e test a ripetizione. Ma se così fosse, avremmo un ingiustificabile intasamento dei laboratori, rallentando invece gli esami di chi “deve” lavorare in altre attività o è uscito dalla fase acuta della malattia. Persone che "devono" rispettare il distanziamento sociale.
Nella grande enfasi per questa Fase 2 ci si dimentica fra l’altro che in Italia ci sono zone dove i controlli non funzionano bene per la drammaticità della situazione, con ancora morti e terapie intensive intasate. Se in Veneto si possono programmare 50mila test al giorno, in provincia di Bergamo non si sa come fare e siamo al disastro totale, con ritardi negli esiti degli esami già fatti che rischiano di creare serissimi problemi nella valutazione dell’epidemia reale. Un dato per tutti. Una piccola azienda con una quindicina di addetti, all’inizio dell’emergenza sanitaria ha avuto 3 dipendenti dello stesso ufficio malati con febbre e sintomi possibili da coronavirus. Nessuno è intervenuto e dopo una settimana di febbre altissima una dei tre è stata ricoverata in extremis in ospedale. Ovviamente era positiva, ma nessun tampone è stato fatto ai suoi famigliari (che pure stavano male), né ai suoi colleghi di lavoro, a partire dai due che avevano avuto sintomi simili.
Dopo venti giorni di ospedale, non essendo più in pericolo di vita, è stata dimessa dall’ospedale, ancora positiva, con obbligo di quarantena in casa. Il 21 e il 23 aprile nel centro sanitario di Borgo Palazzo, a Bergamo, ha fatto i due tamponi previsti, ma a oggi, dopo oltre 10 giorni, non ha avuto ancora una risposta. Senza l’esito non può però nemmeno fare un RX per sapere lo stato dei polmoni, né può tornare a lavorare. E quel che è peggio, né il marito né il figlio, che pure erano stati male anche loro con sintomi più o meno gravi, sono stati mai sottoposti a tampone, ma giusto oggi, con la Fase2 sono tornati a lavorare. È vero che Bergamo è l'epicentro dell’epidemia nazionale e i laboratori saranno intasati, ma forse proprio per questo si dovrebbero organizzare meglio i test e gli esami, altrimenti rischiamo di non liberarci più dal covid-19.
Ma cosa potrebbe succedere se a queste situazioni terribili, che dureranno ancora settimane e che potrebbero accentuarsi con il progressivo ritorno alla normalità e ai contatti interpersonali, si aggiungessero ogni settimana migliaia di calciatori solo perché qualcuno, per businnes, vuole sfidare il virus e fregarsene del distanziamento sociale che vale per tutti gli altri lavoratori?
Dopo venti giorni di ospedale, non essendo più in pericolo di vita, è stata dimessa dall’ospedale, ancora positiva, con obbligo di quarantena in casa. Il 21 e il 23 aprile nel centro sanitario di Borgo Palazzo, a Bergamo, ha fatto i due tamponi previsti, ma a oggi, dopo oltre 10 giorni, non ha avuto ancora una risposta. Senza l’esito non può però nemmeno fare un RX per sapere lo stato dei polmoni, né può tornare a lavorare. E quel che è peggio, né il marito né il figlio, che pure erano stati male anche loro con sintomi più o meno gravi, sono stati mai sottoposti a tampone, ma giusto oggi, con la Fase2 sono tornati a lavorare. È vero che Bergamo è l'epicentro dell’epidemia nazionale e i laboratori saranno intasati, ma forse proprio per questo si dovrebbero organizzare meglio i test e gli esami, altrimenti rischiamo di non liberarci più dal covid-19.
Ma cosa potrebbe succedere se a queste situazioni terribili, che dureranno ancora settimane e che potrebbero accentuarsi con il progressivo ritorno alla normalità e ai contatti interpersonali, si aggiungessero ogni settimana migliaia di calciatori solo perché qualcuno, per businnes, vuole sfidare il virus e fregarsene del distanziamento sociale che vale per tutti gli altri lavoratori?
Ed è giusto che qualche “fortunato” possa farne a ripetizione per dare vita ad uno spettacolo mentre altri, magari artisti, cantanti, attori o musicisti devono stare fermi senza avere neanche un euro di sostegno economico? E anche qui non ci sono solo Zucchero o Alessandro Gasmann, ci sono i costumisti, i tecnici, gli addetti alle biglietterie, ecc,
E che dire poi del mondo del turismo e dell’accoglienza, dove centinaia di migliaia di famiglie non hanno ancora ricevuto indicazioni su cosa fare alla riapertura di bar e ristoranti (prorogata perché si ritiene che ci siano rischi per tutti) e non hanno ricevuto neppure un euro di cassa integrazione in deroga, mentre le aziende registrano ritardi, o difficoltà, a reperire un minimo di liquidità per cercare di riaprire dopo il lockdown?
Davvero del calcio non se ne potrebbe fare a meno per quale altra settimana?
© Riproduzione riservatadi Alberto Lupini
direttore
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