GRAPPA: L’ARTE
DELLA DISTILLAZIONE
Non
bastano calore e alambicco, per creare la grappa serve conoscenza, scienza e
soprattutto visione. Scopriamo il momento più intenso della produzione del
nostro distillato di bandiera
La
distillazione è il cuore della produzione della grappa, il momento in cui la
vinaccia si trasforma nell’amato prodotto italiano. La scienza spiega questo
processo, ma l’arte di ogni grappaiolo è ciò che rende unico questo momento e
dona quel senso di poetica magia che accomuna i migliori distillati. Scopriamo
in questo e nei prossimi numeri come avviene. La distillazione, per la fisica,
è quell’operazione che consente di separare due composti aventi volatilità
diversa mediante la trasformazione dei medesimi in vapore e la successiva
condensazione. Per il grappaiolo le cose sono un pochino più complicate perché
di sostanze a diversa volatilità da separare, in quel miscuglio chiamato
vinaccia, non ne ha due, ma alcune centinaia. Per lui la distillazione ha quindi una definizione diversa: è quell’operazione che consente di liberare dalla vinaccia i componenti volatili concentrando la frazione alcolica e le sostanze aromatiche di pregio – separandole quindi da quelle di cattivo gusto – al fine di ottenere una bevanda organoletticamente gradevole. Nella sua difficile missione poteva essere molto aiutato da chi ha semplificato il discorso dicendo che l’alcol bolle a 78,4 °C e l’acqua a 100 °C per cui prima evapora l’alcol e poi l’acqua. E così via per tutti gli altri costituenti volatili. Ma, se così fosse, sarebbe sufficiente controllare con precisione la temperatura del liquido in caldaia e, conoscendo l’esatto punto di ebollizione di ogni componente, girare un rubinetto al momento giusto.
Per comprendere quanto sempliciotta e poco fondata sia questa teoria basti pensare che nella grappa c’è, per esempio, del caprilato di etile che ha un punto di ebollizione di 244 °C. Ed è solo uno dei tanti componenti presenti che bolle oltre i 100 °C. Le cose cambiano d’aspetto se si pensa che la distillazione di un sistema complesso come la vinaccia comporta: • fenomeni di trascinamento o strippaggio di determinati componenti che sfuggono alle leggi fisiche dell’evaporazione; • variazione, durante il decorso della distillazione e sui diversi punti dell’alambicco, della composizione dei liquidi o del vapore con conseguente mutamento di comportamento di uno o più componenti che tendano a solubilizzarsi o a insolubilizarsi e quindi, indipendentemente dal loro punto di ebollizione, passano nel distillato; • la genesi di nuove sostanze nel corso della distillazione dovute a una serie di reazioni tra i numerosi componenti resi molto reattivi dalla loro trasformazione allo stadio di vapore. Il processo di distillazione della vinaccia, inteso come esaurimento della medesima della componente volatile, concentrazione della frazione alcolica e concomitante selezione delle sostanze organoletticamente buone, è condizionato da: • il tipo di materia prima che si pone in distillazione; • il tipo e la geometria dell’impianto di distillazione; • la conduzione della distillazione medesima e quindi dall’uomo che vi opera, sia esso seduto in una stanza dei bottoni o a stretto contatto con l’alambicco. Questi elementi, frutto di una storica evoluzione promossa da nuove conoscenze tecnologiche e da mutate esigenze di gusto, sono così cambiati nel tempo da stravolgere i concetti classici della distillazione e quindi quell’atmosfera serena in cui tutti erano in grado di dissertare di teste, di code e di cuore.
La distillazione in pratica Per descrivere convenientemente lo svolgimento di un’operazione
di distillazione, si supponga di avere un alambicco a fuoco diretto con elmo
deflemmatore a vinacce emerse in grado di distillare 100 kg di vinacce per
cotta. Le operazioni si svolgono nel seguente ordine:
1. si collega il refrigerante alla tubazione dell’acqua e si riempie.
