Bar e ristoranti
"non affidabili"?
Così le banche
affossano i locali
In piena crisi economica, e nonostante le garanzie dello Stato sui prestiti, le banche chiudono i rubinetti del credito ai pubblici esercizi. Roberto Calugi (Fipe) denuncia le banche in Parlamento: «A bar e ristoranti chiedono fidejussioni fino al 150%». Serve liquidità ed evitare il fallimento di migliaia di aziende chiuse per decreto.
Il Governo aveva cercato di intervenire con il decreto che garantiva liquidità, ma questo è stato attuato con grande lentezza da un sistema bancario che, salvo alcune eccezioni, si è mosso come un pachiderma, mutuando il peggio possibile dai tempi della burocrazia. Il risultato è che la maggior parte delle imprese ha dovuto indebitarsi e, viste le previsioni, sarà in difficoltà a “rientrare”. Parte da questa considerazione la Fipe, la federazione dei pubblici esercizi che ora chiede che i debiti bancari contratti nel 2020 siano spalmati in un arco temporale più lungo di quanto inizialmente previsto. Servono almeno 20 anni con un preammortamento di 24 o 36 mesi, che permetta a bar e ristoranti che sono oggi in stato prefallimentare di ottenere quella liquidità per rialzarsi e ripagare il debito in un periodo sostenibile.
Per le banche i locali non sono affidabili
«Serve un grande patto con le banche – sintetizza il direttore generale Fipe, Roberto Calugi – anche perché ci sono decisioni assai pericolose per tutto il sistema economico nazionale. Diversi istituti di credito, dopo mesi di sofferenza delle imprese, hanno diramato indicazioni interne che indicano le aziende del comparto come non affidabili».
Un atto di accusa a cui la politica sembra finora non avere dato molta attenzione, ma sui cui è invece necessario alzare tutti la guardia. Altro che manifestazioni di protesta sotto le case dei sindaci o contro le Regioni.
A bar e ristoranti le banche chiedono fidejussioni fino al 150%
La gravità del comportamento delle banche è stata denunciata in audizione parlamentare dallo stesso Calugi senza giri di parole: «Questo comporta che alle imprese vengano richieste fidejussioni accessorie fino al 150% del finanziamento anche per interventi ex Dl Liquidità con garanzia al 90% o l’80% dello Stato erogata dal Fondo Centrale. Sappiamo che le banche sono esse stesse imprese, ma non è tollerabile che con la copertura a garanzia dello Stato siano richieste fidejussioni accessorie di tale importo. Serve un patto con il sistema bancario per la liquidità delle imprese e serve subito!»
La richiesta della Fipe è semplice quanto obbligata: i debiti del 2020 vanno considerati alla stregua di una “bad company” dove far confluire il debito generato da un evento esogeno, imprevedibile, misurabile e indipendente dalla volontà di ognuno di noi. «Va salvata la “good company” - spiega Roberto Calugi – va tutelata l’azienda del 2019, che negli anni a venire è garanzia di reddito, occupazione e crescita. Il Decreto legge liquidità ha certamente prodotto dei primi risultati ma si è scontrato e si sta scontrando con una realtà più grave di quanto probabilmente previsto. Bisogna intervenire sui tempi di “maturity” dei debiti contratti e sulle procedure per attivarli cercando di andare in deroga anche sui limiti imposti dalla legislazione europea».
E gli strumenti ci sono. Per la Fipe si deve fare leva sugli strumenti già identificati, Fondo Centrale di Garanzia e/o Cassa Depositi e Presiti attraverso Sace. Sono gli strumenti messi in campo fin dall’inizio dal Governo, ma l’azione delle banche ha di fatto rallentato e reso difficile accedere spesso a queste garanzie.
