Ristoranti deserti:
per sopravvivere
menu “corti” e tagli all'orario di apertura
Dopo due anni di pandemia i centri storici delle città sono ancora deserti e il caro bollette picchia duro. Così in molti, per contenere le perdite, hanno optato per menù ridotti e diminuito gli orari di apertura. La crisi colpisce da Nord a Sud. «Non ci sono turisti. È a rischio un intero modello, che si ha reso famosi in tutto il mondo», ha sottolineato Aldo Cursano, vicepresidente Fipe
vicedirettore
La ristorazione corre ai ripari. Omicron si sta rivelando sempre più devastante e la clientela ha paura e non mette volentieri il naso fuori di casa. Il risultato è che il ristoratore si trova sulle spalle due anni feroci di pandemia, il personale sparito o in quarantena e le spese sempre più pesanti, un macigno quasi insostenibile. Le bollette raddoppiate si stanno rivelando un colpo di grazia. Per contenere le predite in molti hanno accorciato menu e/o orari e c’è chi tiene aperto solo il fine settimana.
Sandro Caputo, Roberto Cipolla ed Ercole VillirilloTuristi assenti, centri storici deserti
La crisi viaggia da Nord a Sud, ma è nelle città d'arte, abituate al turismo straniero, che si nota di più. Milano, Roma, Venezia e Firenze. È da quest'ultima che arriva l'allarme di Aldo Cursano, vice presidente di Fipe e presidente di Confcommercio fiorentina. Il capoluogo toscano è infatti un caso emblematico di ciò che i ristoranti stanno affrontando: si stima che il 40% dei locali del centro abbiano chiuso, in maniera temporanea o definitiva e che il fatturato sia calato dell'80%. Situazione che migliora leggermente se ci si sposta dal cuore della città, laddove i flussi sono più dettati della vita quotidiana che dal turismo.
Aldo Cursano di Fipe
«I centri storici nelle città d’arte sono morti – ha raccontato – Non ci sono turisti, crollano le entrate e i costi sono altissimi e in incremento. La ristorazione è composta da migliaia di imprese famigliari ormai stremate. È a rischio un intero modello, uno stile di vita che ci ha reso appetibili in tutto il mondo. Sta scricchiolando un intero sistema produttivo e distributivo. Non si aiutano le aziende dando pochi soldi, ma non chiedendoli. Vanno congelate le spese, le fonti di costo. Se la pandemia decapiterà il nostro modello di accoglienza avremo perso tutti, perché il nostro stile, quello per cui si viene in Italia, per vivere come noi, avrà bisogno di almeno un paio di generazioni per ricostituirsi. L’ospitalità è fatta dalle persone, dalla loro cultura, dalla loro storia, dalla loro passione. Non sarà sufficiente cambiare un’insegna. La ristorazione non è un freddo protocollo standard».
«La paura del contagio si fa sentire»
Come detto non c'è soltanto Firenze nell'occhio del ciclone della crisi. Roma non se la passa di certo meglio. A confermarlo è Roberto Cipolla, titolare de La Locanda di Pietro e socio Euro-Toques, che ha dovuto operare tagli alla carta. «Ormai il turismo è a zero – commenta – e negli ultimi 15 giorni la clientela è calata del 90%. La paura del contagio si fa sentire in modo consistente. Siamo dovuti correre ai ripari per limitare il danno. Così abbiamo ridotto il personale e snellito il menu. Una riduzione della carta dovuta, per mantenere sempre alto il livello dell’offerta gastronomica. Lavorando con il fresco è inevitabile».
A Milano si stringono i denti
Nonostante le difficoltà siano molte, c'è chi ha invece deciso di non modificare le sue abitudini. È il caso di Sandro Caputo, consocio dei ristoranti Nerino Dieci e Alto Milano, che stringe i denti. «Abbiamo deciso di resistere tenendo aperto tutti i giorni, con il medesimo orario – ha spiegato – Anche il menu non è stato toccato. Noi puntiamo sul servizio, sempre e comunque. Certo la situazione è difficile e siamo rimasti un po’ spiazzati. Il quadro è più grave di quanto ci si potesse aspettare. Dobbiamo mostrare ottimismo anche nei confronti di chi ci sta supportando. Come bilancio devo dire che ci sono giornate in cui non ci si può lamentare e altre davvero meschine. I week end sono comunque movimentati».
Il caso della Calabria
Ranghi serrati anche in Calabria. A Crotone Ercole Villirillo, socio Euro-Toques, è un punto di riferimento con il ristorante Da Ercole e la sua salvezza sta nel riuscire ad attirare clientela da tutta la regione. Una situazione che gli ha permesso di reggere l'urto. «Ci stiamo difendendo – ha precisato – ma abbiamo la fortuna che la nostra clientela viene da tutta la Calabria. Il flusso, siamo anche a fine gennaio, si è ridotto, non abbiamo i coperti che ci hanno caratterizzato per anni, ma siamo sempre attivi sul mercato. La nostra offerta gastronomica a km zero di terra e di mare è una risorsa ed è apprezzata. Per questo non abbiamo dovuto correre ai ripari adottando soluzioni alternative. Aspettiamo la primavera per viaggiare con il vento in poppa». iTALIAATAVOLA
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