2. Si introducono nella caldaia 50 litri di acqua potabile e si inserisce la griglia che sostiene le vinacce.
3. Si carica la caldaia con le vinacce lasciando un vuoto di 5-10 cm tra queste ed il coperchio, evitando di comprimere le vinacce; durante la distillazione infatti il vapore potrebbe formare vie preferenziali escludendo strati di vinaccia dalla distillazione.
4. Si chiude la caldaia con l’elmo deflemmatore, si allaccia il collettore che congiunge la caldaia al refrigerante e il tubicino che dal refrigerante porta l’acqua all’elmo deflemmatore.
5. Si accende il fornello e si regola la fiamma in modo che sia vivace.
6. Si attende che dal serpentino cominci a uscire il distillato. In quel momento si apre l’acqua del refrigerante e si fa arrivare un filo d’acqua sul coperchio deflemmatore in modo che la tela grossa si imbeva. L’acqua deve essere regolata in modo che la quantità erogata sia evaporata dal calore ceduto dai vapori idroalcolici, non deve traboccare e spandersi sulle pareti.
7. Si elimina la prima frazione di distillato, 250-500 mL.
8. Si abbassa leggermente la fiamma, la gradazione alcolica tenderà a salire. Se supera i 60° si chiude per breve tempo l’acqua del coperchio deflemmatore. Se la vinaccia è sana non occorre produrre acquavite con gradazione superiore ai 60°, questo protrarrebbe inutilmente i tempi di distillazione senza recare vantaggio alla qualità della grappa.
9. A un certo punto l’alcolometro indicherà che la gradazione alcolica del distillato tende a scendere. Arrivati a 50° alcol si aumenta la deflemmazione inviando più acqua sul coperchio. Se, ciò nonostante, la gradazione alcolica tendesse ancora a scendere, si separerà la frazione di grappa ottenuta fino a ora: è questa la parte migliore, il cuore.
10. Si continuerà la distillazione fino a quando il distillato segnerà 10-15°. La frazione raccolta fino a questo momento, da quando l’alcolometro è sceso sotto i 50°, rappresenta le code. 11. Si chiude l’acqua del refrigerante e si spegne il fuoco.
Se le operazioni descritte sono state eseguite correttamente e se la vinaccia era relativamente umida e sana, si saranno raccolti circa 10 litri di distillato di cui 7-7,5 litri saranno costituti da buona grappa, la frazione di cuore, mentre 2,5-3 litri sono rappresentati dalle teste e dalle code. Riunite le code di una serie di cotte (le teste è meglio non distillarle mai), si potranno ridistillare in una cotta a parte (dopo averle diluite al 50% con acqua) e recuperare così l’alcol etilico che ancora contengono. La grappa che si ricava dalla ridistillazione delle code non è di prima scelta, ma se l’operazione è stata bene eseguita, è bevibile.
1. si collega il refrigerante alla tubazione dell’acqua e si riempie.
2. Si introducono nella caldaia 50 litri di acqua potabile e si inserisce la griglia che sostiene le vinacce.
3. Si carica la caldaia con le vinacce lasciando un vuoto di 5-10 cm tra queste ed il coperchio, evitando di comprimere le vinacce; durante la distillazione infatti il vapore potrebbe formare vie preferenziali escludendo strati di vinaccia dalla distillazione.
4. Si chiude la caldaia con l’elmo deflemmatore, si allaccia il collettore che congiunge la caldaia al refrigerante e il tubicino che dal refrigerante porta l’acqua all’elmo deflemmatore.
5. Si accende il fornello e si regola la fiamma in modo che sia vivace.
6. Si attende che dal serpentino cominci a uscire il distillato. In quel momento si apre l’acqua del refrigerante e si fa arrivare un filo d’acqua sul coperchio deflemmatore in modo che la tela grossa si imbeva. L’acqua deve essere regolata in modo che la quantità erogata sia evaporata dal calore ceduto dai vapori idroalcolici, non deve traboccare e spandersi sulle pareti.