Gli esercenti hanno dovuto offrire garanzie personali
Al di là dell’ottenimento dei finanziamenti garantiti dallo Stato, per ottenere i quali molti bar o ristoranti hanno dovuto offrire garanzie personali, c’è un caso che testimonia come le banche hanno di fatto spesso opposto un ostruzionismo. Pensiamo alla questione affitti. «L’art.8 dell’ultimo Dpcm – dice il direttore generale Fipe - ha esteso il beneficio del credito di imposta per ulteriori tre mesi, ottobre, novembre dicembre, sulle locazioni o gli affitti di ramo di azienda del nostro settore. Pur apprezzando la misura, spiace segnalare come il credito di imposta, sulla carta cedibile al sistema bancario, sia di fatto incedibile. Diversi nostri associati ci segnalano infatti come le banche non hanno sin qui manifestato disponibilità ad acquisire il credito, facendo venire meno l’efficacia della misura prevista dal legislatore».
E che non si tratti delle solite accuse, magari un po’ scontate in tempi di pandemia, vale la pena di affrontare qualche numero per capire come l’operato delle banche non sia stato sempre così trasparente. In particolare non è proprio tutt’oro quel che luccica. Come già detto, pur trattandosi di finanziamenti garantiti al 90% o all'80%, al di sopra dei 25-30 mila euro non è infrequente che le banche abbiano chiesto e chiedano garanzie fidejussorie non solo per l'intero importo finanziato, ma addirittura per quote superiori.
Il Dato di partenza è che al 30 settembre 2020 le richieste di accesso al fondo centrale di garanzia erano aumentate del 1.165% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il pico era stato ovviamente a maggio, quando era stato possibile attivarsi in base al decreto liquidità.
A partire dal 17 marzo sono arrivate 1milione e 151 mila contro le 91 mila dell’anno precedente. Di queste ne sono state accolte 1milione e 139 mila, di cui solo 13mila prevedono l’intervento automatico del fondo senza alcuna attività istruttoria. Si è arrivati a garantire 74 miliardi di euro su 84 miliardi di finanziamenti chiesti da 990mila imprese.
L’80% delle operazioni si riferisce a finanziamenti fino a 25-30mila euro. Si tratta di 900mila domande accolte. Purtroppo questi dati generali non permettono di capire quale sia l’onere rimasto a carico delle imprese in difficoltà e, soprattutto quante di queste siano bar o ristoranti. Quasi 600mila domande riguardano imprese del nord, poco più di 500mila sono imprese del commercio (con una larga prevalenza di pubblici esercizi) e oltre 321 mila imprese dei servizi.
È peraltro facile immaginare che essendo bar e ristoranti spesso aziende piccole e poco capitalizzate, sarà stato indispensabile passare attraverso le ricordate garanzie personali che ora rappresentano un grosso problema se davvero, come denuncia la Fipe, alcuni istituti di credito vogliono rientrare rispetto a questi affidamenti.
Andrebbe peraltro ricordato che fuori dalle garanzie dello Stato resterebbero a oggi “scoperti” circa 10 miliardi che è certamente meno di quanto sia il debito verso le banche della sola Alitalia… giusto per fare un unico caso di “leggerezza” nell’operato di alcune banche.
La Fipe denunciava il disinteresse e il ritardi della banche già a fine aprile
E per restare ai numeri, ricordiamo che a fine aprile la Fipe avvea denunciato che il 44% deli pubblici esercizi lamentava difficoltà nella presentazione della domanda. Allora il 53% aveva dovuto produrre maggiore documentazione alla banca e il 98,6% delle imprese non aveva ricevuto l’erogazione. «Era già allora evidente che puntare tutto sul credito garantito dallo Stato utilizzando il canale bancario, anch’esso sotto stress per mancanza di personale ed un vertiginoso incremento di lavoro dovuto alle moratorie, non poteva funzionare – ha concluso Roberto Calugi – L’inserimento del limite dei 25.000 euro fissato per l’erogazione massima consentita con la garanzia dello Stato al 100% si è rivelata insufficiente, come avevamo denunciato. Si trattava di un limite eccessivamente basso, che in una qualsiasi azienda dei Pubblici Esercizi era ininfluente a finanziare una qualsiasi ipotesi di ripartenza».
direttore
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