Troppi cuochi e camerieri
in quarantena.
C'è chi taglia i coperti
per garantire il servizio
Le assenze per malattia sono il 30% del personale dei pubblici esercizi, già alle prese col calo dei clienti. L'esempio del bistellato Miramonti l'Altro di Léveillé passato da 60 a 40 posti: meno ricavi ma stessi costi
direttore Iat
Il 30% del personale dell’agroalimentare (dai contadini ai camerieri o ai baristi) è assente dal lavoro per Covid. Nella quasi totalità dei casi si tratta di persone in quarantena senza sintomi, o al più con raffreddore o qualche linea di febbre. Se sul piano sanitario (grazie ai vaccini che hanno attutito gli effetti più negativi di Omicron e Delta) si può tirare un sospiro di sollievo, dal punto di vista economico si tratta di una mazzata tremenda per bar e ristoranti, aziende per lo più di piccole dimensioni e a gestione famigliare, nelle quali anche l’assenza di un solo addetto può creare disagi e perdite. E questo mentre i fatturati sono già al lumicino per mancanza di clienti... Il problema vero è che senza personale non si possono più garantire molti servizi e gli incassi calano, ci spiega il cuoco Philippe Léveillé, mentre i costi restano intatti, aggravando equilibri finanziari già precari dopo due anni di pandemia.
Troppe assenze per malattie nei bar e nei ristoranti
Al punto che in molti decidono di chiudere, almeno temporaneamente, con la speranza di poter riaprire al più presto. E non vale nemmeno il gioco di mettere in ferie tutto il personale, perché se poi qualcuno si scopre “positivo”, tocca comunque all’azienda commerciale di pagare la malattia. Ciò che sembra sfuggire all’attenzione dei politici (finora impegnati nella corsa al Quirinale) è la dilagante difficoltà di sempre più numerosi bar o ristoranti di fronte al crescere di assenze “per malattia”. A oggi siamo a oltre due milioni e mezzo di contagiati in Italia, la maggioranza dei quali sono dipendenti che per almeno una dozzina di giorni, in media, quando va bene, sono assenti dal lavoro, anche se non hanno sintomi. E meno male, aggiungiamo, perché potrebbero essere contagiosi. Anche se in verità per i vaccinati la carica virale dovrebbe essere contenuta e quindi con pochi rischi di infezione (secondo gli scienziati...).
Basta girare per qualunque azienda, dal nord al sud d’Italia, per constatare come questa percentuale trovi ovunque una conferma. Bar e ristoranti sono quelli dove si manifestano in maniera più evidente le difficoltà. In decine di migliaia di casi, l’assenza di personale crea problemi a tutti, e non importa se si tratta di locali di periferia o blasonati gourmet. E ciò vale in particolare per chi lavora con serietà, ed è abituato quindi ad offrire servizi dove un preciso rapporto fra personale e numero di clienti è fondamentale.
Philippe Léveillé del Miranti L‘Altro, costretto a ridurre i coperti per fronteggiare il personale in malattia per il covidAl Miramonti l'Altro un esempio: 5 positivi su 18
Un esempio ci è offerto da uno dei più celebrati ristoranti italiani, il Miramonti l’Altro di Concesio (Bs), due stelle Michelin, dove da qualche giorno, causa assenze del personale per covid, si sono ridotti i coperti per garantire lo stesso livello di servizio. «Su 18 persone fra cucina e sala, ne abbiamo avuti 5 in quarantena per Covid. Per fortuna non avevano niente di grave, stavano e stanno benissimo, ma devono stare chiusi in casa per almeno 10 giorni (che spesso diventano 20) e neanche volendo avrebbero potuto dare una mano perché nel nostro lavoro non può certo esistere smartworking» sintetizza lo chef patron Philippe Léveillé.
Obbligati a tagliare i posti per non ridurre il servizio offerto
«È veramente complicato - spiega Léveillé – e non lo dico certo per lamentarmi, ma per fare capire come sono realmente le cose. Avevamo il ristorante pieno di prenotazioni, ma ovviamente non si poteva garantire un servizio adeguato in queste condizioni. Fra gli assenti avevo la mia chef e il mio capopartita agli antipasti… Siamo stati quindi costretti a ridurre di 20 coperti la nostra offerta. Da 60 siamo scesi a 40. Questo fa sentire la gente anche più sicura e più garantita, ma noi così riduciamo le entrate, mentre i costi fissi restano gli stessi (anche perché la “malattia” la paga l’azienda…). Questa scelta comporta però anche il dover chiamare clienti che hanno prenotato e chiedere se, per ragioni legate al Covid, possono spostare ad un’altra data. Poi molto dipende da come un cliente prende questa richiesta. Cerchiamo di farlo con persone che conosciamo molto bene, con clienti di lunga data che magari possono accettare meglio di altri questa richiesta, ma certo non è facile».
Al Miramonti l'Altro costanti controlli col medico, ma i contagi toccano un po' tutti
Ciò crea ovviamente una situazione di grande incertezza che Philippe ricollega al complicato clima che si è creato e alle difficoltà generali che si affrontano in questa fase nella ristorazione. «Noi facciamo costantemente tamponi regolari - dice - con un costo di 240 euro di ogni 2 giorni, perché ci siamo fatti carico come azienda di questo autocontrollo. Il nostro personale è controllato uno ad uno da un medico in azienda, così che entra solo chi è negativo. Purtroppo, non so quanto potrà durare questa situazione. Non so quale potrà essere la soluzione e non voglio certo cercare delle colpe. Sta di fatto che questo stato di fatto apre però molti interrogativi sul nostro futuro».
In effetti le assenze per Covid si aggiungono in tutti i pubblici esercizi ad una situazione già pesante. Miramonti l’Altro, come tutti i locali italiani, è stato ad esempio chiuso per 7 mesi e in questi due anni di pandemia ha dovuto adottare modalità di lavoro ed organizzazione assai pesanti. «Per chi lavora con serietà non è piacevole stare in cucina al caldo tutto il tempo con una mascherina e sanificarsi in continuazione le mani. È cambiato tanto il lavoro e c’è il rischio che dopo due anni di sacrifici i ristoranti si svuotino di personale qualificato. Non c’è più succo nel limone spremuto ed è difficile tenere ragazzi con un lavoro molto pesante…».
Philippe Léveillé è preoccupato, ma l'impegno prioritario è garantire tutto il gruppo di lavoro per superare la fase difficile
Parole di preoccupazione, a cui il cuoco bretone-bresciano contrappone però l’impegno per preservare il suo gruppo di lavoro. «La nostra è un’equipe giovane. Tenerli insieme e motivati non è una passeggiata. Ci impegniamo per i ragazzi, per la loro carriera, per le loro prospettive di vita. Preservare il gruppo, motivarli, tutelarli, sollevargli lo spirito è un dovere. Ci tengo ai mie ragazzi - conclude Léveillé - siamo una grande famiglia e sanno che possono contare su di noi. Non è una cosa facile: noi cerchiamo di motivarli e di avere un buon ritmo... Siamo preoccupati perché cominciano il terzo anno e le prospettive non sono così rosee come qualcuno vuole sostenere, ma certamente non molliamo».
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