7. Si elimina la prima frazione di distillato, 250-500 mL.
8. Si abbassa leggermente la fiamma, la gradazione alcolica tenderà a salire. Se supera i 60° si chiude per breve tempo l’acqua del coperchio deflemmatore. Se la vinaccia è sana non occorre produrre acquavite con gradazione superiore ai 60°, questo protrarrebbe inutilmente i tempi di distillazione senza recare vantaggio alla qualità della grappa.
9. A un certo punto l’alcolometro indicherà che la gradazione alcolica del distillato tende a scendere. Arrivati a 50° alcol si aumenta la deflemmazione inviando più acqua sul coperchio. Se, ciò nonostante, la gradazione alcolica tendesse ancora a scendere, si separerà la frazione di grappa ottenuta fino a ora: è questa la parte migliore, il cuore.
10. Si continuerà la distillazione fino a quando il distillato segnerà 10-15°. La frazione raccolta fino a questo momento, da quando l’alcolometro è sceso sotto i 50°, rappresenta le code. 11. Si chiude l’acqua del refrigerante e si spegne il fuoco.
Se le operazioni descritte sono state eseguite correttamente e se la vinaccia era relativamente umida e sana, si saranno raccolti circa 10 litri di distillato di cui 7-7,5 litri saranno costituti da buona grappa, la frazione di cuore, mentre 2,5-3 litri sono rappresentati dalle teste e dalle code. Riunite le code di una serie di cotte (le teste è meglio non distillarle mai), si potranno ridistillare in una cotta a parte (dopo averle diluite al 50% con acqua) e recuperare così l’alcol etilico che ancora contengono. La grappa che si ricava dalla ridistillazione delle code non è di prima scelta, ma se l’operazione è stata bene eseguita, è bevibile.
Luigi Odello
L’evoluzione dell’alambicco
55 secoli di storia
Ci sono voluti quasi 55 secoli affinché il vaso di coccio usato in Mesopotamia (1) diventasse l’alambicco di metallo da tutti noi conosciuto. Pur perfezionato, quello in uso in Egitto (2) nel II sec. a.C. non era ancora adatto a dare acqueviti. Occorre aspettare il Medioevo quando compare sulla scena il Pellicano (3). Però era di piccole dimensioni e quindi per aumentare le produzioni se ne mettevano molti sulla stessa fornace (4). Non da meno la condensazione dei vapori alcolici era precaria: ottima l’idea di allungare il becco del Pellicano facendogli attraversare una botte d’acqua (5). Successivamente ritorto (siamo nel XIV secolo) diventa la serpentina ancora in uso oggi. Sempre nella stessa epoca si migliora la condensazione dei vapori raffreddando il capitello (6), ma solo verso la fine del XVIII secolo si giunge all’alambicco con caldaia, duomo e serpentina, razionalizzato anche nella geometria (7). Esso si può considerare il capostipite da cui deriveranno quelli specifici per le differenti acqueviti.
55 secoli di storia
Ci sono voluti quasi 55 secoli affinché il vaso di coccio usato in Mesopotamia (1) diventasse l’alambicco di metallo da tutti noi conosciuto. Pur perfezionato, quello in uso in Egitto (2) nel II sec. a.C. non era ancora adatto a dare acqueviti. Occorre aspettare il Medioevo quando compare sulla scena il Pellicano (3). Però era di piccole dimensioni e quindi per aumentare le produzioni se ne mettevano molti sulla stessa fornace (4). Non da meno la condensazione dei vapori alcolici era precaria: ottima l’idea di allungare il becco del Pellicano facendogli attraversare una botte d’acqua (5). Successivamente ritorto (siamo nel XIV secolo) diventa la serpentina ancora in uso oggi. Sempre nella stessa epoca si migliora la condensazione dei vapori raffreddando il capitello (6), ma solo verso la fine del XVIII secolo si giunge all’alambicco con caldaia, duomo e serpentina, razionalizzato anche nella geometria (7). Esso si può considerare il capostipite da cui deriveranno quelli specifici per le differenti acqueviti.
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